Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La miliardariolatria, ovvero il culto messianico nei confronti dei ricconi, ha come ovvio risvolto la miliardariomachia, cioè l’epica lotta tra miliardari. Giorni fa
sono volati stracci tra gli ex sodali Trump e Musk, un tempo alleati contro l’altro miliardario Soros. Ma, tra uno straccio e l’altro, è balenato anche un piccolo lampo di verità, quando Trump ha rinfacciato a Musk la sua dipendenza dai contratti con le agenzie governative. Trump ha omesso di ricordare che Musk, e gli altri boss “privati”, vivono non solo di appalti pubblici ma anche di sussidi pubblici, ma vabbè. Qualche mese fa Michele Serra favoleggiava su un Musk così potente da potersi ormai permettere di “sostituire la democrazia con l’efficienza”; come a dire: sostituire la chimera con l’ircocervo. Ma per smontare le allucinazioni sulla presunta esistenza di una tecnocrazia, è sufficiente quel piccolo dettaglio della totale dipendenza delle corporation multinazionali dal denaro pubblico; o, per meglio dire, dal denaro dell’unico vero contribuente, quello povero che non può rivalersi su nessuno. La tecnocrazia è un mito auto-celebrativo delle oligarchie, mentre la cleptocrazia è la loro prosaica realtà.
Il genocidio a Gaza ha resuscitato uno dei mantra del politicamente corretto, cioè i “due popoli, due Stati”, provocando il disappunto dei sionisti nostrani, che hanno lanciato la rituale accusa di favorire Hamas. Insomma, le solite chiacchiere e i consueti sbrodolamenti su antisemitismo e antisionismo; eppure, proprio in questi giorni, grazie ad un giornale belga era circolata una notizia concreta, cioè che l’entità coloniale sionista è una bolla gonfiata non solo dal denaro pubblico degli USA, ma anche da quello dell’Unione Europea. Israele, come entità indipendente, non esiste. Un dettaglio spassoso: se si digitano su Google le parole “Israele fondi UE”, Ai Overview avvisa di non essere disponibile per questa ricerca; quindi anche l’intelligenza artificiale ha i suoi tabù, dichiarando da sola di essere imbecillità artificiale. L’imbecillità non consiste in deficit di intelligenza ma nell’impegnarla su domande sbagliate, magari facendosi distrarre dal bubbone sionista perdendo di vista la pestilenza che ne è la causa. Bisognerebbe chiedersi
quanto durerebbe Israele senza le armi e i soldi occidentali, ed anche senza la Turchia che oggi toglie le castagne dal fuoco a Netanyahu in Siria e in Libano. Così magari ci si chiederebbe pure perché Putin accetta di condurre negoziati ad Instanbul, continuando a fingere che la Turchia sia un paese neutrale e non il collaboratore del MI6 in Siria.
Oggi la politica è fintocrazia, il luogo della logomachia e dell’intrattenimento da talk show, mentre il sistema funziona come un dispositivo automatico alimentato dal movimento inerziale del denaro pubblico. Due anni fa circolava
una strana notizia, cioè che numerose agenzie di lobbying si erano messe a disposizione dell’Ucraina del tutto gratis, “pro bono”. Il motivo è ovvio, dato che sposare la causa ucraina vuol dire, in termini concreti, che una massa di denaro pubblico va nella direzione degli appalti alle multinazionali delle armi, le quali, a loro volta, ripagano i politici che hanno votato a favore della spesa e i lobbisti che gli hanno scritto le leggi. Non c’è decisione politica, è il denaro a trascinare la cordata.
Il lobbying non è uno strumento neutro, deve per forza sposare la causa della guerra, perché la pace ha il brutto difetto di non aver bisogno di appalti pubblici. Neanche i media sono uno strumento neutro; episodicamente i media possono anche dare qualche notizia vera, ma la loro funzione essenziale è quella di negare l’evidenza, di camuffare la realtà. Basti pensare a quanto tempo ci ha messo a farsi strada una parola lucidamente descrittiva come “deindustrializzazione”. In Italia il processo di deindustrializzazione è cominciato alla metà degli anni ’70 ed ha accelerato negli anni ’80. Per i media non è stato difficile dissimulare la deindustrializzazione del Meridione negli anni ’70-80, poiché era sufficiente far leva sui pregiudizi: il Sud non veniva deindustrializzato perché le industrie non c’erano mai state. Per il Nord, e per Milano in particolare, la narrazione doveva essere più suggestiva, perciò la deindustrializzazione è stata avvolta dal fumo mitologico della “Milano da bere”, ovvero la città non solo della Borsa e della moda (cosa che Milano era sempre stata), ma soprattutto
città vetrina idrovora del denaro pubblico, fino ai picchi di spesa dell’Expo del 2015.
