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"Gli errori dei poveri sono sempre crimini, mentre i crimini dei ricchi sono al massimo 'contraddizioni'."

Comidad (2010)
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Di comidad (del 24/12/2025 @ 00:06:20, in Commentario 2025, linkato 4216 volte)
La genesi storica delle talassocrazie è strettamente intrecciata con la pirateria. Negli ultimi giorni di dicembre del 1600 fu costituita la Compagnia Britannica delle Indie Orientali, che, secondo alcune ricostruzioni storiche, fu anche una delle prime società per azioni, quindi l’antenata delle attuali multinazionali. Ovviamente la Compagnia esisteva già prima di formalizzarsi legalmente, ed era una delle tante associazioni a delinquere dedite alla pirateria. La legalizzazione della Compagnia delle Indie fu un episodio di cronaca di notevole risonanza e se ne trovano tracce anche nella letteratura. L’Amleto fu pubblicato tra il 1602 e il 1603, ma scritto nel corso dei due anni precedenti; nel terzo atto dell’Amleto il re Claudio dice che nelle “correnti corrotte” di questo mondo spesso la mano aurea del delitto riesce a spostare la bilancia della giustizia a proprio favore, e ciò proprio usando i proventi del delitto per comprarsi la legge.
La talassocrazia statunitense è considerata l’erede della talassocrazia britannica; perciò il fatto che l’amministrazione Trump abbia adottato la prassi di abbordare e saccheggiare le navi che trasportano petrolio venezuelano, è considerata da alcuni come una regressione infantile ai primordi pirateschi della talassocrazia, a prima del diritto internazionale della navigazione ed a prima della globalizzazione. Potrebbe essere un’interpretazione abbastanza valida se opportunamente dimensionata, cioè se si evita di credere che davvero esistesse un diritto internazionale e non un suo simulacro. Un trattato internazionale sul diritto della navigazione (l’UNCLOS) è stato firmato dagli USA nel 1982, ma mai ratificato dal senato; ciò nella pratica ha significato per Washington applicare il trattato solo nei casi in cui gli faceva comodo.

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Di comidad (del 18/12/2025 @ 00:05:00, in Commentario 2025, linkato 5313 volte)
Giustamente l’Azione Cattolica ha condannato la decisione delle autorità venezuelane di ritirare il passaporto al cardinale Porras, impedendogli di uscire dal paese per recarsi in Spagna. Il disdicevole episodio si inserisce in una serie di atti paranoici da parte del regime di Maduro, il quale, nonostante i benefici effetti delle sanzioni economiche statunitensi, non riesce ad evitare che la popolazione versi in “condizioni sempre più difficili”.
Davvero vergognoso. C’è anche chi cerca attenuanti per il comportamento di Maduro, ricordando come il ragazzo abbia avuto molti cattivi maestri, tra i quali andrebbe annoverato non solo Chavez, ma anche lo stesso cardinale Porras. In un’intervista del 2017 il cardinale non ha esitato a dare la colpa a Maduro per la morte di un sacerdote in seguito a un’emorragia cerebrale. La mancanza del farmaco che, secondo Porras, avrebbe potuto salvare lo sventurato, ovviamente non andrebbe ascritta alle sanzioni, ma a Maduro in persona.
In base a criteri di attribuzione di responsabilità così oculati e oggettivi, lo stesso Maduro può aver pensato che sia colpa di Porras se le forze armate statunitensi uccidono delle persone che navigano su imbarcazioni civili nelle acque dei Caraibi. Persino due naufraghi superstiti ad un primo attacco, sono stati poi uccisi dai proiettili statunitensi mentre si aggrappavano ad un relitto della loro imbarcazione. Negli USA l’episodio ha suscitato “perplessità e preoccupazione” da parte di alcuni parlamentari democratici; insomma una reazione davvero energica che ha inchiodato Trump ed Hegseth alle loro responsabilità. Chissà, può darsi che di questo passo forse la prossima volta i parlamentari democratici potrebbero persino contestare a Trump ed Hegseth di essere stati un po’ troppo bruschi e sbrigativi. Porras invece non si è accorto di nulla; il che dimostra quanto il cardinale sia equilibrato e imparziale, perché avrebbe potuto accusare Maduro dell’accaduto, e l’Azione Cattolica ci avrebbe immediatamente creduto.
Secondo alcuni analisti il documento di National Security Strategy dell’amministrazione Trump indicherebbe che Maduro non è l’unico bersaglio, e neppure il principale. Pare infatti che Trump voglia imporre al Brasile una svolta economica che implichi la cessazione dei rapporti con la Cina e rafforzi la dipendenza dagli USA.

