C.O.M.I.D.A.D.C.O.M.I.D.A.D.http://www.comidad.org/dblog/C.O.M.I.D.A.D. 2.0C.O.M.I.D.A.D.http://www.comidad.org/dblog/2024-03-14T00:08:23+01:00http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=12032024-03-14T00:08:23+01:00
Se la critica non ha una logica, poi te la dovrai rimangiare nella pratica. Nel dicembre scorso Giuseppe Conte aveva accusato il governo Meloni di “turbo-atlantismo” per la decisione di inviare una fregata nel Mar Rosso, ed infatti ora i 5 Stelle si allineano al mantra ufficiale della “missione difensiva”. In realtà prima di infilarci da soli in questo conflitto, non solo non ci minacciava o filava nessuno, ma c’era anche la possibilità di accampare ogni genere di pretesto o intoppo “tecnico” per sottrarsi all’escalation militare. Il problema sta nell’eterno costume dell’oligarchia dell’Italietta: si cercano sponde estere e “vincoli esterni” da utilizzare come alibi; in tal modo la propria avarizia e le proprie vendette sociali le si possono spacciare come “europeismo”, mentre le proprie pulsioni colonialiste e sub-imperialiste le si possono nobilitare come “atlantismo”; invece è tutto “cosa nostra”.
La nostrana cleptocrazia militare ha il suo interesse all’escalation e quindi nessuna intenzione di sottrarsi. Il ministro della Difesa, e lobbista di Leonardo Finmeccanica, Guido Crosetto, ci ha raccontato che mandare la nave “Caio Duilio” a combattere i cartaginesi nel Mar Rosso gli dà doppia soddisfazione, perché è come far guerra anche a Cina e Russia. Il ministro arriva poi al sodo dicendo che la missione “Aspides” richiede “fondi aggiuntivi”. Nessuno ne aveva dubitato. Pare che siano in arrivo anche fondi europei, visto che la missione ha il crisma dell’UE, perciò l’affare promette bene. Peccato che il governo Meloni si sia dimenticato di distribuire una fettina della torta agli umili, cioè un’indennità di rischio ai marinai impegnati nella missione, come era invece avvenuto in analoghi casi precedenti. Ci saranno però sicuramente proteste dei militari e l’ingiustizia verrà sanata, altrimenti il prossimo drone che passa da quelle parti faranno finta di non vederlo.
Oggi sta passando il mantra secondo cui il conflitto in Ucraina sarebbe esclusivamente di marca USA e a danno di un’Europa inetta e servile, che si piega agli interessi del suo padrone d’oltre Atlantico. Ma ogni tanto è anche utile ascoltare l’altra campana. In un’intervista del 2016 Barack Obama faceva delle dichiarazioni che, anche prese con le molle, risultano comunque interessanti sul modo in cui i governi europei riescono a veicolare il proprio colonialismo usando l’alibi atlantico. Obama sosteneva di aver commesso un errore lasciandosi coinvolgere nell’aggressione della NATO alla Libia del 2011. Obama riconosceva altresì che Hillary Clinton (suo segretario di Stato dell’epoca), era, come sempre, assetata di sangue. Ma il vero bidone Obama lo aveva rimediato dal presidente francese Sarkozy e dal primo ministro britannico Cameron, che gli avevano fatto credere di poter sostenere il peso dell’impresa militare, che invece andò completamente a carico degli USA. Dopo pochi giorni il “guerriero” Cameron era addirittura passato ad altri impegni, facendo il parassita persino più di Sarkozy (probabilmente avevano entrambi finito le munizioni). Per inciso, va ricordato che, dopo le prime titubanze del Buffone di Arcore, anche l’adesione italica alla guerra fu compatta e trasversale. L’unico dissenziente (almeno a chiacchiere) fu l’allora sottosegretario alla Difesa Crosetto, forse perché non coinvolto abbastanza nello “stanziamento dei fondi”.
