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Ci avevano venduto il 41bis raccontandoci che serviva a tenere a bada quelli che sciolgono i bambini nell’acido. Ora, grazie al caso di Alfredo Cospito, scopriamo che il 41bis serve ad impedire la diffusione di opinioni anti-establishment. I mafiosi invece rispettano le gerarchie antropologiche, sanno pentirsi all’occorrenza e, quando vanno a confessarsi da Giletti, sanno pure comportarsi. In fondo “mafia” e “Stato”, legalità o illegalità, sono soltanto nomi o slogan per i creduloni; mentre ciò che conta veramente è (come si dice oggi) il “doppio standard” nelle relazioni umane, ovvero inchinarsi ai ricchi e potenti, compiacerli, assisterli e vezzeggiarli; e invece dare sempre addosso ai deboli, con lo spot più adatto all’occorrenza, perché quando controlli gli organi di comunicazione, nessuno ti può smentire.
Le pensioni rappresentano un fondamentale ammortizzatore non solo sul piano sociale ma anche economico, in quanto contrastano le cadute della domanda e i rischi di spirale recessiva. Se esistesse davvero quella cosa detta “Stato”, essa si guarderebbe bene dal destabilizzare un equilibratore così efficace; tanto più che, nell’epoca dei “quantitative easing” e delle iniezioni di liquidità nella finanza, è ben strano fare questioni per qualche zero-virgola nei bilanci previdenziali. Invece, proprio quello che, secondo la fiaba, sarebbe lo Stato per antonomasia, la Francia, fa di tutto per scardinare il sistema pensionistico. All’ultimo grande sciopero in Francia, il 7 marzo scorso, hanno partecipato un milione trecentomila lavoratori, secondo stime del governo francese, e tre milioni e mezzo secondo la CGT. Al di là delle cifre, si è trattato di una dimostrazione di forza notevole, che ha bloccato un Paese di sessantacinque milioni di persone: ferrovie, ospedali, trasporti urbani, raccolta rifiuti, scuole. La spinta dei lavoratori ha quasi travolto anche la CGT e la sinistra di Mélenchon, costrette a inseguire. Persino il conciliante e codino sindacato CFDT, ha deciso di partecipare per non restare isolato. Lo scontro con il governo è arrivato al suo apice, dopo mesi di confronto duro, ma che viene da lontano.
Nel 1995, sotto la presidenza di Chirac, il primo ministro Juppé aveva proposto una revisione del sistema pensionistico col pretesto di ridurne un presunto deficit. Dopo tre settimane di scioperi e manifestazioni, Juppé aveva dovuto rinunciare. In seguito anche il conservatore Sarkozy nel 2010 ed il socialista Hollande nel 2013, ci avevano provato, ma con risultati deludenti. Macron (che tutti chiamano pleonasticamente “il presidente dei ricchi”) ha deciso di impegnarsi dove gli altri avevano fallito, e ha incontrato subito una risposta decisa: allo sciopero del dicembre 2019 partecipavano un milione e mezzo di lavoratori (fu definito allora il più grande sciopero da una generazione). ... Continua a leggere...
L’elezione di Elly Schlein alla segreteria del PD ha suscitato molti sarcasmi a proposito delle origini altolocate del personaggio. Qui non si tratta affatto di prendere sul serio le primarie del PD, ed è ovvio che Stefano Bonaccini è stato fatto fuori in faide interne alla burocrazia di partito; ma, al di là di questo, forse era più interessante chiedersi se Elly Schlein sarebbe mai stata presentabile nella parte di outsider se non provenisse da quegli ambienti elitari, magari non particolarmente facoltosi, ma comunque privilegiati. Per fabbricare la Popolana della Garbatella ci sono voluti anni, e persino Bruno Vespa a farle da testimonial, mentre la Schlein è stata tirata fuori come un coniglio dal cilindro, e ciò proprio grazie ad un retroterra “raffinato”, che ora le consente persino di ostentare un artificioso look selvatico.
Anche chi non si farebbe mai comprare dai soldi, ne subisce spesso la suggestione; e lo stesso vale per le gerarchie antropologiche, per cui anche chi sia ostile alle discriminazioni di classe, tende a lasciarsi affascinare dallo status sociale. Non è questione di farsi da soli i processetti per capire quanto siamo puri e perfetti nelle nostre recondite intenzioni, bensì di osservare come certe concezioni gerarchiche vengano elargite alla pubblica opinione con la massima disinvoltura.