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Di comidad (del 16/12/2025 @ 00:07:27, in Documenti, linkato 2560 volte)
Quando gli Stati Uniti pretendevano di sedurre piuttosto che dominare

«Il presidente Trump non capisce il “soft power” ,
è quanto di recente affermava con rammarico Joseph Nye,
l’inventore della nozione “potenza morbida”. Questo tipo di potere
d’influenza, soprattutto culturale, del quale si servirebbero
gli Stati Uniti per soggiogare il mondo, ha esso stesso sedotto
numerosi intellettuali. Il suo successo è dovuto in particolare al fatto
di ricoprire con un gentile guanto di velluto il pungo d’acciaio della coercizione.

Dal momento in cui è stata enunciata nel 1990 dal politologo e specialista del potere americano Joseph Nye, la nozione di soft power - «potenza morbida» - si è imposta per descrivere la diplomazia di influenza associata alla mondializzazione liberale americano-centrica che arriva alla sua fine sotto i nostri occhi. Ripresa sia in Cina che in Europa, è stata a lungo utilizzata nei discorsi dei politici, degli esperti e nei commenti dei media. Al tempo del grande riarmo, dello sfilacciamento del diritto internazionale e della crescita degli impulsi di un etno-nazionalismo aggressivo, il soft power non riesce più ad avere presa sulle realtà mondiali – ammesso che ne abbia mai avuta.

Quando attacca l’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (Usaid), Donald Trump prende di mira una istituzione concepita per lottare contro il comunismo, e più recentemente, contro dei cosiddetti regimi «illiberali», diffondendo un’immagine favorevole del «mondo libero». Alla volontà di conquistare i cuori e le coscienze si sostituiscono ormai i rapporti di forza con le grandi potenze (Cina, Russia) e di dominazione brutale con i «deboli» (Panama, Colombia, Palestina, ecc.)
«I forti fanno ciò possono e i deboli sopportano ciò che devono» : la formula degli Ateniesi resa celebre da Tucidide si s’addice alla diplomazia trumpiana.
[Più precisamente, Tucidide diceva: I forti fanno ciò che devono fare e i deboli accettano ciò che devono accettare. N.d.T.]

La critica della potenza dolce rimane comunque necessaria perché, al di là della debolezza teorica1, essa maschera più di quanto non sveli delle poste in gioco del potere geopolitico. Il concetto trova la sua origine nella indagine americana sul ruolo e sulla collocazione del paese nelle relazioni internazionali alla fine della guerra fredda: la mondializzazione dei flussi sembrava mettere a rischio le politiche di potenza «classiche». Nelle sue pubblicazioni degli anni ‘902, Nye intendeva dissipare l’ipotesi del declino americano, largamente diffusa nel corso del precedente decennio, e orientare in maniera prescrittiva il dibattito pubblico al fine di «garantire la posizione degli Stati Uniti come Stato più grande e più potente alla fine del XXI secolo. Il potere «soft» doveva formare lo strumento ideologico-politico di quella impresa. Nye lo definisce come l’insieme delle risorse immateriali che producono effetti «osservabili ma intangibili» di attrazione nelle relazioni internazionali in grado di condurre alla convergenza attorno a politiche favorevoli allo «Stato dominante». Tutto si basava, secondo Nye, sul carattere globalmente «seducente » dei valori americani, «l’attrazione della cultura [e] degli ideali politici» e la capacità di istituzionalizzare un ordine che legittimasse le preferenze di quello Stato. Poiché disponevano «da molto tempo di una grande potenza morbida», gli Stati Uniti sarebbero stati in grado di utilizzarla allo scopo di evitare il ricorso « al costoso esercizio della coercizione o della forza» grazie al «consenso» volontario di altre società e Stati.