Obama ha il suo bravo curriculum di assassino seriale grazie alla fama della “Kill List” da lui messa in opera; inoltre ha acquisito un record personale come mercante d’armi, quindi come “pacifista” non è attendibile; anche se a riguardo è ancor meno attendibile il cialtrone Trump, visto che è stato lui, non Obama, ad avviare il trasferimento di armi all’Ucraina. Il senso del discorso di Obama però è abbastanza chiaro: qui negli USA non siamo tutti guerrafondai fino all’autolesionismo; ma purtroppo i “falchi” di casa nostra trovano sempre la sponda dei “cari alleati europei”, che, col loro subdolo servilismo, sanno manipolarci. Lo stesso Obama si vantava di essere riuscito a sottrarsi all’impegno di un’aggressione diretta alla Siria del 2013, sebbene apparisse ormai incastrato dall’asse tra Regno Unito, Francia, Qatar ed Arabia Saudita; gli stessi paesi che nel 2011 avevano avviato la destabilizzazione della Libia ed il conseguente conflitto. Un dettaglio interessante, e non sottolineato nell’intervista, è che quella crisi del 2013 fu causata da un attacco chimico attribuito ad Assad, e successivamente rivelatosi un “false flag”.
A proposito di “false flag”, è strano che gli Stati Uniti abbiano come mito fondatore della loro nazione proprio un poco onorevole “false flag”, cioè il famoso episodio del “Tea Party” del 1773, quando nel porto di Boston dei coloni americani, travestiti da indiani Mohawk, attaccarono una nave della Compagnia delle Indie gettandone il carico in mare. L’iconografia successiva ha rappresentato i coloni come travestiti da indiani della prateria, come se si trattasse di un semplice camuffamento. In realtà i Mohawk erano originari dell’area che attualmente va dallo Stato di New York al Canada, erano formalmente alleati della Corona inglese, ed inoltre erano dediti al commercio di pesce e pellicce, quindi la loro presenza nel porto di Boston era del tutto abituale; perciò il travestimento da indiani Mohawk comportava un preciso intento di scaricare su altri la responsabilità dell’attentato. Ancora più strano è che in questi giochi in cui gli americani sono storicamente così bravi, cioè lo scaricabarile ed il parassitismo, si facciano ogni tanto battere dagli europei.]]>2024-03-14T00:08:23+01:002024-03-14T00:08:23+01:000http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=1203#commentihttp://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=12022024-03-07T00:04:07+01:00appalti congiunti, così come era già accaduto per i vaccini e per il gas. Lo sfruttamento non avviene soltanto attraverso il lavoro ma anche con la leva fiscale ai danni dei più poveri, con aumenti di accise e tariffe energetiche, ed anche dirottando la spesa dai servizi pubblici agli oligopoli dei farmaci e delle armi, feticizzando le loro inutili e costosissime merci con immaginari contenuti salvifici.
Il crescente trasferimento di reddito dalle classi subalterne alle oligarchie necessita di un’opera di distrazione, che non esiti a far leva anche su sentimenti sacrosanti come il timore della guerra mondiale o come l’orrore per il genocidio. Gli atteggiamenti da “miles gloriosus” di Macron, oppure i piagnistei di Fiamma Nirenstein sui poveri soldati israeliani costretti a sparare sulla folla inerme (visto che rimediano figure di merda non appena si scontrano con persone armate), rappresentano solo diversivi. L’attenzione viene deviata da quelle macchine da furto del pubblico denaro che sono le lobby d’affari dietro i “brand” della NATO, dell’UE e di Israele. La confusione mediatica fa anche perdere di vista il fatto che il maggiore gettito fiscale non è quello che deriva dalle imposte sul reddito, bensì quello che proviene dalle imposte sui consumi; perciò il vero (anzi, unico) contribuente è quello povero, quello che non ha possibilità di scaricare su altri le maggiori spese. Le destre (come dimostra il caso della Thatcher) fanno retorica contro le tasse, ma di fatto finanziano gli sgravi fiscali sulle persone fisiche e sulle società aumentando le imposte indirette come IVA e accise. Il rapporto sottostante al bellicismo (più o meno velleitario) verso l’esterno è sempre la guerra di classe all’interno.
La blasonata cleptocrate di Bruxelles ha superato non soltanto Carl von Clausewitz ma anche un altro suo noto conterraneo, Carl Schmitt; cioè quell’altro sprovveduto che diceva che la politica internazionale sarebbe basata sul principio secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico. Il nuovo verbo strategico illustrato dalla von der Leyen nel suo storico discorso ha spazzato via quelle ubbie del vetusto giurista tedesco e dettato la nuova linea: se il tuo nemico ha un nemico, rendiglielo amico, in modo che potrai avere tantissimi nemici per giustificare crescenti spese militari. Russia e Iran erano storici rivali ma ora collaborano tra loro moltiplicando la minaccia nei confronti del Sacro Occidente. Persino la Corea del Nord ora può scavalcare migliaia e migliaia di chilometri e, con un magico balzo, ci minaccia come se fosse a ridosso dei nostri confini. Inflazionare la minaccia fa ovviamente gonfiare i titoli di Borsa delle multinazionali delle armi. Anche Mussolini è stato così riveduto e corretto: dal “molti nemici, molto onore” al “molti nemici, molti soldi” . In realtà pare che la frase non fosse del Duce ma del condottiero tedesco Georg von Frundsberg, che sarebbe quindi il terzo “von” di questa storia.