In una conferenza stampa del 15 febbraio scorso, il segretario della NATO Jens Stoltenberg ha dichiarato che l’Ucraina entrerà nell’alleanza atlantica, ma solo dopo aver sconfitto la Russia. Il rapporto tra NATO e Ucraina ricorda quindi certe fiabe, nelle quali un ragazzo di umili origini deve superare tante terribili prove per potere sposare alla fine la principessa. Ma se l’Ucraina si dimostrasse in grado di sconfiggere la Russia, sarebbe più logico che la NATO si mettesse sotto la protezione dell’Ucraina e non viceversa. Anzi, se è vero il mantra secondo cui l’esercito ucraino ha impedito a Putin la presa di Kiev e del nord del Paese ancora prima dell’arrivo delle armi occidentali, non si capisce perché non abbiamo già tutti supplicato di avere la cittadinanza ucraina.
Il paradosso comunicativo è abbastanza evidente: l’Ucraina ci viene celebrata ed esaltata in ogni modo da giornali e televisioni, ma non si perde comunque occasione di ricordarle il suo rango inferiore nella gerarchia internazionale, tanto che sorge il dubbio che non sia davvero previsto il lieto fine della fiaba, e neppure le nozze con la principessa. Pare proprio che all’Ucraina venga riservato il ruolo di popolo “Hobbit”, cioè di una razza inferiore che trova la propria gloria nel sacrificarsi per le razze superiori. Non a caso lo Hobbit è uno dei miti preferiti dal neonazismo ed anche dal neofascismo. C’è chi ancora si ostina a rinfacciare alla Meloni la sua presunta incoerenza, mentre invece in lei non c’è assolutamente niente di strano o imprevedibile. Il fascista odia l’uguaglianza ed ama la gerarchia in quanto tale, per cui gli va benissimo anche il ruolo del servo. ... Continua a leggere...
L’evasione di un cosiddetto “boss del Gargano” dal carcere di Nuoro ha ispirato un illuminante commento del locale capo della polizia penitenziaria, il quale è stato categorico: “Non si è trattato di un’azione estemporanea (sic!) …”. Se ne deduce che in un carcere di massima sicurezza le evasioni potrebbero essere anche un’improvvisata. Il questore di Nuoro ha voluto anche lui cimentarsi nella gara di perspicacia, chiarendo che questa evasione è “una cosa che sembra difficile da realizzare senza averla programmata e studiata”. Le telecamere di sicurezza riprendono infatti il boss della mafia garganica che se la squaglia utilizzando la tecnica delle lenzuola annodate, e altre modernissime tecniche del manuale dell’abate Faria. Non è interessante stabilire se tale evasione sia stata autogestita oppure assistita, e se le lenzuola le abbia fornite il ministro della Giustizia in persona; tanto meno ci interessa sapere se si tratta di un’evasione a tempo indeterminato, oppure di una licenza a termine, giusto per sbrigare qualche commissione, come quella concessa un mesetto fa a un detenuto agli arresti domiciliari, che la stampa ha indicato come un pericoloso killer di ‘Ndrangheta. Quell’evento dei primi di febbraio non aveva avuto una particolare risonanza, eppure era già un indizio che nel regime del 41bis ci sono figli e figliastri. Il punto vero è che nel sistema penitenziario, come in qualsiasi altra forma di potere, la cialtroneria e la crudeltà possono benissimo coesistere, anzi si completano a vicenda.
In un’intervista alla “Stampa”, il PM antimafia Sebastiano Ardita, già del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha ovviamente avallato lo scaricabarile della Corte di Cassazione su Alfredo Cospito, ma non ha potuto fare a meno di constatare a denti stretti che la sua vicenda ha completamente sputtanato il mito del 41bis, e che il regime è ormai un porto di mare, talmente pletorico da rischiare il crac. Insomma, il 41bis è sicuramente tortura per alcuni detenuti, ma non significa affatto sicurezza, anzi, prevede incontri, e magari persino summit, tra i boss. Il mito del grande castigamatti era stato alimentato dalle fiction di mafia, congegnate a volte come veri e propri spot, nei quali la minaccia del 41bis faceva tremare i boss e induceva i protervi malavitosi alla collaborazione. Il 41bis era stato quasi personificato e ci era stato spacciato come un altro Mastro Lindo, potente ed efficiente con un tocco di sadomaso, invece si trattava di pubblicità ingannevole, per cui non solo si teneva lo sporco nascosto sotto il tappeto, ma ci si stava soprattutto vendendo qualcos’altro.