Da quell’anno, e da quel fiasco, il mito milanese ha iniziato un declino, sancito definitivamente dalla debacle sanitaria del Covid, che nei sogni della Giunta Fontana avrebbe dovuto rappresentare un Expo di capacità sanitarie, risolvendosi invece in un disastro. L’emergenza Covid è stata così scippata alla Regione Lombardia e gestita dal governo, in particolare dal ministro Speranza che ha potuto girare la manopola del rubinetto della spesa. Ma si potrebbe anche dire che sia stato il lobbying farmaceutico e informatico a girare Speranza.
Questo è il punto: con la deindustrializzazione l’appalto pubblico diventa il motore di tutto. Quel po’ di industria che rimane si concentra sulle armi e sui sieri a manipolazione genetica, in quanto ultime roccaforti dell’alta tecnologia e dell’alto valore aggiunto; ma il principale cliente è sempre il governo, che infatti oscilla tra emergenze sanitarie ed emergenze belliche, cioè spendere in presunti “vaccini”, oppure in armi da scegliere tra le più costose.
Lo sviluppo industriale invece forniva non solo una solida base produttiva, ma anche una vasta base di consumatori, una domanda in costante aumento per effetto della crescita industriale stessa, che comportava sempre nuovi addetti e quindi nuovi salariati. Non solo l’oligarchia, ma anche l’establishment nel suo complesso, hanno accolto con compiacimento la scomparsa del contrappeso rappresentato dalle grandi concentrazioni di operai industriali. La scomparsa delle concentrazioni operaie e del conseguente dinamismo sociale, venne salutata dai media come “fine delle ideologie”, ovvero come adesione obbligatoria all’unica ideologia consentita, il calabrachesimo. Persino il ceto politico ha favorito la deindustrializzazione, senza rendersi conto che in tal modo stava rendendo superfluo il suo ruolo di mediazione sociale, un ruolo che comportava anche la possibilità di gestire l’economia. Non che i politici di un tempo fossero complessivamente meno parassiti e carrieristi di quelli attuali; ma, senza più un solido contraltare sociale, la politica diventa orpello ed i politici burattini del lobbying, quindi agevolmente sostituibili in blocco. Se si ascoltano
le ultime interviste rilasciate da Bettino Craxi, ci si rende conto di quanto il personaggio sia rimasto fino alla fine legato a beghe di bottega contro comunisti e magistrati, perciò del tutto inconsapevole di aver contribuito, assecondando la deindustrializzazione, a tagliare il ramo su cui il ceto politico era appollaiato. Tra l’altro fu proprio Craxi a diventare il maggiore propagandista dello slogan della “governabilità”. Lo slogan era stato lanciato nel 1975 dalla Commissione Trilaterale in un documento che, dietro
una vuota retorica tecnocratica, prefigurava una società ultra-gerarchica e stagnante, senza redistribuzione del reddito; una società nella quale la deflazione rende tutti (a cominciare dai governi) degli ostaggi della lobby dei creditori.
Le notizie vecchie sono spesso più istruttive delle nuove. Se si vuole capire il motivo dell’incantesimo che circonda Israele, e di tutte le timidezze e i distinguo con i quali viene affrontato il genocidio a Gaza, allora risulterà utile sapere che in Israele sono presenti quasi tutte le grandi aziende del mondo, non solo per fare accordi di investimento con le industrie e le autorità locali, ma anche per alimentare un giro di “startup”, cioè di nuove aziende che nascono e muoiono in breve tempo con la scusa di seguire l’onda del mercato. Non per niente le effimere startup sono uno degli strumenti preferiti per l’evasione fiscale e il riciclaggio. Quando uno sente le parole evasione fiscale e riciclaggio non sarà difficile associarle a
Stellantis, che infatti ha il suo giro di startup in Israele.
