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"Il capitalismo non è altro che il rubare ai poveri per dare ai ricchi, e lo scopo della guerra psicologica è quello di far passare il vampiro per un donatore di sangue; perciò il circondarsi di folle di bisognosi da accarezzare, può risultare utile ad alimentare la mistificazione."

Comidad (2009)
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Una cleptocrazia integrale può permettersi di ignorare non soltanto la strategia ma persino la logica più elementare, perciò non c’è da stupirsi se l’Unione Europea prende decisioni senza senso, poiché il vero senso va cercato altrove. Ma, come si dice, procediamo con ordine. Molti media hanno proclamato enfaticamente e senza mezzi termini che l’UE avrebbe approvato l’adesione dell’Ucraina e della Moldavia, mentre in effetti la cosiddetta “vittoria di Zelensky” consisterebbe soltanto dell’avvio dei negoziati per l’adesione. Purtroppo, anche così ridimensionata, la notizia continua ad urtare il buonsenso.
Mentre l’Europa festeggia l’ennesimo dispetto fatto a Putin e la ritirata di Orban, il quotidiano statunitense “Washington Post” sembra porre la questione in termini un po’ più concreti, ricordando che l’ingresso di un paese disastrato come l’Ucraina comporterebbe la ridiscussione di tutto l’impianto dell’Unione Europea. L’Ucraina è infatti un paese povero che rischia di prosciugare tutto il bilancio dell’UE, ed in più ha un’economia principalmente agricola, i cui interessi contrastano con quelli degli altri agricoltori europei, a cominciare dai polacchi, i quali non potrebbero più vendere il proprio grano ad un prezzo remunerativo.
Ma il realismo del “Washington Post” sfiora appena la superficie del problema, dato che in questo caso mancano i semplici presupposti anche soltanto per avviare qualsiasi negoziato di adesione. Allo stato attuale infatti non si sa quali saranno nel prossimo anno il territorio e la popolazione dell’Ucraina, dato che c’è una guerra in corso; tra l’altro la guerra è iniziata nel 2014, con il golpe di piazza Maidan, il cui movente dichiarato era proprio di forzare l’adesione dell’Ucraina all’UE. Più passa il tempo, più questa guerra mette in forse non solo i confini ma anche la stessa esistenza dell’Ucraina, dato che perdere le zone russofone vuol dire perdere lo sbocco al mare e, di conseguenza, perdere la possibilità di reggere economicamente. Persino la Moldavia, sebbene ufficialmente fuori dal conflitto, presenta anch’essa un territorio “conteso”, cioè già saldamente nelle mani della Russia. Stavolta Putin non c’entra, dato che l’occupazione russa della Transnistria risale addirittura ai tempi di Boris Eltsin. Qualcuno non si spiega proprio perché, dopo il disastro ucraino, gli oligarchi moldavi sentano tanta voglia di mettere nei guai il proprio paese.
Un po’ di senso riappare nell’aria seguendo il filo dei soldi. La ritirata del presidente ungherese Orban era infatti limitata al tema di bandiera, cioè l’adesione dell’Ucraina all’UE, per cui il suo veto si è spostato sulla questione del pacchetto di aiuti da cinquanta miliardi da inviare a Kiev. In cambio Orban chiederebbe lo sblocco di fondi per l’Ungheria. In futuro questo copione potrebbe ripetersi, dato che l’Ucraina è tenuta in vita artificialmente con queste continue trasfusioni di miliardi.

Il dettaglio più interessante sta però nella strana “incoerenza” di Orban, il quale aveva motivato la sua iniziale opposizione all’ingresso di Kiev nell’UE affermando che l’Ucraina è uno dei paesi più corrotti del mondo. In realtà l’incoerenza potrebbe essere solo apparente, ed il motivo per cui l’Ucraina si dimostra davvero interessante potrebbe stare proprio nella sua “corruzione”, che fa appunto da sponda e necessario complemento alla corruzione dell’UE. La domanda ovvia riguarda infatti la sorte effettiva di questi cinquanta miliardi e degli altri pacchetti di aiuti; cioè quanti di questi soldi finiranno nelle tasche degli “oligarchi” ucraini, ma soprattutto quanti ne torneranno sottobanco ai burocrati europei che li hanno stanziati. Il morboso desiderio di inondare l’Ucraina di soldi appare infatti abbastanza sospetto, così come risultano strani tutti quei viaggi a Kiev dei nostri politici ed eurocrati. Sarebbe interessante scrutare nel loro bagaglio tutelato dal segreto diplomatico per accertare se ci sono valigie piene di denaro contante, ovvero della percentuale sul bottino. La difesa dell’Ucraina è un nobile alibi per poter spremere all’infinito il contribuente europeo.