In linea con l’iperbole pubblicitaria i quotidiani e i telegiornali fabbricano balle spaziali sugli anarchici; una sorta di “fantanarchia”, al cui confronto la “fantarcheologia” del caro vecchio Peter Kolosimo era un modello di rigore scientifico. Abbiamo così anarchici che obbediscono ciecamente ad un capo, anti-organizzatori organizzatissimi e irreggimentati, individualisti sottoposti ad una disciplina ferrea, nemici della gerarchia che troverebbero nelle gerarchie mafiose il loro Eden, e via delirando. Il tg3 del 25 febbraio ci informava di alcune azioni rivendicate (letteralmente) dalla “Galassia anarchica”. Niente potrebbe essere più preciso e circostanziato che la Voce della Galassia. Chi mai oserebbe avanzare dubbi su di una simile rivendicazione? ... Continua a leggere...
Non c’è nulla di strano nel fatto che Enrico Letta e Stefano Bonaccini si siano lasciati andare a sperticati attestati di stima nei confronti di Giorgia Meloni. Il PD è un partito dipendente dai media e, dato che la stampa di establishment sta trattando bene la Meloni, e che addirittura Bruno Vespa da mesi la tratta come se fosse una statista, allora bisogna adeguarsi al mainstream. Si tratta dello stesso vincolo mediatico per cui Enrico Letta si era precluso ogni esito positivo sul piano elettorale attardandosi nel culto e nella nostalgia di Draghi; un culto che i grandi quotidiani gli imponevano. Anche il fatto che Letta e Bonaccini abbiano ancora una volta scavalcato il dibattito precongressuale e le strutture di partito, affidandosi direttamente allo strumento dell’intervista, rientra in quel regime “intervistocratico” instauratosi nella sedicente sinistra a partire dagli anni’70. Come esempi canonici di intervistocrazia si ricordano i casi di Enrico Berlinguer e Luciano Lama, i quali rovesciarono la linea politica del PCI rispetto alla NATO e della CGIL rispetto al salario, mettendo la base davanti al fatto compiuto, e tutto ciò a colpi di dichiarazioni rilasciate a Giampaolo Pansa ed Eugenio Scalfari. In tal modo si consacrava anche il ruolo sacerdotale del giornalista, che diventava una sorta di autorità morale a cui affidare le proprie confessioni e le proprie aspirazioni di redenzione dalle velleità anti-establishment. Purtroppo il fenomeno intervistocratico coinvolse negli anni ‘70 persino la sinistra “antagonista”, per cui i “leader” del cosiddetto “Movimento” venivano creati sulle colonne del quotidiano “la Repubblica”, per essere successivamente macellati nel tritacarne giudiziario.
Il termine “media” è quindi obsoleto, poiché stiamo parlando di organi che svolgono direttamente un ruolo politico e che dettano moduli, tempi e scadenze della “realtà”. Si potrebbe quindi proporre la sostituzione definitiva della locuzione “mass media” con quella di “Big Tellers”. Gli eventi non esistono più in quanto tali, bensì in base all’aspettativa determinata dai giornali e dalle televisioni. Il 15 febbraio scorso si è svolta l’attesissima e pericolosissima manifestazione degli anarchici a Roma. I giornalisti erano eccitati allo spasimo, pronti a documentare le violenze anarchiche. E poi il flop, la grande delusione. Ci sono soltanto una ventina di persone in bicicletta! A questo punto, i titoli sono, a scelta: fallita la manifestazione anarchica; oppure: la polizia blocca la manifestazione degli anarchici! In realtà era tutto pronto, e molti si stanno ancora interrogando sui segreti e misteri che circondano l’evento. Come mai gli anarchici non hanno voluto manifestare in una piazza con tutte le vie bloccate da decine di cellulari e con centinaia di poliziotti pronti a massacrarli di manganellate? Bah! Valli a capire. La potenza dei cosiddetti media (i “Big Tellers”) consiste appunto nel sovvertire il procedimento dimostrativo, per cui la smentita dell’aspettativa diventa conferma. ... Continua a leggere...
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