La storia dei droni e jet di Putin sulla Polonia e sull’Estonia ha suscitato in molti una struggente nostalgia per i bei tempi di una volta, quando gli UFO venivano avvistati nei cieli e gli ufologi erano chiamati a illuminarci su cosa accadeva. La narrativa ufologica, pur ricca di aneddotica, alla fine però rimandava sempre al mistero, come i telefilm della serie “X Files” che, dopo tanto narrare, lasciavano quasi tutte le domande in sospeso. Di Putin invece, grazie ai nostri media, sappiamo tutto: i piani strategici, i desideri repressi, i pensieri nascosti, le intenzioni recondite e i sogni segreti; ma, soprattutto, ne conosciamo alla perfezione la cartella clinica, di cui non ci sfugge nulla. Massimo D’Alema era stato messo alla gogna a causa della sua presenza alla sfilata militare di Pechino per celebrare la vittoria sul Giappone nella seconda guerra mondiale; ma lo scaltro D’Alema ha trovato il modo di rilanciare le sue quotazioni offrendo in pasto ai media la notizia da loro più ambita, cioè succosi dettagli, da lui raccolti in prima persona, sul
precario stato di salute di Putin.
L’euforia mediatica per la prospettiva di un Putin moribondo rientra comunque nel mito costruito attorno al personaggio, come se l’eccezionalità, in positivo o in negativo, appartenesse alla sua figura e non a quella del suo predecessore, Boris Eltsin, il russo più amato dal Fondo Monetario Internazionale, e quindi dai media euro-americani. Noto ai più per il suo alcolismo e per il bombardamento del parlamento russo, Eltsin ha caratterizzato la sua presidenza appunto per il rapporto speciale da lui intrattenuto con il FMI, di cui era un beniamino e da cui ha ricevuto direttive e prestiti. La Russia fu ammessa formalmente nel FMI nel 1992. Sei anni dopo gli osservatori registravano il “fallimento” del FMI nel “salvare” la Russia, per cui ogni prestito da parte della prestigiosa istituzione finanziaria internazionale portava regolarmente a disastri ed a nuovi prestiti, quindi ad un indebitamento crescente. All’epoca
uno studio della Heritage Foundation (l’influente “think tank” conservatore con sede a Washington) rimproverava al FMI un eccesso di generosità, facendo capire che le corporation statunitensi speravano invece in un crollo totale della Russia per poterla finalmente smembrare in tanti staterelli-feudi delle multinazionali.
Nella vita infatti ci sono anche le botte di fondoschiena. Nel 2000 un Putin appena insediato alla presidenza, accoglie a Mosca una delegazione del FMI per cercare di ottenere un altro prestito. Fortuna vuole che, a causa delle
pressioni della Heritage Foundation, il FMI stavolta sospenda il programma di “salvataggio” della Russia deciso l’anno prima e neghi il prestito. Ritrovatasi improvvisamente senza i “salvataggi” del FMI, la Russia un po’ alla volta si salverà sul serio. La Russia deve quindi la sua salvezza non a Putin, ma alla inconsapevolezza della Heritage Foundation. Solo chi faccia parte di un “think tank” americano può essere talmente deficiente da credere che il FMI possa davvero salvare qualcuno.
Il FMI fa egregiamente il suo lavoro, che è quello di una lobby dei creditori, perciò deve lasciare i suoi “assistiti” sempre più indebitati. La sedicente “scienza economica” è criptica solo se la si vuol rendere tale. Infatti non ci vuole una cima per capire che se lo scopo (la “mission”, come si dice oggi) di una istituzione è quello di metterti nei guai, allora sarà salutare starne alla larga. Non è soltanto la Heritage Foundation a non percepire pienamente il grado di tossicità del FMI; infatti nella famosa intervista televisiva rilasciata ad Oliver Stone (trasmessa nel 2017), persino Putin si dimostrava inconsapevole dello scampato pericolo e continuava a rivendicare il suo desiderio di collaborazione con il FMI.
Anche Javier Milei, come già Eltsin, è entrato nelle grazie del FMI. Dal 2023 il motosegaiolo è celebrato dal FMI e dai media come colui che avrebbe finalmente abolito in Argentina la politica degli “sprechi”; ma il risultato, peraltro scontato, delle politiche di Milei è stato invece il
default finanziario e la necessità di nuovi prestiti da parte del FMI. L’ovvia conseguenza della pluridecennale relazione tossica tra l’Argentina ed il FMI, è che l’Argentina è sempre più intossicata di debiti.
Ci si interroga sulla “credibilità” di una istituzione come il FMI, dato che continua ad erogare prestiti ad un governo che ha già dimostrato di non poter ripagare i debiti. In realtà alla fine si è visto che ha avuto ragione il FMI; infatti in soccorso di Milei sono adesso arrivati
venti miliardi in prestito da parte degli USA; quindi ci pensa il contribuente americano. Una volta “contribuente” era una nozione interclassista, mentre oggi si identifica con i ceti più poveri, dato che le corporation pagano sempre meno tasse.
Per l’Argentina purtroppo non si profila alcun colpo di fortuna analogo a quello toccato alla Russia nel 2000. L’anno scorso i segnali di default dell’Argentina erano già inequivocabili; ma ovviamente la Heritage Foundation continuava a celebrare
il “miracolo” di Milei, a fronte dei presunti fallimenti dei vicini paesi “socialisti”. Pare quindi che non ci sia nessuna speranza che il FMI rinunci a “salvare” l’Argentina.