La concezione tradizionale dell’imperialismo lo inquadrava come un espansionismo militare, territoriale e mercantile delle grandi potenze. Oltre un secolo fa il socialista austriaco Rudolf Hilferding (in parte ripreso da Lenin), definì l’imperialismo come una internazionalizzazione della finanza in conseguenza dell’evoluzione monopolistica ed oligopolistica del capitalismo. Un altro aspetto dell’imperialismo consiste però nel ruolo “creativo” delle cleptocrazie dei paesi cosiddetti “satelliti”; un ruolo che si rivela decisivo nello strutturare la gerarchia internazionale e nel fornirle narrazione ed alibi. La funzione servile delle cleptocrazie europee infatti mitizza ed enfatizza la potenza americana, attribuendole una missione di guardiano e tutore del mondo. In realtà gli USA non sono mai stati abbastanza forti militarmente da poter svolgere in modo effettivo quel “tutoraggio”; in compenso hanno capacità sufficiente per destabilizzare varie aree del pianeta. Il mito imperiale del tutore copre la spinta imperialistica alla destabilizzazione ed ai conseguenti business delle armi o dei sovrapprezzi sull’energia. Il riferimento principale degli oligopoli dei farmaci e delle armi non è più il mitico “mercato”, bensì la committenza dei governi, cioè la spesa pubblica. Persino gli incrementi dei valori di Borsa sono bolle fittizie, che devono essere riempite con il denaro pubblico. Il “Financial Times” ci fa sapere che ultimamente le grandi multinazionali statunitensi delle armi non hanno registrato incrementi dei valori azionari paragonabili a quelli delle multinazionali europee; ciò a causa del caos della politica di Washington, che non ha ancora approvato lo stanziamento della spesa per gli “aiuti a Kiev”. La dipendenza del capitalismo oligopolistico dal denaro pubblico non poteva essere esposta in modo più chiaro; al punto che parlare di “capitalismo” si risolve nell’inseguire una inutile astrazione giuridica, perciò tanto vale chiamarlo direttamente assistenzialismo per ricchi. ]]>2024-03-07T00:04:07+01:002024-03-07T00:04:07+01:000http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=1202#commentihttp://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=12012024-02-29T00:03:50+01:00un contratto con Israele per acquistare il sistema di difesa antimissile “Arrow 3”, che le Industrie Aerospaziali Israeliane (IAI) producono insieme con la statunitense Boeing. La consegna del sistema antimissile è per il 2025, quindi giusto in tempo per fermare la prossima invasione russa. Il sistema “Arrow 3” ha funzionato benissimo contro un missilino balistico lanciato dallo Yemen, quindi è certo che funzionerà alla grande anche contro i missili ipersonici russi.
Nel 2021 un saggio di Or Rabinowitz cercava di sfatare tutti i falsi miti che si erano creati dal 1986 attorno all’accordo tra l’amministrazione Reagan ed il governo israeliano per costruire e finanziare il sistema “Arrow”. Secondo voci malevole era stata la Israel Lobby AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) a persuadere Reagan di finanziare il progetto; al contrario, secondo Rabinowitz, il presidente Reagan avrebbe agito così per motivi interni, sia strategici, sia giuridici. Sulle motivazioni di Reagan si può discettare, ma rimane il fatto che è stato il governo americano a mettere i soldi ed a mandarli in Israele. Che le motivazioni fossero interne renderebbe la cosa persino meno trasparente. Qualcuno potrebbe persino sospettare che questi invii di denaro all’estero da parte delle amministrazioni americane siano dei “money laundering”, cioè delle operazioni di riciclaggio di denaro: finanzi un soggetto estero con denaro pubblico ed una parte ti ritorna come denaro privato.