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Di comidad (del 11/12/2025 @ 00:05:39, in Commentario 2025, linkato 5449 volte)
Cos’è peggio per il sionismo in termini di comunicazione? Che si possa criticare liberamente Israele, oppure associare la propria immagine a quella di Maurizio Gasparri? La risposta dovrebbe essere ovvia, eppure il sionismo ufficiale ha dato il suo pieno appoggio al DDL Gasparri, che da un lato identifica l’antisionismo con l’antisemitismo, ma dall’altro lato identifica la difesa del sionismo con la faccia di esponenti della fintocrazia, cioè personaggi privi di una propria consistenza, e che si accreditano solo in quanto cheerleader del potente di turno. Il fatto che la politica non abbia più iniziativa propria ma si muova solo per sollecitazioni lobbistiche, comporta l’impossibilità di produrre una propaganda narrativamente coerente, e quindi il ripiego su spot pubblicitari ad hoc. In questi spot si verifica però uno strano rovesciamento della logica pubblicitaria: non è più il testimonial dello spot a trasmettere la propria credibilità al prodotto, ma è il prodotto a dover accreditare il testimonial, con l’effetto scontato di deteriorare ulteriormente l’immagine di entrambi. Una sorta di suicidio iconografico.
Anche il contenuto dello spot è un controsenso pubblicitario; visto che è diventato impossibile parlare bene del prodotto, allora si vorrebbe impedire di parlarne male. Gasparri ha trovato emuli e imitatori anche all’interno del PD. D’altra parte c’è nella cosiddetta “sinistra” una tradizione di politicamente corretto che ha aggirato e raggirato la mitica certezza del diritto, inventando i reati d’odio.
In base al DDL proposto da Gasparri, sarebbe antisemita chi mette in discussione il diritto di Israele a esistere; ma l’esistere è indissociabile dal definirsi. Nel momento in cui Israele non si decide a dichiarare i propri confini, e neppure dove dovrebbero fermarsi le proprie aspirazioni territoriali, è Israele stesso a negarsi il diritto di esistere; e non solo perché sta minacciando i suoi vicini di muovergli una guerra infinita, ma soprattutto perché sta minacciando le tasche del contribuente americano, che dovrebbe sostenere i costi infiniti di questo espansionismo illimitato. Probabilmente dire “Israele” è ormai una semplificazione eccessiva, dato che i coloni sono diventati un potere a sé stante, dotato di propri armamenti e di propri canali di finanziamento; d’altra parte le varie fazioni del sionismo hanno comunque un denominatore comune, che non è solo la violenza sanguinaria ma anche la voracità finanziaria. Così ci si spiega una destra americana che da filo-sionista diventa sempre più antisionista; perché si è insinuato il sospetto che Israele non sia altro che la proiezione di una cleptocrazia, cioè un pretesto per derubare i contribuenti. Il termine “contribuente” ormai si identifica con i ceti più poveri, dato che i ricchi eludono sempre più il fisco, sia grazie alla mobilità dei capitali, sia per i continui sgravi di imposta concessi alle corporation a causa della crescente concorrenza fiscale tra gli Stati; concorrenza anch’essa dovuta alla mobilità dei capitali. La fiaba liberista spaccia la mobilità dei capitali come una Provvidenza che fluttua per il pianeta ad offrire opportunità e a premiare i virtuosi; nella realtà invece la mobilità dei capitali ha sradicato completamente le oligarchie dalle proprie popolazioni, per cui le oligarchie sono diventate cleptocrazie integrali.

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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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