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"La condanna morale della violenza è sempre imposta in modo ambiguo, tale da suggerire che l'immoralità della violenza costituisca una garanzia della sua assoluta necessità pratica."

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 05/01/2023 @ 00:08:02, in Commentario 2023, linkato 6984 volte)
I quotidiani italiani annunciano trionfalmente che l’inchiesta giudiziaria della magistratura belga, battezzata mediaticamente “Qatargate”, sarebbe entrata nella “fase 2”; al che il lettore ingenuo si aspetterebbe finalmente qualcosa di concreto. Invece niente, siamo ancora alle promesse di sconvolgenti rivelazioni, alle voci secondo cui il tale o talaltro deputato europeo (ovviamente italiano o di origine italiana o, al più, sud-europeo) avrebbe incassato soldi per promuovere “interessi del Marocco”, oppure “dare un’immagine positiva del Qatar”. In realtà prostituire le proprie opinioni secondo il codice penale non è reato, altrimenti i giornalisti dovrebbero già stare tutti in galera. I giornalisti potrebbero accampare la scusante che veramente si innamorano dei potenti di cui sono al servizio; ma ciò varrebbe anche per Panzeri e compagni poiché, oltre che comprare, il denaro affascina; anche se in effetti in questo caso si trattava di pochi soldi, visto che stavano tutti nello spazio di una busta di plastica. Come diceva Monsieur Verdoux, l’assassinio è considerato un crimine se fatto al dettaglio ed è celebrato come eroismo se fatto all’ingrosso; lo stesso vale per la corruzione, che non fa scandalo se in ballo ci sono le centinaia di miliardi.
Per camuffare il nulla di questa inchiesta giudiziaria, si crea un pathos sulla questione dell’autorizzazione a procedere da parte del parlamento europeo nei confronti degli indagati. I quotidiani rassicurano il lettore forcaiolo, anticipandogli che difficilmente i parlamentari avranno l’ardire di negare l’autorizzazione, a meno di non voler incorrere in un linciaggio mediatico. Il fatto che gli indagati siano tutti appartenenti a razze inferiori (arabi, marocchini, italiani, greci, ecc.) e che la clepto-burocrate ariana pura che comanda la Commissione Europea non sia neppure sfiorata, non pone dei dubbi neppure ai più accesi oppositori.
Si può quindi tenere l’opinione pubblica inchiodata per mesi a delle suggestioni mediatiche, senza che i capri espiatori di questa bolla mediatico-giudiziario dimostrino la minima capacità di reagire. Purtroppo ci sono delle gerarchie da rispettare: se i media compatti impongono una narrazione, a quella occorre sottomettersi, a meno di non voler rischiare umiliazioni persino peggiori. Nei romanzi di Balzac e di Maupassant il giornalismo veniva raccontato come un fenomeno di delinquenza comune, per cui i giornalisti erano rappresentati come individui abietti e depravati. Eppure oggi si riconosce ai giornalisti un primato morale, in quanto rappresentanti dell’opinione pubblica. A sua volta però l’opinione pubblica non è in grado di rivendicare alcun primato morale; semmai dovrebbe reclamare un diritto ad essere informata, non certo a giudicare. Al contrario, di informazione ne viene concessa pochissima, ma i media surrogano efficacemente questa mancanza facendo partecipare le masse all’ebbrezza dell’ascesa sul piedistallo del giudice. La celebrazione mediatica della debacle morale della sedicente sinistra crea abbastanza suggestione e distrazione da consentire all’attuale governo di destra di sottrarsi al mirino mediatico, per cui deve al massimo ripararsi da qualche proiettile di rimbalzo. Per il governo Meloni è una rendita di posizione non indifferente.

Carlo Calenda ha consentito alla Meloni di stravincere le elezioni, ma i media mettono alla gogna l’attuale gruppo dirigente del PD, e la “sinistra” in genere. Al di là di queste polemiche contingenti e pretestuose, va chiarito che il PD non può essere considerato l’artefice e l’autore di questo disarmo morale e intellettuale della “sinistra” nei confronti del sistema mediatico. Il problema risale ai fatidici anni ’70. Qualcuno ricorderà la famosa intervista pre-elettorale del 1976 dell’allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, al “Corriere della Sera”. In quell’intervista rilasciata al giornalista Giampaolo Pansa, Berlinguer “confessava” di sentirsi più sicuro “di qua”, cioè nel Patto Atlantico, che nel Patto di Varsavia. Certo, si può sottolineare che Berlinguer sfumava l’affermazione con molti distinguo, diceva che i problemi ci sono anche di qua e che molti avrebbero fatto di tutto per evitare che il PCI entrasse nell’area di governo. Ma l’affermazione rimaneva: Berlinguer non si era affatto limitato a sostenere che il PCI rinunciava realisticamente all’obbiettivo di uscire dalla NATO per non destabilizzare il quadro internazionale, in quanto anche il semplice tentare di svincolarsi dal Patto Atlantico avrebbe suscitato reazioni violentissime da parte degli USA. Berlinguer aveva invece coronato questa scelta di opportunità con un giudizio di valore: il sistema occidentale aveva i suoi problemi e difetti, ma era ritenuto comunque preferibile al sistema sovietico.
