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"La malevolenza costituisce pur sempre l'unica attenzione che la maggior parte degli esseri umani potrà mai ricevere da altri esseri umani."

Comidad
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Nelle trattative per la cosiddetta “Brexit” l’Unione Europea ha tenuto la faccia feroce per imporre al Regno Unito le più onerose condizioni di uscita. Il risultato è che oggi il gioco delle parti tra il governo ed il parlamento britannico tiene l’UE sotto scacco. Ciò a dimostrazione che il vero “instrumentum regni” dell’UE è la moneta unica e che i Paesi non aderenti all’area-euro possono, in definitiva, fare ciò che gli pare. Ciò vale per l’ancora potente Regno Unito ma anche per le deboli Polonia e Ungheria.
Uno degli effetti della Brexit è l’aver cancellato una delle maggiori prospettive di sbocco migratorio per le giovani generazioni italiane. Ragazzi allevati all’insegna di “Erasmus” e della “cittadinanza europea” avevano visto nell’Inghilterra una meta ideale a cui aspirare, tanto più in un periodo in cui la persistente deflazione è diventata un incentivo a fuggire dall’Italia. Rimane la Germania come meta migratoria, ma non esercita lo stesso fascino dell’Inghilterra e la lingua non è un ostacolo da poco.
A ben vedere, quindi anche i programmi scolastici avevano già incorporato il destino pauperistico e recessivo dell’Italia, molto prima che la deflazione si manifestasse nei termini più virulenti. La deflazione e la libera circolazione dei cittadini all’interno della UE hanno comportato una miscela esplosiva, perciò lo scongiurare il rischio di una “invasione italiana”, deve aver costituito una concausa (e non delle meno importanti) nella scelta britannica di abbandonare l’Unione. I nostri programmi scolastici avevano evidentemente dimenticato Giacomo Leopardi che, nel suo poemetto satirico “Paralipomeni della Batracomiomachia”, ci aveva ammonito sul fatto che l’identità nazionale italiana non può nascere spontaneamente, bensì dall’accorgersi di essere tutt’altro che amati dalle altre nazioni.
Il risveglio dal sonno dell’idillio europeistico ormai c’è stato ma i suoi esiti appaiono ancora molto incerti. Ora che la via di fuga in Inghilterra è stata chiusa, la rivista “Limes” si è spinta a proporre una nuova “pedagogia nazionale” per i ragazzi orfani di “Erasmus” costretti a rimanere. Il dibattito politico sembra orientarsi nel confronto tra nazionalismi “hard” e nazionalismi più “soft”. Ma il fatto che l’ostilità tra le nazioni esista (eccome!), non comporta assolutamente che questa sia (per dirla in termini marxisti) la “contraddizione principale”.
Il Trattato di Maastricht del 1992 dichiarava come principale obbiettivo la “stabilità dei prezzi”, omettendo però di chiarire sia a chi facesse comodo l’assenza di inflazione, sia quali fossero gli strumenti per ottenere questa assenza di inflazione. L’inflazione zero fa comodo ai grandi creditori (la lobby della deflazione), che mantengono così inalterato nel tempo il valore dei propri crediti. L’inflazione-zero si ottiene creando disoccupazione, la quale di per sé già diminuisce la domanda sul mercato e quindi la spinta ai prezzi; ma la disoccupazione ha anche un effetto depressivo sul potere contrattuale di tutti i lavoratori, perciò la quota salari si abbassa sempre di più. Tutta la mitologia e la retorica mainstream sullo sviluppo e sulla “crescita” si dimostrano così dei meri alibi propagandistici per dissimulare la realtà della finanziarizzazione e della pauperizzazione.
Dato che comunque la produzione ci deve essere, la disoccupazione non può diffondersi in modo generalizzato ma va localizzata e concentrata in alcune aree da mantenere povere e deindustrializzate; aree che costituiscono una sorta di stabile camera di raffreddamento dell’economia e dell’inflazione e che, per questo motivo, possono essere definite colonie deflazionistiche. Ecco che l’Europa si spacca tra un Nord più sviluppato ed un Sud in stagnazione cronica.