I soldi sono un po’ come Lassie, trovano sempre il modo di ritornare a casa, almeno in parte. Ci sono degli indizi interessanti a riguardo anche per la cleptocrazia statunitense e per la sua appendice israeliana. Gli USA sono circondati da oceani e i paesi vicini sono deboli, perciò gli USA non hanno mai dovuto temere un’invasione, infatti la loro guerra più sanguinosa è stata quella civile tra unionisti e confederati. Questa felice condizione di isolamento ha consentito al racket statunitense i suoi eccessi di interventismo all’estero. Gli oligarchi statunitensi non hanno dovuto preoccuparsi della difesa del proprio territorio dalle cosche rivali e quindi hanno potuto evolversi in cleptocrazia compiuta, concentrandosi sugli affari oltre confine, inventandosi un "enemy business” in base alla fiaba che all’estero ci sarebbero nemici ovunque. Ciò ha consentito la formazione di un “capitalismo del Pentagono” e di un analogo capitalismo della CIA e della NSA. Si tratta di un sistema di commistione tra pubblico e privato, tra agenzie governative e multinazionali; un sistema che manipola il mercato, saccheggia il denaro pubblico e si riproduce in funzione non del generico “profitto” ma degli arricchimenti personali.
La più originale di queste truffe al contribuente americano è stata il rapporto speciale con Israele, che ha determinato l’inedito storico di una superpotenza che antepone gli interessi di un paese straniero ai propri, e persino la sicurezza di un paese straniero alla propria. Come è noto, la principale lobby pro-israeliana che opera a Washington è l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee). La sua principale attività consiste nel “convincere” i congressmen ed i senatori statunitensi a stanziare fondi pubblici per sostenere Israele.
L’AIPAC lavora talmente bene che mamma Washington dichiara sfacciatamente di essere più affezionata ai cittadini israeliani che ai propri figli, e trasforma il contribuente americano in una vacca da mungere per tenere in vita artificialmente un paese che altrimenti non ce la farebbe a sopravvivere autonomamente. Il cialtrone Trump, quello dello slogan “America first”, si era fatto eleggere con i voti degli evangelici (antisemiti ma ultra sionisti) che sostengono Israele e collaborano con l’AIPAC, perciò anche lui si atteneva allo schema “Israel first”. Ciò a conferma del fatto che ogni cambiamento dello zimbello della Casa Bianca lascia il tempo che trova.
Che gli oligarchi di Washington se ne sbattano dei cittadini americani è assolutamente credibile, mentre invece lo è molto meno questa appassionata premura per le sorti di Israele; infatti ci sono vari indizi che fanno capire che non è amore disinteressato. La stessa AIPAC, con altre organizzazioni che le fanno da contorno, si incarica di organizzare e pagare, attraverso la raccolta di ”donazioni”, dei viaggi “educativi” in Israele per i congressmen americani che hanno votato per stanziare i fondi. La motivazione ufficiale è che in tal modo i parlamentari potranno crescere moralmente ed intellettualmente grazie al contatto diretto col paradiso israeliano, per poi, come Marco Polo, illustrare nei loro discorsi le mirabilie che hanno visto e appreso in quei viaggi di istruzione. Qualcuno potrebbe chiedersi il motivo per cui è necessario ai congressmen disturbarsi ad andare fino in Israele o in Ucraina a riscuotere direttamente il cash, invece di farsi pagare con criptovalute, oppure col solito conto numerato in qualche banca di paradisi fiscali, come fanno da anni i trafficanti di droga. In questo caso però non si tratta di denaro “dark”, di provenienza illegale, che va ad un’altra destinazione illegale, per essere poi investito alla luce del sole dopo una serie di lavaggi. Qui si tratta di riciclare denaro pubblico e trasparente, contabilizzato in bilanci ufficiali, che deve essere illegalizzato e oscurato in modo da rimandarne clandestinamente una parte al legislatore che ha votato per stanziarlo, il quale si incarica lui di riciclare il cash. La transazione in contanti è ancora l’unico sistema per cancellare ogni traccia della fonte pubblica del denaro, per cui vedremo ancora tanti viaggi a Kiev ed Tel Aviv.