Con il sistema “Arrow” forse l’AIPAC non c’entrava, però pare che si sia inserita nel giro una filiazione della stessa AIPAC, cioè l’ELNET (European Leadership Network). Si tratta di una ONG fondata circa quindici anni fa, che si incarica di stabilire solide relazioni “culturali” tra Israele e l’Europa. Un articolo celebrativo sul “Jerusalem Post” ci spiega tutto: a causa della guerra in Ucraina l’Europa è in piena rivoluzione, deve cambiare praticamente tutto; ma provvida è arrivata la lobby israeliana ELNET a dare la leadership. L’ELNET stessa ci racconta come ha salvato la Germania, che aveva smarrita la diritta via e annaspava nel buio; finché non le si è fatta intravedere la luce della rivelazione, che consisteva nel comprarsi il sistema “Arrow 3”.
L’ELNET quindi non ha nessuna remora nel riconoscere che la “cultura” (quella vera, quella seria) consiste nel trafficare in armi. C’erano sedi dell’ELNET in tutta Europa e solo in Italia no. Meno male che la ferita è stata sanata. Una notizia ANSA ci fa sapere che il 7 febbraio scorso finalmente anche in Italia l’ELNET ha colmato il vuoto di leadership aprendo un ufficio a Roma. Ricordiamocene con gratitudine la prossima volta che il nostro ministero della Difesa farà la lista della spesa.
Ad onta dei paranoici che potrebbero fissarsi soltanto con l’AIPAC e l’ELNET, occorre rilevare che la guerra in Ucraina ha determinato negli USA un’espansione notevole del lobbying delle armi, con risvolti inattesi. Molte agenzie di lobbying hanno adottato la causa ucraina “pro bono”, cioè senza percepire alcun compenso dal committente. Anche agenzie che erano pagate dalla Russia per svolgere attività di lobbying, hanno abbandonato il loro vecchio committente per correre a lavorare “gratis” per l’Ucraina. Per fortuna questi lobbisti così generosi non finiranno sul lastrico a causa del loro idealismo, poiché stanno ricevendo i compensi dalle industrie delle armi, che fanno affari d’oro grazie alla “resistenza” ucraina. I lobbisti hanno fatto davvero un buon lavoro, poiché la torta di denaro pubblico da spartirsi è di oltre cento miliardi di dollari, dei quali solo una minima parte va effettivamente in Ucraina, mentre la maggiore porzione rimane negli USA, riservata alle industrie delle armi ed ai lobbisti altruisti. Lobbying e cleptocrazia militare sembrano fatti apposta l’uno per l’altro.
Il lobbying delle armi tende quindi a prevalere non per un piano prestabilito, ma per un’intrinseca dinamica interna al lobbying stesso, il quale si indirizza dove sono i maggiori flussi potenziali di denaro pubblico. Il pacifismo non ha speranze proprio perché non comporta e non prevede spesa e prelievo sul denaro pubblico. Hanno quindi ragione quelli del ”Foglio” a dire che i pacifisti sono prosaici e non hanno ideali. La cosa strana è che il sistema della rappresentanza (quello che oggi viene chiamato pomposamente “liberaldemocrazia") era nato proprio con le finalità “grette e meschine” di arginare i sogni di gloria dei re, impedendo loro di imporre nuove tasse per finanziare le guerre. Già ai primi dell’800 invece il parlamentarismo aveva disatteso il metodo della prudenza e del riequilibrio, e si era riconvertito in senso bellicistico e colonialistico. John Stuart Mill fu il cantore di questo liberalismo santificato e funzionale ad evangelizzare con la guerra i “popoli minorenni”. I parlamenti erano stati un freno per le spese dei re; ma erano poi diventati un’autostrada per le spese a favore delle industrie delle armi e dei loro investitori. Si costituiva così il complesso militare-industriale-parlamentare, il cui collante è il lobbying.