Ma non deve neanche sorprendere che in Israele ci sia
una ex azienda pubblica come l’ENEL. Il fatto che oggi l’ENEL sia una multinazionale non spiega il motivo per cui essa vada ad investire in un paese costantemente in guerra. Un paese in cui chi se lo può permettere, come appunto i tecnici qualificati, coglie l’offerta al volo se si tratta di svignarsela e cambiare aria in cerca di quieto vivere. Ovviamente la comunicazione ufficiale cerca di ridurre il fenomeno al cosiddetto
trauma del 7 ottobre. La realtà è che la labilità demografica di Israele era già evidente da tempo, dato che persino l’attività agricola delle colonie israeliane in Cisgiordania dipende non solo dai
finanziamenti degli evangelici americani, ma anche dal loro lavoro al momento del raccolto.
Oltre al riconoscere l’utilità delle notizie stagionate, un’altra accortezza nell’orientarsi nella comunicazione ufficiale, è quella di considerare che il mentire troppo porta a dire la verità. Per sostenere una menzogna palese si mette a supporto una notizia vera, che risulta però istruttiva in un modo imprevedibile per chi legge. L’urgenza di mentire ha fatto un brutto scherzo anche a Federico Rampini, che l’anno scorso, per avallare la balla sui successi del sistema antiaereo israeliano, diede al lettore una dritta utile, cioè la pioggia di denaro che fu riservata da Ronald Reagan ad Israele nell’ambito del progetto delle “Guerre Stellari”. Rampini si dimenticava di sottolineare che l’attacco iraniano dell’aprile del 2024 era stato annunciato con ore di anticipo, che non era stato preso di mira nessun obbiettivo civile, che a difesa di Israele c’erano schierati intercettori americani, britannici e francesi; e che, nonostante ciò, vari missili iraniani avevano raggiunto ugualmente le basi militari israeliane. Ma in fondo aveva ragione Rampini, cioè la notizia più importante era il
pretestuoso giro di denaro messo in piedi tra Israele e USA dall’amministrazione Reagan in nome del business di una illusoria sicurezza.
Gli Houthi in questo momento sono i soli a fare qualcosa di veramente concreto contro il genocidio perpetrato a Gaza dall’IDF; inoltre i loro lanci di missili su Israele mettono in evidenza la gigantesca frode che è stata confezionata negli anni ’80 sul falso mito di uno scudo antiaereo. Se Israele non fosse Israele, l’aeroporto Ben Gurion sarebbe stato già considerato zona morta per tutte le compagnie aeree del mondo, che invece devono andare avanti a colpi di
sospensioni “temporanee” dei voli, che peraltro durano da mesi.
Secondo dati riportati nell’ottobre del 2024 dalla rivista “Politico”, nell’ultimo decennio ci sono stati con destinazione Israele più di diciassettemila viaggi di parlamentari statunitensi, o membri del loro staff; quindi i viaggi in Israele hanno superato di gran lunga per numero tutti quelli che hanno riguardato l’emisfero occidentale e l’Africa messi insieme. Il fatto che i parlamentari viaggiano a carico di organizzazioni considerate caritatevoli, e che quindi non pagano tasse, per poi essere ospitati in hotel di lusso, spesso insieme alla famiglia, già di per sé configurerebbe il reato di corruzione. In realtà la questione è ancora più sconcertante, dato che questi congressmen viaggiatori non si limitano a fare standing ovation ai discorsi di Netanyahu, ma stanziano decine di miliardi di dollari ogni anno a favore di Israele. Non ci vuole una mente superiore per capire che in questi viaggi i congressmen vanno in Israele a riscuotere la loro parte del bottino al riparo da qualsiasi controllo. Si spiega così l’impunità israeliana, in quanto Israele stesso è una costruzione in funzione dell’impunità delle cleptocrazie. In definitiva
sono proprio i conflitti di interesse, la corruzione e l’illegalità a produrre le gerarchie sociali e internazionali.