 
Di comidad (del 14/12/2023 @ 00:06:56, in Commentario 2023, linkato 8521 volte)
Nel 1968 Mario Capanna e soci andavano a contestare una Prima della Scala che rappresentava un rituale di autocelebrazione dell’establishment. Ai primi dell’800 la borghesia aveva già dimostrato la sua inconsistenza non solo come classe dirigente ma anche come classe sociale, perciò si era aggrappata prima al cesarismo napoleonico, poi alla Restaurazione, poi alla parodia del bonapartismo di Napoleone III. In Inghilterra, in Germania e nel resto d’Europa la mitica borghesia cercava i suoi punti di riferimento nei residui dell’aristocrazia, di cui imitava anche i rituali, dalle prime dell’Opera ai balli delle debuttanti. Nel ‘900 la cosiddetta borghesia avrebbe addirittura abbandonato la sua retorica liberale per gettarsi nelle braccia del fascismo e del nazismo, che vennero coltivati e vezzeggiati non solo in Italia e Germania ma da tutte le oligarchie del mondo. Fino a qualche decennio fa però il mito borghese permaneva e l’establishment italico andava a specchiarcisi ogni anno, fingendo di ascoltare un’opera di cui non fregava nulla a nessuno dei presenti.
Ma adesso alla Scala cosa celebra l’establishment? I media ci fanno sapere che il pubblico della Scala ha riservato oltre dieci minuti di ovazione a Liliana Segre, una sopravvissuta di Auschwitz, che nel 1945 era stata liberata grazie all’arrivo dei russi, con i quali oggi siamo in guerra, alleandoci con dei nazisti. Durante l’ovazione qualcuno avrebbe gridato “viva l’Italia antifascista”, prendendosela con un governo guidato da nostalgici fascisti, di cui fa parte un Matteo Salvini che fa il raccattanazisti in giro per l’Europa a fini elettorali, ma poi a Roma è la star della manifestazione contro l’antisemitismo, e plaude ad un genocidio di palestinesi commesso sempre in nome della lotta all’antisemitismo; un genocidio supportato e finanziato da armi, copertura diplomatica e soprattutto soldi degli Stati Uniti, il cui Congresso è dominato da una “Israel lobby”, composta in stragrande maggioranza non da ebrei ma da cristiani evangelici, antisemiti ma sionisti. L’attuale establishment va quindi alla Scala a celebrare la propria confusione, il proprio caos.
C’è stata una recentissima occasione (finora mancata) per riproporre la questione sulla fondatezza della mitologia borghese. La scorsa settimana a Trieste è morto Alfredo Maria Bonanno, la figura più nota dell’anarchismo italiano del dopoguerra, considerato dai media l’ideologo della cosiddetta “galassia” anarco-insurrezionalista. I media non hanno neanche parlato male di Bonanno, solo che, come prevedibile, tutto si è ridotto alle solite questioni: lotta armata, violenza, eccetera. L’attenzione mediatica si è concentrata soprattutto su un suo opuscolo del 1977, “La gioia armata”; un testo che è diventato un best-seller internazionale, e pare che faccia parte dei testi d’esame per entrare a lavorare alla Digos. Bonanno aveva intuito, molto prima di tutti gli altri, che la questione della violenza sarebbe diventata la forca caudina nella quale ogni opposizione sarebbe andata a strisciare e sottomettersi. Il mantra ricattatorio del politicamente corretto ormai è risaputo; sì, hai rinunciato alla violenza ma non l’hai condannata del tutto; sì, forse l’hai condannata ma non come dovevi condannarla; per cui si è sotto esame all’infinito. A furia di condanne della violenza anche la nozione di terrorismo si è dilatata, basta un’invettiva o una semplice critica ai potenti sui social, per ritrovarsi la Digos alle calcagna. La strategia di Bonanno per non cadere nella trappola è stata quella di andarci allo scontro, di scandalizzare i politicorretti: non solo non condanno la lotta armata, ma ne faccio pure un percorso edonistico ad uso degli oppressi. Il problema però è che nella teoria di Bonanno il tema della lotta armata non è affatto quello centrale. Fare citazioni si presta all’obiezione di aver operato una decontestualizzazione; ma fare una citazione precisa è pur sempre meglio dell’andazzo attuale, che è quello di attribuire a qualcuno frasi che non ha mai detto, perciò è il caso di rileggere due piccoli brani tratti da “La gioia armata”.

“Questa idealizzazione del lavoro ha ucciso, fino ad oggi, la rivoluzione. Il movimento degli sfruttati è stato corrotto tramite l’immissione della morale borghese della produzione, cioè di qualcosa che non è solo estranea al movimento, ma gli è anche contraria. Non è un caso che la parte a corrompersi per prima sia stata quella sindacale, proprio perché più vicina alla gestione dello spettacolo produttivo” … “In sostanza, il capitale, nella sua estensione fisica attuale, è vulnerabile da parte di una struttura rivoluzionaria che può decidere i tempi e i modi dell’attacco. Il capitale sa perfettamente questa debolezza e corre ai ripari. La polizia non gli basta. Nemmeno l’esercito. Ha bisogno di una vigilanza continua da parte della gente. Anche della più umile parte del proletariato. Per far ciò deve dividere il fronte di classe. Deve diffondere tra la povera gente il mito della pericolosità delle organizzazioni armate, il mito della santità dello Stato, il mito della moralità, della legge e così via.”