Il pacifismo non avrebbe “fascino” neanche se venisse “gonfiato” con un lobbying pagato da un paese straniero che fosse interessato alla neutralità di altri paesi. Basterebbe infatti una minima prospettiva di guerra perché il lobbying abbandoni immediatamente qualsiasi committente pacifista o neutralista e corra invece ad alimentare le tensioni internazionali. Il lobbying, analogamente alla polizia, non è affatto uno strumento neutro e ugualmente valido per qualsiasi finalità. Il lobbying infatti tende a seguire la corrente di denaro più promettente in termini di massa e velocità, quindi è guerrafondaio ed emergenzialista per intrinseca costituzione. Israele non ha bisogno di allevare i suoi lobbisti; anzi, è il lobbista che si innamora spontaneamente di Israele poiché lo riconosce come un catalizzatore di instabilità. La sociologia del denaro non è riducibile al semplice rapporto di compravendita, poiché ogni movimento di denaro determina aspettative, quindi comporta suggestioni ed euforie. Si apre così uno spazio infinito per la manipolazione politico-mediatica da parte dei lobbisti. L’affabulazione pubblicitaria delle armi divora e ricicla slogan di ogni provenienza, senza preoccupazione di contraddirsi; al punto che le lobby delle armi finiscono per mimetizzarsi tanto da apparire correnti ideologiche, come nel caso dei Neocon americani.]]>2024-02-29T00:03:50+01:002024-02-29T00:03:50+01:000http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=1201#commentihttp://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=12002024-02-22T00:06:37+01:00
Le attuali oligarchie euro-americane sono sempre più sradicate e ostili nei confronti delle proprie popolazioni, che trattano come cavie e immondizia. Si parte da questo dato oggettivo, ma poi scatta nuovamente il senso di gerarchia, la reverenza culturale nei confronti delle classi superiori. Invece di constatare che queste bolle oligarchiche sono composte da cleptocrati parassiti e pupazzi animati dal movimento dei soldi, si prendono sul serio le distopie globaliste e transumaniste dei vari Forum di Davos, che sono in realtà prodotti dei loro addetti alle pubbliche relazioni, cioè pubblicità confezionata con materiali eterogenei. Allo stesso tempo si sogna l’avvento di un messia del nazionalismo e del tradizionalismo, e lo si identifica con Putin a causa della criminalizzazione di cui è fatto oggetto dai media occidentali. Lo stesso Putin però fa di tutto per deludere coloro che lo ritengono una cima ed un avversario dell’Occidente; infatti nelle ultime interviste ha più volte confessato di essersi fidato e di essere stato preso per i fondelli dalla Merkel e da Hollande nella vicenda degli accordi di Minsk, e di essere stato ancora raggirato nel 2022 da Macron durante le trattative di Istanbul. Ma probabilmente Putin non ha capito come funziona da noi. I leader politici nostrani non sono in grado di porsi il problema di ingannare o meno, poiché hanno la stessa capacità di comprensione e interlocuzione di un dispositivo automatico; persino la propaganda è una cosa troppo complessa per loro, per cui comunicano attraverso gli slogan sconnessi che gli vengono forniti dagli spin doctor.
In un discorso del 2021 la presidente della Corruzione Europea (pardon, Commissione Europea), Ursula von der Leyen, ha addirittura dichiarato di aver adottato il motto “I care” di don Lorenzo Milani come motivo ispiratore dell’Unione Europea. Secondo la von der Leyen infatti l’UE sarebbe stata l’unica a non tenere i mirabolanti vaccini soltanto per sé ma ad esportarli anche verso i paesi poveri. La von der Leyen ovviamente non sapeva neppure chi fosse don Milani, e la sua icona le era stata fornita come testimonial pubblicitario per i vaccini. Ci fu qualcuno che commentò sarcasticamente che, dopo aver fatto trenta, tanto valeva che la von der Leyen facesse trentuno, e come spot lanciasse direttamente il Discorso della Montagna nella nuova versione Bergoglio: beati i poveri perché saranno vaccinati. Come ulteriore dimostrazione della sua benevolenza, la von der Leyen dichiarò che si sarebbe potuto discutere dell’ipotesi di sospendere i brevetti dei vaccini perché ognuno potesse produrseli a basso costo. Ovviamente non era vero nulla, ma faceva bello dirlo. L’oligopolio farmaceutico multinazionale ha salvato così i suoi profitti; ed era anche giusto, visto quello che Pfizer dichiara sul proprio sito internet, cioè che è costretta a spendere un sacco di soldi in lobbying per supportare quei politici che si dimostrino sensibili al verbo della “scienza”. In gergo questa forma di lobbying si chiama “partenariato politico”; solo per chiarire le idee a quei trogloditi retrogradi che, di fronte a questo traffico di soldi, potrebbero definirlo come corruzione legalizzata. Pfizer avrebbe potuto essere ancora più generosa e farci i nomi di chi sta sul suo libro-paga; ma è pretendere troppo dalla vita.
