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LA FINZIONE DELL’IMPRESA PRIVATA
Di comidad (del 13/11/2025 @ 00:05:04, in Commentario 2025, linkato 57 volte)
Tra i classici intramontabili della fintocrazia non c’è soltanto la pantomima del conflitto tra politica e magistratura, ma anche il fasullo dibattito sulla patrimoniale, nel quale la destra può recitare abusivamente la parte del baluardo anti-fiscale. In questo “evergreen” della mistificazione politica a fare da sponda al gioco delle parti c’è talvolta qualcuno della cosiddetta “sinistra” che evoca una mitica “tassa sui super-ricchi”, che in epoca di mobilità dei capitali e di concorrenza fiscale tra Stati è praticamente impossibile da realizzare; perciò parlare di patrimoniale ha il solo effetto di spaventare quel ceto medio che possiede una casa e dei risparmi. Stavolta però la Meloni ha evocato il babau della patrimoniale facendo tutto da sola, lasciando credere che in campo vi fosse una proposta di tassazione dei patrimoni da parte della fantomatica “sinistra”. Insomma, una delle tante performance che la Meloni mette in scena ad uso dei suoi fan.
Alcuni osservatori trattano la questione dei supporter della Meloni come se fosse una sorta di enigma antropologico, alla stregua dell’individuazione dell’anello mancante tra l’australopiteco e il pitecantropo. In realtà la stupidità e la cieca fedeltà al capobranco non spiegano tutto. Certe manifestazioni particolarmente abiette e regressive della destra vanno comunque inquadrate in una narrazione che è trasversale agli schieramenti politici. La fiaba dominante consiste nel rovesciamento del concetto di socialismo, interpretato come se fosse per forza questione di togliere ai ricchi per dare ai poveri. Su questa falsa narrazione la destra può costruire il proprio mito di argine contro la minaccia dell’esproprio proletario. Il problema si pone in termini esattamente opposti, dato che l’esproprio avviene costantemente a danno dei ceti poveri. La demistificazione della fiaba sulla destra anti-tasse dovrebbe cominciare dai dettagli. Non a caso il governo Meloni-Giorgetti si è presentato abolendo gli sconti sulle accise istituiti dal governo precedente. La tassazione sui consumi colpisce in modo esclusivo il contribuente povero, poiché questi non ha alcun modo per scaricare su altri i suoi maggiori costi. In tutto questo la Meloni e Giorgetti non hanno fatto altro che i passacarte, cioè adeguarsi alle istruzioni del Fondo Monetario Internazionale, un’istituzione sovranazionale che sovrintende a tutti i governi di ogni schieramento e colore.

La trasversalità riguarda le istituzioni sovranazionali che guidano i governi, ma si esprime anche nelle narrazioni, tra cui la finzione dell’impresa privata. A proposito di narrazioni e fiabe, nel 2024 il ministro Urso aveva trionfalmente dichiarato che l’epoca dei sussidi alle imprese era finita per tutti. Ovviamente non c’era nulla di vero. Uno dei marchi di fabbrica dei governi fantoccio è infatti la continua retorica palingenetica, gli annunci di prossime catarsi che puntualmente non si verificano.
La realtà è che non esiste un’impresa privata indipendente dal denaro pubblico. Ad esempio, il Decreto Ministeriale del 18 giugno 2025 ha riconfermato la pratica delle agevolazioni e degli incentivi per l’acquisto di macchinari e beni strumentali da parte delle imprese.
La logica vorrebbe che se un’impresa si regge sul denaro pubblico, dovrebbe essere pubblica, tanto più che il privato ha mille modi per fare (come dicono i media) il “furbetto” e deviare gli aiuti governativi verso altre destinazioni diverse dallo sviluppo industriale. Su queste magagne ogni tanto si viene a sapere qualcosina. Nella sentenza 77/2017 delle sezioni regionali della Corte dei Conti è stato riconosciuto il danno erariale in un caso in cui Invitalia SpA (l’agenzia governativa per l’attrazione degli investimenti) aveva concesso dei fondi pubblici per una ristrutturazione industriale mai avvenuta, che faceva da copertura ad un riciclaggio finanziario. Il dato ridicolo riguarda la “mission” ufficiale di Invitalia, che dovrebbe “attrarre” gli investimenti privati. Sta di fatto che i soldi (soldi pubblici!) è solo Invitalia a tirarli fuori. L’attenzione dei media a questi episodi di dirottamento dei fondi pubblici è rara ed effimera, e stride con l’attenzione morbosa che invece essi dedicano ai presunti “furbetti” del reddito di cittadinanza o del cartellino. I peccati dei poveri fanno sempre più scandalo. Come si vede, non c’è alcun bisogno di espropriare i ricchi; basterebbe cessare di assisterli.