Berlinguer non si era quindi limitato alla riscoperta dell’acqua calda del carattere non socialista dell’Unione Sovietica, ma aveva determinato una nuova scelta di campo del PCI, ed anche un’auto-delegittimazione della propria storia politica; ciò non attraverso una decisione congressuale, bensì mettendo il partito davanti al fatto compiuto tramite un’intervista, L’intervistocrazia consentiva a Berlinguer di scavalcare le dinamiche interne al partito, ma ciò comportava un pedaggio da pagare, in quanto si delegittimava la struttura di partito, mentre invece si riconosceva ai media un ruolo privilegiato come luogo in cui il leader poteva esercitare il proprio carisma. Ma se il leader trova nei media il luogo privilegiato dove esprimere il proprio potere, di fatto offre ai media anche il potere di manipolarlo. Non a caso l’intervistatore Pansa riusciva addirittura ad infilare tra le sue finte domande a Berlinguer anche un’affermazione del tutto irrealistica, secondo la quale vi erano più possibilità di costruire il socialismo nel campo occidentale che in quello sovietico; bastava andare a chiedere al povero Allende buonanima quanto fosse vero.

In definitiva Berlinguer smentiva se stesso: da un lato diceva che non si doveva uscire dalla NATO per non turbare l’equilibrio di potenza, dall’altro poi rompeva quell’equilibrio riconoscendo la superiorità morale del sistema occidentale e quindi, di fatto, cambiando schieramento. Si è spesso superficialmente obiettato che il gesto di Berlinguer era stato ininfluente sul rapporto di forza militare tra NATO e URSS, quindi non si potrebbe dare un grande peso a quelle sue dichiarazioni. Ma sul piano della guerra psicologica e di propaganda la scelta di Berlinguer aveva certamente un effetto, e non trascurabile, visto che il PCI era il maggiore partito comunista in Europa. Quando oggi Enrico Letta pretende di spacciare uno scontro tra potenze imperialistiche come una lotta tra il Bene e il Male, si sta muovendo nella linea tracciata in quell’intervista del 1976.
La “sinistra” rinunciava ai suoi “dogmi” per sottomettersi al mainstream; e, per impallinare quei dogmi, i leader continuavano a ricorrere all’intervistocrazia. Nel gennaio del 1978, il segretario della CGIL, Luciano Lama, rilasciò un’intervista ad Eugenio Scalfari, il direttore del quotidiano “La Repubblica”. Lama dichiarava che il sindacato rinunciava a dare la priorità alla rivendicazione salariale e che non si sarebbe opposto ai licenziamenti se le imprese non fossero state in grado di sostenere economicamente quei posti di lavoro. Lama dava quindi credito ad un’immagine di imprenditore idealizzato, interessato esclusivamente all’aspetto produttivo della propria impresa e quindi incapace di sacrificare i posti di lavoro per spostare i capitali dalla produzione alla speculazione finanziaria. Con quella semplice dichiarazione Lama faceva intendere agli imprenditori che c’era il via libera ai licenziamenti ed alla riconversione finanziaria delle imprese. Anche le parole di Lama, come quelle di Berlinguer, non erano solo parole, ma incidevano sull’equilibrio dei rapporti di forza tra le classi. Si potrà sempre dire che i processi di ristrutturazione capitalistica erano comunque in atto, per cui certe interviste sono state dettagli irrilevanti; ma rimane il fatto che un capo sindacale ha cambiato le carte in tavola con un annuncio.