Affermare però che la deflazione sia esclusivamente un’imposizione tedesca appare un po’ troppo semplicistico, poiché questa spaccatura tra Nord e Sud a noi Italiani dovrebbe risultare familiare. Non si può infatti dimenticare che l’Italia è in grado di vantare la storica presenza di una sua propria lobby della deflazione, una lobby che ha saputo creare le sue funzionali sacche di sottosviluppo, cioè le sue colonie deflazionistiche.
Si guarda spesso al periodo pre-euro come ad un paradiso perduto, omettendo però di ricordare che, anche nelle fasi più tumultuose dello sviluppo italiano, le scelte pauperistiche e deflazionistiche sono derivate in gran parte da pressioni di lobby finanziarie interne. In questo senso il razzismo antimeridionale (anche nella sua forma colta e umanitaria del “Meridionalismo”) è servito ad occultare il ruolo di colonia deflazionistica svolto dal Sud. Tenere zone del Paese prive di infrastrutture fondamentali, sottoporle ciclicamente a drastici tagli industriali, rappresenta in Italia una tendenza storica. I nuovi sovranismi non solo non la contrastano ma continuano a non vedere che la meridionalizzazione si spinge sempre più verso il Centro Italia.
La “meridionalizzazione di Roma” rappresenta un’immediata evidenza, in atto da decenni e da prima dell’euro. Ci si dovrebbe spiegare infatti che senso abbia l’aver lasciato la Capitale priva di investimenti fondamentali. Altrettanto ci si dovrebbe spiegare che senso abbia continuare ad agitare il “modello Milano” senza corredarlo degli opportuni miliardi di investimenti in infrastrutture che invece Milano ha avuto. Si riproduce a livello italiano lo schema dei virtuosi Tedeschi e degli Italiani-Greci-Spagnoli-Portoghesi spendaccioni e pelandroni. A voler essere precisi, il copyright di questa rappresentazione “Nord virtuoso-Sud vizioso” è soprattutto nostro e non solo tedesco.

Il risultato è che la meridionalizzazione, cioè la colonizzazione deflazionistica, risale lo Stivale. Roma è già meridionalizzata e infatti la propaganda mainstream ce la rappresenta come un’altra Gomorra, “Suburra”, con tanto di “Mafia-Capitale”. Ci si è giustamente indignati per le sceneggiate anti-Rom di CasaPound, dimenticando però che la criminalizzazione degli Zingari l’avevano lanciata in grande stile libri e fiction “progressiste” come “Suburra”.
Ma la “meridionalizzazione” non si è fermata a Roma, anzi, è avanzata ancora, contestualmente alla deflazione. Persino una regione che era una volta tra le più dinamiche sul piano industriale, le Marche, è entrata in una stagnazione cronica e viene oggi considerata alla stregua di una regione del Sud.
Dopo il Lazio e le Marche, la prossima tappa della meridionalizzazione sembra essere la Toscana, che ha visto in questi anni un drastico calo del reddito medio. Non è quindi da escludere che nei prossimi anni altri libri-denuncia ci intratterranno sulle mafie toscane e marchigiane, in modo da convincerci che il ritardo economico di quelle regioni sia dovuto a cause di corruzione e di ritardo culturale.
 
Di comidad (del 18/04/2019 @ 00:12:33, in Commentario 2019, linkato 10514 volte)
Gli avvenimenti riconfermano puntualmente che il progresso civile è un’illusione. Le brutali modalità dell’arresto nell’ambasciata ecuadoriana di Julian Assange da parte delle autorità britanniche, mostrano un intento vendicativo decisamente sproporzionato rispetto all’effettiva entità dell’offesa ricevuta. Non si tratta solo dello scandalo di vedere il “Paese della Libertà” perseguitare un uomo che ha dedicato la vita alla libertà di informazione, ma soprattutto dell’esibizione oscena e molto poco “british” di una spietata determinazione vendicativa.
Migliaia di anni fa il Codice di Hammurabi introduceva quel principio che per l’epoca poteva essere considerato persino “progressista” e “laico”: “occhio per occhio”, cioè la vendetta doveva essere proporzionata all’offesa e non superarla. A distanza di tanti secoli, la vendetta si ripresenta invece nella sua accezione più sfrenata ed esagerata, facendo riemergere il nocciolo arcaico e superstizioso delle gerarchie sociali, percepite come sacre, tanto che chi le viola, deve essere perseguitato e martirizzato a prescindere da ogni considerazione di misura e di opportunità. Un Occidente meno “laico” di Hammurabi.
Assange è certamente un Robin Hood dell’informazione libera, ha utilizzato metodi di hackeraggio per ottenere informazioni riservate e diffonderle universalmente. Una competenza che avrebbe potuto essere usata a scopi personali, è stata invece messa al servizio di una battaglia civile. Libri e film contro la sua figura hanno cercato pretestuosamente di presentarlo come un despota paranoico ma, sta di fatto, che eventuali difetti umani non toglierebbero nulla alla nobiltà degli scopi. Le vicissitudini subite da Assange con alcuni suoi infidi collaboratori dimostrano inoltre che non è stato paranoico, semmai non lo è stato abbastanza.
Il punto vero è però che nessuna delle rivelazioni di Wikileaks, pur clamorose, si è dimostrata in grado di scalfire i rapporti di potere. Anche le rivelazioni di un altro Robin Hood della verità, Edward Snowden, non avevano inciso più di tanto sugli assetti internazionali. La “scoperta” che gli USA spiano i propri “alleati” come se fossero nemici, era una scoperta dell’acqua calda e l’afflusso di prove a riguardo non ha fatto che riconfermare ciò che si sapeva, ma che non poteva essere contrastato a causa delle gerarchie internazionali.
Si è consolidato il mito secondo cui la diffusione da parte di Wikileaks delle mail della Clinton avrebbe favorito la vittoria elettorale del cialtrone Trump. In realtà la sconfitta della Clinton era stata prevista per tempo dagli osservatori che si erano attenuti ai dati più ovvi. In base al sistema elettorale americano, una vittoria democratica richiede un ampio margine di voto sull’avversario repubblicano e la Clinton era troppo screditata, sia per i suoi rapporti dinastici e affaristici con Goldman Sachs, sia per i suoi atteggiamenti guerrafondai, perciò era impossibile per lei mobilitare le sacche marginali dell’elettorato democratico, quelle che si smuovono in base a speranza di cambiamento (poi regolarmente deluse).

