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L’ALIBI DEGLI INVESTIMENTI PER DEPRIMERE I SALARI
Di comidad (del 13/05/2021 @ 00:02:54, in Commentario 2021, linkato 6541 volte)
Un segretario della UIL può permettersi delle piccole deroghe dal politicamente corretto che per un segretario della CGIL sarebbero assolutamente impensabili, dato che i media non gliela farebbero mai passare liscia. Il segretario della UIL, Pierpaolo Bombardieri, ha così potuto dare pubblicamente voce a ciò che molti pensano da tanto tempo, e cioè che il tema dei diritti civili è diventato un comodo diversivo per distrarre dalla questione dei diritti del lavoro.
Si tratta di un problema reale, ma comunque sopravvalutato per quanto riguarda i suoi effetti sull’opinione pubblica. Non è difficile capire che la discriminazione nei confronti del genere femminile si applica alle donne povere e non a Christine Lagarde o ad Ursula von Der Leyen. Analogamente, è ovvio che la condizione omosessuale è drammatica solo se riferita ai ceti popolari e non ai ceti più alti. Queste considerazioni di buon senso non si applicano soltanto alla questione dei diritti di genere o di orientamento sessuale. Allo stesso modo, è ormai chiaro a molti che anche un tema sacrosanto come la difesa dell’ambiente è diventato un’occasione di eco-consumismo e di eco-incentivi per i ricchi e invece di eco-tasse nei confronti dei più poveri; altrimenti non ci sarebbe stato il movimento dei “gilet gialli” in Francia, stroncato da Macron solo grazie al provvidenziale emergenzialismo Covid. Le vere insidie provengono invece da diversivi che l’opinione pubblica è ancora pronta ad accettare passivamente. Ci casca anche Bombardieri, il quale, per dare lavoro ai disoccupati, invoca come al solito i mitici investimenti pubblici.
Sono più di quaranta anni che i sindacati affidano la prospettiva di un aumento dell’occupazione agli “investimenti”. Nella famosa intervista del gennaio 1978 dell’allora segretario della CGIL, Luciano Lama, si annunciava che i sindacati confederali avrebbero sacrificato il miglioramento della condizione dei lavoratori occupati alla prospettiva di aumentare l’occupazione. Dopo più di quaranta anni da quell’intervista, dovrebbe invece risultare evidente che più scende il livello dei salari, più scende anche il livello di occupazione.

L’aumento del salario operaio rappresenta infatti l’unico fattore certo di redistribuzione del reddito a livello sociale, perché se aumentano i consumi dei lavoratori, si innesca anche una ripresa di circuiti produttivi e distributivi che creano occupazione. Insomma, sono i consumi dei poveri quelli in grado di rilanciare l’occupazione. Al contrario, ciò che il padronato risparmia sul salario operaio non va in nuovi investimenti ma finisce inesorabilmente nel circuito della finanza. Dato che agli investimenti da parte dei privati, ormai neanche i sindacati ci credono più, si spera negli investimenti pubblici. Le cose però non vanno meglio neppure nel campo degli investimenti pubblici, che si risolvono immancabilmente in assistenzialismo per ricchi, cioè vanno a sussidiare le imprese col pretesto, sempre più labile, di difendere l’occupazione.
Chi faceva notare queste cose quaranta anni fa, veniva preso per scemo anche nell’ambito delle cosiddette sinistre “antagoniste”. Non è il caso di dimenticare che alla fine degli anni ’70 proprio da settori dell’estrema sinistra fu avanzata la tesi della spaccatura del movimento operaio tra “garantiti” e “non garantiti”.

Oggi però i riscontri empirici e l’esperienza dei fatti non mancano, il nesso tra deflazione salariale e crollo dell’occupazione risulta evidente, quindi potrebbe essere l’ora di smetterla di subire la falsa alternativa tra aumenti salariali e aumento dell’occupazione. In realtà la questione è un po’ più complicata. Non si tratta infatti di evangelizzare la sinistra al verbo del ruolo strategico della difesa del salario, ma di riconoscere la potenza ideologica della destra, la sua inesauribile capacità di mistificare e di interpretare tutte le parti in commedia, alternando, a seconda delle esigenze, la più sguaiata spregiudicatezza con il più bigotto moralismo. Mentre la sinistra è distratta dalle sue polemiche e dalla contemplazione dei suoi innumerevoli tradimenti, intanto la destra, grazie alle sue doti camaleontiche, detiene il monopolio ideologico.
Nella sinistra si parla sempre più spesso di scomparsa della morale borghese e di caduta o rovesciamento dei valori tradizionali; ma forse i “valori” funzionano proprio per caduta e rovesciamento su facce diverse, come i dadi. La morale borghese non c’è più (ammesso che sia mai esistita) ma il moralismo borghese è più in forma che mai, come dimostra la gerarchizzazione delle nazioni tra “virtuose” e “corrotte”. Il moralismo si dimostra ancora più occhiuto e intrusivo quando si tratta di mondo del lavoro.
Quando il lavoratore pensa ai propri interessi, ciò viene sempre etichettato come una manifestazione di egoismo e di mancanza di sensibilità sociale. Si è sempre pronti a dare addosso ai lavoratori ogni qual volta vi sia il minimo sospetto che si sottraggano ai loro “doveri” sul posto di lavoro. Per concedere un po’ di comprensione ai lavoratori, si aspetta sempre che siano morti sul lavoro. L’egoismo dei ricchi può vantare invece una piena legittimazione morale, sarebbe infatti un egoismo che va a favore della società, appunto perché crea ricchezza. Al contrario, il salario, e la prospettiva di un suo aumento, continuano ad essere imprigionati nelle gabbie del moralismo.