Nel libro “Marcia su Roma e dintorni” Emilio Lussu raccontava delle sue vicissitudini con una squadraccia di fascisti. In un tafferuglio uno di quegli squadristi aveva rubato a Lussu il portafogli e, quando questi tentava di riaverlo indietro, i fascisti si compattavano gridando: “A chi l’Italia? A noi!”. Inutilmente Lussu cercava di chiarire che non si trattava dell’Italia ma solo del suo portafogli. Allo stesso modo, nel caso dei vaccini il grido “A chi la scienza? A noi!” è stato usato per tacitare e umiliare chiunque cercasse di precisare che non c’entrava l’immunologia ma solo di capire come sono distribuiti i soldi. È un fatto che oltre trent’anni di tagli di spesa alle strutture sanitarie durevoli hanno coinciso con le crescenti spese in prodotti effimeri come i vaccini, infilando nella categoria “vaccino” anche altri farmaci. Per vendere il prodotto la pubblicità ha solleticato il senso di superiorità di una parte dell’opinione pubblica, quella che si crede in confidenza con la “scienza”. Tra l’altro gli idolatri della scienza e dei vaccini vivono di pensiero magico e non sanno neppure distinguere tra vaccino e campagna vaccinale. Il fatto che un vaccino, o cosiddetto tale, risulti efficace nella sperimentazione di laboratorio, non vuol dire che lo sia se riprodotto a miliardi di dosi. Più il processo produttivo è incrementato, accelerato e allargato, più è difficile garantire che lo standard del prodotto sia lo stesso. Non è un caso che nei talk show a parlare di vaccini siano stati sempre chiamati virologi, immunologi, infettivologi e persino “costituzionalisti”; mai ingegneri. Mica vorrai contagiare gli spettatori con un po’ di pensiero concreto?
Da una parte quindi ci sono quelli che hanno dalla loro la scienza, la benevolenza, la legge e per questo possono gestire i soldi senza renderne conto; mentre dall’altra parte ci sono coloro che devono fidarsi, pagare e basta, altrimenti sono degli ignoranti, dei terrapiattisti e dei complottisti. La stessa von der Leyen ha riproposto questo schema asimmetrico e squilibrato anche in altre circostanze, come nel caso dell’attuale attacco israeliano a Gaza. La von der Leyen ha infatti dichiarato che Israele ha il diritto di difendersi dopo quello che è accaduto il 7 ottobre, raccomandandosi però di non ammazzare troppi civili palestinesi.
La “versione israeliana” sui fatti del 7 ottobre viene quindi presa per buona acriticamente, senza verifica; poi si affida la sorte dei civili palestinesi alla benevolenza israeliana. D’altra parte una “versione israeliana” dei fatti del 7 ottobre non esiste neppure, dato che si tratta di pura narrativa mediatica e non è stata avviata nessuna inchiesta da parte di autorità israeliane. A distanza di mesi solo un quotidiano straniero, il “New York Times”, ha cominciato una raccolta di testimonianze sui presunti stupri e sgozzamenti da parte di Hamas; un’inchiesta non molto rigorosa, poiché da un lato dà preventivamente per scontata e indiscutibile la narrativa sui crimini di Hamas, dall’altro lato però ammette che prove a riguardo, a tutt’oggi, non ce ne sono.
Anche coloro che inorridiscono davanti ai massacri perpetrati dagli israeliani a Gaza però non osano mettere in dubbio la narrativa sul presunto “pogrom” del 7 ottobre. Si vede che c’è qualcosa in Israele che ispira fiducia anche oltre le evidenze contrarie. Sarà per questa fiducia che tutti sentono l’irresistibile bisogno di mandare soldi. Secondo il quotidiano “Times of Israel” dal 2014 l’Unione Europea ha supportato la ricerca tecnologica in Israele finanziando centinaia di progetti con oltre un miliardo e trecento milioni di dollari.
Per la famosa “Israel Lobby” americana, l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), il 7 ottobre è stato una grande occasione per incentivare la raccolta di fondi e per estorcere altro denaro pubblico statunitense da inviare in Israele. Sul sito dell’AIPAC una delle cose più interessanti da notare è la capacità di autopromuoversi da parte di questa cosca d’affari, La lobby AIPAC dichiara infatti di essere riuscita a far eleggere il 98% dei candidati che ha sostenuto elettoralmente con donazioni ed anche con attività propagandistiche, che consistono nell’affibbiare l’etichetta infamante di antisemita a chiunque non voglia finanziare Israele. L’AIPAC è una lobby talmente danarosa e potente che potrebbe sorgere un dubbio, e cioè che essa non sia una longa manus israeliana, bensì che Israele sia in realtà solo una colonia dell’AIPAC. I veri attori in campo oggi non sono gli Stati ma le lobby d’affari, che tengono gli Stati solo come impalcatura per mungere denaro pubblico.]]>2024-02-22T00:06:37+01:002024-02-22T00:06:37+01:000http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=1200#commenti