Tra l’altro il dispetto di Wikileaks alla Clinton, oltre che ininfluente, ha colpito l’anello debole e meno sacrale del sistema di potere, cioè la politica. La vicenda del cialtrone Trump ha messo in evidenza ancora una volta che un Presidente USA conta davvero poco e che le decisioni fondamentali sono monopolio di ben altri potentati; tanto è vero che CialTrump si è immediatamente circondato di uomini di Goldman Sachs. A questo riguardo risulta un po’ patetica la gaffe del nostro Presidente Mattarella che ha ventilato l’ipotesi di una nomina di Mario Draghi a senatore a vita, forse in prospettiva di una sua nomina a Presidente del Consiglio. Come se un Amministratore Delegato potesse essere contento dell’ipotesi di essere promosso fattorino. Draghi è un uomo del vero potere e infatti è stato divinizzato dai media, mentre per le funzioni servili di senatore o di Presidente del Consiglio di un governo “tecnico”, vanno bene le mezze calzette “usa e getta” come Carlo Cottarelli. Se veramente “qualcuno” avesse deciso di formare in Italia un governo a guida di Draghi, per quest’ultimo sarebbe perciò una pessima notizia, un suo drammatico precipitare dagli altari.

Il problema messo in evidenza dall’esperienza di Assange e di Snowden è che la rivelazione dei “segreti” non cambia le cose. La gran parte delle informazioni decisive sono inoltre già disponibili, spesso sui siti ufficiali dei governi o delle organizzazioni internazionali, eppure vengono ignorate e non arrivano al dibattito pubblico. È stato il sito del Dipartimento di Stato USA a farci sapere di aver destabilizzato il Venezuela con le sue ONG; così come è il sito della Banca Mondiale a metterci a conoscenza del vero motivo dell’ondata migratoria, cioè i business finanziari legati ai cinquecento miliardi di dollari annui di rimesse dei migranti. Ciononostante si continua a parlare di Venezuela o di migrazione prescindendo da queste notizie fondamentali e solo in base a dicotomie “valoriali” tra “buonisti” e “cattivisti”.
In base a valutazioni razionali, il potere avrebbe avuto tutto l’interesse a consegnare semplicemente all’emarginazione ed all’oblio personaggi come Assange e Snowden. Ma il potere non è affatto razionale, tende invece ad autodivinizzarsi e quindi le sue reazioni sono quelle scomposte ed esagerate del nume di fronte al sacrilego.
Assange, bianco di pure origini anglosassoni, deve quindi scontare una colpa più grave di quella delle sue rivelazioni, cioè l’aver “tradito” la propria razza per identificarsi negli interessi e nella sorte dei poveri e dei diseredati del mondo. Oggi che la “Reconquista” dell’America Latina da parte dell’imperialismo USA riconsegna anche Assange ai regolamenti di conti occidentalisti, ci si rende conto che lo spirito vendicativo è fine a se stesso, non va a punire reati o ad ammonire eventuali futuri trasgressori, bensì a riconfermare nel modo più brutale la sacralità delle gerarchie sociali e razziali. Chi viola quelle sacre gerarchie sacre, non va semplicemente punito ma distrutto.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


18/04/2024 @ 11:28:08
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