Per compiacere il suo intervistatore, Lama infatti andava persino oltre, lanciandosi in una fustigazione morale nei confronti di quei lavoratori cassintegrati che si impiegavano nel lavoro nero. Come a dire: ti difendo l’operaio solo se si dimostra perfettino e moralmente irreprensibile, cioè mai. Lo stesso inghippo pseudo-logico oggi lo si allestisce sul cosiddetto reddito di cittadinanza: i poveri possono avere diritto al sussidio solo se sono moralmente irreprensibili, e si può difendere i poveri solo se si è moralmente irreprensibili. Il congresso dell’EUR delle confederazioni sindacali si sarebbe svolto nel mese successivo, il febbraio del 1978; quindi con l’intervista di Lama ancora una volta non solo si mettevano gli iscritti davanti al fatto compiuto, ma soprattutto si ribadiva che la struttura organizzata del radicamento sociale diventava secondaria rispetto al rapporto media-leader. La forma-partito è passata dal radicamento sociale al radicamento mediatico, e ciò spiega lo spaventoso potere personale, l’arroganza da guardiani del pensiero, che oggi sono in grado di esibire un Bruno Vespa o un Enrico Mentana.
 
Di comidad (del 12/01/2023 @ 00:10:01, in Commentario 2023, linkato 14071 volte)
La Corte dei Conti ha scoperto che la normativa sulla rotazione obbligatoria dei dirigenti scolastici dopo due incarichi triennali, risulta largamente disapplicata. Si stima che circa un sesto dei dirigenti dovrebbe essere trasferito in altra sede (una valutazione che è probabilmente per difetto); ma si sa che il Ministero dell’Istruzione è abituato ad infischiarsene delle leggi. La stessa figura del dirigente scolastico (quello che una volta si chiamava il preside) si è espansa a dismisura proprio in questo quadro di incertezza normativa. Negli istituti scolastici le leggi ed i regolamenti sono stati soppiantati dal Führerprinzip, il “principio del capo”, per cui è la bizzosa e mutevole volontà del dirigente a fare legge momento per momento. Il dispotismo del preside non trova alcun contrappeso e l’unico elemento di garanzia contro tale strapotere avrebbe dovuto appunto essere la rotazione; salvo accorgersi che il ministero non trasferisce i figli ma solo i figliastri.
L’autonomia scolastica e la cosiddetta “aziendalizzazione” sono state quindi gli slogan pubblicitari, le cortine fumogene, per attuare una feudalizzazione della Scuola, col dirigente a svolgere la funzione di un barone/signorotto che può abusare di tutto e tutti per il proprio tornaconto e di quello dei suoi protettori. Il personale della Scuola in maggioranza ha accettato questa condizione di umiliazione prestandosi anche a forme sordide di collaborazionismo, come il ruolo di delatore e di agente provocatore nei confronti dei colleghi. Il laboratorio-Scuola ha anticipato i comportamenti collettivi poi verificatisi durante la psicopandemia. Il test era tanto più significativo, in quanto applicato su un settore sociale istruito come gli insegnanti, che sono stati condizionati ad aspettarsi la “formazione” dall’alto, e che ormai considera l’informarsi da soli come roba da complottisti/terrapiattisti.
Ma anche ogni tentativo di opporsi a questi processi di feudalizzazione è annegato nella confusione ideologica e nell’acritica cre//]dulità, poiché si è badato troppo alle dichiarazioni astratte della legislazione scolastica e troppo poco al margine di abuso pratico che certe astrazioni concedevano. Un testo di legge è spesso più significativo per ciò che non dice, per quello spazio di illegalità che consente di creare. Lo Stato è un’astrazione giuridica, e quelle che ci vengono spacciate come “istituzioni” sono in effetti un coacervo di potentati basati su relazioni feudali di fedeltà personale o di cosca. Ciò vale anche per quei pochi funzionari indipendenti e benintenzionati, i quali riescono ad operare non in base a leggi o regolamenti, bensì per i rapporti di lealtà personale che riescono a stabilire, senza i quali rimarrebbero nella più totale impotenza. Il fondamento dello Stato, cioè la continuità della funzione, è rimasto allo stadio mitologico; per cui la “funzione pubblica” del singolo funzionario può esplicarsi solo se supportata da rapporti privati ed extraistituzionali (tanto per capirsi: gli amici e gli amici degli amici).

Per impedire che venga attuata la rotazione dei dirigenti scolastici, oggi ci si viene persino a raccontare che l’Anticorruzione avrebbe collocato la Scuola nel novero dei settori a basso rischio corruttivo, in quanto circolerebbero pochi soldi. Quando però si è trattato di umiliare gli insegnanti, l’Anticorruzione non la pensava così; e infatti nel 2019 alcuni agenti della Guardia di Finanza furono inviati in un liceo torinese ad identificare gli insegnanti nelle classi, insinuando che questi mandassero qualcun altro non solo a passare il badge ma anche a fare lezione, magari camuffandosi per ingannare la classe. Forse si è ritenuto che le intimidazioni e le vessazioni inflitte dai dirigenti scolastici non fossero sufficienti, e che occorresse ricordare agli insegnanti che l’aspetto pratico della sedicente “aziendalizzazione” della Scuola consiste nella loro licenziabilità.