Bonanno ci parlava dunque di “morale borghese della produzione” e di un “capitale” che si difende dagli attacchi non soltanto con eserciti e polizie ma anche con i miti imposti alla povera gente, come la santità della legge e dello Stato. E se invece il principale mito fosse proprio il “capitale”? Siamo sicuri di essere davvero dominati da questo meccanismo razionale, quantitativo ed economicistico? Esiste davvero questa “morale borghese della produzione”, oppure se l’è sognata Max Weber? Lo stesso concetto di borghesia sarebbe tutto da verificare, dato che l‘osmosi con la delinquenza comune è un elemento costitutivo di qualsiasi establishment. Il rischio è infatti quello di analizzare e contrastare un sistema di potere in base ai suoi spot pubblicitari, per cui la rivoluzione finisce per idealizzare il sistema che dovrebbe combattere.
Su una cosa Bonanno aveva sicuramente ragione: il lavoro non ha mai “liberato” nessuno. D’altro canto nella società industriale le grandi concentrazioni di centinaia di migliaia di operai in uno stesso territorio erano comunque un contrappeso sociale, un fattore di riequilibrio dei rapporti di forza tra le classi; quindi si è avuto un po’ di ascensore sociale ed un po’ di redistribuzione del reddito; tutto ciò poteva comportare l’apparenza di una società tendente ad un ordine e ad un “progresso”. Ma dietro queste apparenze rassicuranti covava nelle oligarchie l’ombrosa gelosia del privilegio e un desiderio di vendetta sociale, che in Italia già all’inizio degli anni ’60 era leggibile nelle relazioni del governatore della Banca d’Italia. Dalla fine degli anni ’70 infatti si è assistito nelle società occidentali ad una deindustrializzazione ed una finanziarizzazione dell’economia. E perché mai le lobby finanziarie dovrebbero temere gli “attacchi” e i disordini?
Guerre, terrorismo, pandemie, cioè tutte le combinazioni dell’allarmismo e dell’emergenzialismo, fanno lievitare gli indici di Borsa, indirizzano la spesa pubblica verso il business delle armi, il business della sicurezza e il business farmaceutico. In altri termini, il business della confusione e del caos. E tutto è regolato da trattative dirette tra le multinazionali ed i loro politici di riferimento, mentre il “libero mercato” lo si lascia ai gonzi che ci credono. Il bello dell’essere criminali, come la Ursula von der Leyen e Robert Bourla, è che non c’è bisogno di complottare per comportarsi da criminali; viene naturale, tanto poi le complicità scattano in automatico. Per capire come funziona la cleptocrazia del capitalismo reale forse è meglio lasciar perdere il manuale di economia e consultare invece il codice penale, quando si parla di reati finanziari come l’aggiotaggio e la manipolazione del mercato. Tutte le bolle mediatico-finanziarie rientrano in quelle categorie di reato. Nessun sistema finanziario può funzionare senza il suo risvolto illegale, come nessuna banca può sottrarsi al ruolo “istituzionale” di lavanderia del denaro sporco. La legge non è fatta per essere rispettata, bensì per creare uno spazio vantaggioso di illegalità, riservato però ai privilegiati. Le cosiddette teorie cospirative presuppongono una visione ultra-ottimistica del potere, per la quale compiere abusi ed illegalità non rappresenterebbe la consueta routine del sistema di dominio, bensì una deroga che richiederebbe una congiura preventiva. Va anche detto però che molto spesso l’etichetta mediatica di “teoria della cospirazione” viene applicata apposta per ridicolizzare coloro che in realtà stanno parlando di pratica della corruzione.
La magistratura è costretta a garantire l’impunità ai privilegiati perché purtroppo deve occuparsi di pericoli ben più seri, come la “galassia” anarco-insurrezionalista. Il fatto di sottovalutare il loro grado di criminalità non è l’unico torto che si fa alle nostre oligarchie, in quanto non si apprezza a sufficienza quanto si curino persino della nostra vena ludica, proprio come gli animatori nei villaggi turistici. Siamo infatti comandati da criminali che offrono ai propri sudditi un “luna park” in cui divertirsi, giocando a farsi da poliziotti gli uni con gli altri, come si è visto durante la psicopandemia.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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