Che nella Scuola circolino pochi soldi, è inoltre una notizia priva di fondamento. La digitalizzazione dell’istruzione, i corsi di formazione dei docenti e l’alternanza Scuola-lavoro comportano un giro d’affari non indifferente. Ormai l’istruzione è solo un pretesto, e lo scopo della baracca è il business della digitalizzazione. Il PNRR stanzia una gran quantità di soldi per la Scuola 4.0, una farneticante utopia di istruzione basata su “classi virtuali” (come se adesso fossero reali). Tutti questi costosi gadget tecnologici forniti dalle multinazionali del digitale, dovrebbero ovviamente essere installati in strutture scolastiche fatiscenti sia per ciò che riguarda gli edifici, sia per gli impianti elettrici. Si può dare retta a certi dispendiosi voli pindarici sulla digitalizzazione, solo se si fa finta di credere che l’elettronica possa fare a meno di un’adeguata base elettrotecnica tenuta in costante manutenzione.
I soldi che girano nella Scuola creano appetiti anche nelle Regioni, che vogliono giustamente partecipare al banchetto. Il vero oggetto del contendere della cosiddetta “autonomia differenziata” è infatti il flusso di finanziamenti per la digitalizzazione dell’istruzione. La Sanità è stata un collettore fondamentale per distribuire soldi ad aziende private, ma
la Scuola pare persino più promettente. È infatti lì che vanno a parare i progetti delle Regioni, come il Veneto, che hanno avuto l’ingenuità di scoprire subito le carte e le vere intenzioni.

Da tempo il PD ha scoperto che l’autonomia differenziata “è di sinistra” (e non c’era da dubitarne, considerando i soldi che girano). Al di là delle pantomime polemiche, l’autonomia differenziata è un obbiettivo trasversale, che coinvolge tutti i partiti. Come al solito, anche i pochi che cercano di opporsi cadono nelle trappole propagandistiche. L’autonomia differenziata viene infatti venduta alle popolazioni settentrionali come un modo per far rimanere al Nord i proventi del fisco e così smettere di finanziare il Sud. In realtà il Sud è da sempre strutturalmente sottofinanziato, ed anche i pochi soldi che vengono stanziati non sono spesi, e non per generica “inefficienza”, bensì per perpetuare il ruolo storico di colonie deflazionistiche delle Regioni meridionali.
Le colonie deflazionistiche svolgono la funzione di valvole con le quali è possibile contrarre la produzione e l’economia, in modo da evitare i deficit nella bilancia commerciale e nella bilancia dei pagamenti che possono verificarsi a causa degli eccessivi acquisti di materie prime all’estero. Checché ne dicano i neoborbonici, il Sud preunitario, a parte alcune eccellenze industriali e agricole, era piuttosto povero; però, grazie all’Unità d’Italia, è diventato poverissimo. Sembrerebbe quindi che la legittimazione dell’annessione del Sud sia fondata su una fiaba senza lieto fine. In realtà il lieto fine c’è stato, eccome, per quelle oligarchie meridionali che sono riuscite a riciclarsi come agenzie di autocolonizzazione: dapprima i baroni latifondisti, poi gli eredi dei cosiddetti campieri. Ora che l’intera Italia svolge il ruolo di colonia deflazionistica d’Europa, gli oligarchi meridionali possono emergere alla grande, proprio perché in grado di vantare un know-how secolare nella gestione coloniale. Le oligarchie meridionali hanno trasformato il loro autorazzismo in un’ideologia vincente.
Il razzismo antimeridionale è un espediente propagandistico che non fallisce mai e con il quale è possibile abbindolare qualsiasi uditorio, facendogli smarrire le vere questioni. Anzitutto nel momento in cui le Regioni del Nord Italia vanno ad integrarsi insieme con la Baviera nell’ambito della grande Macroregione alpina, esse diventano a loro volta un Meridione, per cui è molto probabile che finiscano anch’esse a svolgere il ruolo di colonie deflazionistiche. Ma le autonomie sono anche un veicolo di feudalizzazione, cioè di creazione di potentati locali che diventerebbero molto più oppressivi e dispotici dello Stato centrale. Il motivo per cui non ci si accorge di questa ovvietà, è che si leggono le leggi nel modo sbagliato, non facendo caso al margine di abuso di potere che esse offrono. Per non farsi incantare dai finti distinguo di un fan sfegatato dell’autonomia differenziata come Stefano Bonaccini, occorre sapere da ora che una serie di misure che ci verranno presentate come contrappeso allo strapotere feudale delle Regioni, rimarranno poi non attuate.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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