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Bettino Craxi definiva Ernesto Galli della Loggia “intellettuale dei miei stivali”. In effetti il noto opinionista del “Corriere della Sera” basa i suoi interventi su uno schema ripetitivo e prevedibile che consiste in un mero richiamo alle vigenti gerarchie imperialistiche e antropologiche. Ormai il mainstream ha ammesso che il comportamento di Israele a Gaza ha oltrepassato il cosiddetto “diritto di difesa” e forse sta avvenendo qualche criminuccio di troppo. Qualche giorno fa Galli della Loggia ha appuntato la sua polemica sulla scelta delle parole per ciò che sta avvenendo a Gaza, chiedendosi perché non ci si limiti ad usare espressioni forti come “eccidio” o “massacro”, invece del termine “genocidio”, che implica riscrivere la Storia negando l’unicità del genocidio nazista nei confronti del popolo ebraico. Per Gaza si parla di sessantamila morti, un numero non paragonabile con le proporzioni dell’Olocausto.
Certo, la macchina logistica del regime nazista, nella quale sono stati macinati ebrei, zingari, slavi, disabili ed altri reietti, rimane sinora un unicum nella Storia e, probabilmente, è irripetibile. Ma il fatto che il governo israeliano non dimostri una capacità logistica al livello del regime nazista, non toglie nulla all’evidenza di un genocidio in atto a Gaza. Israele non è neanche lontanamente una potenza comparabile con la Germania nazista, infatti dipende in tutto e per tutto dalle armi e dai soldi che arrivano dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Regno Unito. Israele non potrebbe sopravvivere nemmeno ventiquattro ore senza aiuti costanti. In effetti gli israeliani non sono solo aiutati, ma persino vezzeggiati dai governi occidentali. Adesso scopriamo pure che i soldati dell’IDF possono ritemprarsi nei resort italiani sotto la protezione del governo.
Galli della Loggia si è fatto sgamare mettendo involontariamente in evidenza il vero problema, cioè che il genocidio a Gaza è un affare dell’intero Occidente; un genocidio che, al di là delle ipocrisie ufficiali, ha moltissimi fan sfegatati dalle nostre parti. La cosa non deve sorprendere, dato che “Occidente” è solo un eufemismo per non dire esplicitamente suprematismo bianco. Il fatto che Israele sia completamente dipendente dai paesi occidentali, non implica assolutamente che sia un esecutore di ordini oppure un proxy. Israele è un figlio viziato, drogato e mantenuto che non obbedisce a papà, ma lo mette spesso e volentieri davanti al fatto compiuto, riscuotendone però sistematicamente la protezione e la complicità. Il rapporto di dipendenza comporta inevitabilmente dei “feedback”, per cui alla fine non si capisce chi dipende di più dall’altro, e persino le distinzioni tra Stati diventano evanescenti. ... Continua a leggere...
Si dice spesso, con l’aria di esibire una grande trovata, che le classi inferiori non possono rivendicare alcuna superiorità morale nei confronti delle classi dominanti. Infatti è un falso problema, in quanto la contestazione delle gerarchie sociali non ha nessuna necessità di basarsi su gerarchie morali. Non è un caso però che il sistema mediatico tenda continuamente a spostare la questione sul piano del moralismo spicciolo. Nel caso delle nozze di Jeff Bezos a Venezia si è chiaramente cercato di sollecitare indignazione per certe esibizioni di ricchezza, in modo da innescare il solito pretestuoso dibattito a vuoto tra pro e contro. Un rilievo infinitamente minore viene assegnato dai media al fatto che l’azienda di Bezos riscuote sussidi e agevolazioni fiscali in tutto il mondo. Nel momento in cui il carico fiscale pesa quasi esclusivamente sui contribuenti poveri, le spese di Bezos sono una questione direttamente politica e non astrattamente morale. Mentre Amazon pagava sempre meno tasse (come tutte le altre multinazionali), ha percepito oltre undici miliardi in aiuti governativi, e si tratta di una cifra molto sottostimata dato che tali contributi spesso non risultano trasparenti; ciononostante si rileva l’apparente incongruenza per la quale mentre Bezos a chiacchiere celebra il libero mercato, poi invece va continuamente in cerca di assistenzialismo da parte dei governi. L’incongruenza è solo apparente, poiché è del tutto ovvio che l’assistenzialismo per ricchi cerchi dei paraventi mitologici come il liberismo.
Si potrebbe obiettare che decine di miliardi di aiuti governativi sono nulla di fronte alle centinaia di miliardi di fatturato di Amazon. L’inconsistenza dell’obiezione sta però nel fatto che l’entità degli aiuti governativi risulta determinante se comparata con gli investimenti di un’azienda, non con i suoi fatturati o i suoi profitti finali. Inoltre, quando le quotazioni di un’azienda sono artificiosamente gonfiate, i soldi del governo sono quelli che consentono di distribuire dividendi agli azionisti, come si è visto anche nel caso Stellantis.
Gli aiuti governativi hanno effetti politici a catena, in quanto creano quel clima di “protezione” che agevola ogni rapporto dell’azienda con altre istituzioni, che così capiscono da che parte devono stare. Nel febbraio scorso il TAR del Lazio ha dimezzato una multa della AGCM (l’Antitrust) ad Amazon; ciò in base ad un’argomentazione fumosa, cioè che la condotta dell’azienda sarebbe stata illecita ma non aggressiva. Il TAR del Lazio è recidivo, poiché già nel 2021 aveva annullato un procedimento della AGCM nei confronti di Amazon ed Apple. Il cavillo utilizzato per annullare il procedimento e la relativa multa riguardava l’eccessiva lunghezza dei tempi, e la sentenza non era fondata su norme precise ma su alchimie analogiche. ... Continua a leggere...
Molti hanno notato che nella famosa foto in cui il generale Vannacci esibisce trionfalmente una cernia, la sola ad avere un’espressione intelligente è proprio la cernia. In base a questa osservazione fattuale, sono sorti gravi sospetti sulla effettiva capacità del generale di riuscire a pescare la cernia in oggetto. Con tutta probabilità il Vannacci si è quindi procurato la preda in qualche mercatino del pesce, per poi farne oggetto di pubblica esibizione. D’altra parte le millanterie e le spacconate dei pescatori sono diventate proverbiali e persino un topos letterario, per cui si sta parlando di aspetti da trattare con umana comprensione. Più preoccupante invece è il fatto che il generale abbia voluto attribuire una valenza simbolica e politica al maltrattamento di un animale, salvo poi ridicolizzare chi gli ha fatto notare la viltà di quel gesto. Se ce l’hai con la sinistra, prenditela con la sinistra, non con gli animali, che notoriamente non votano e non possono essere eletti.
La narrativa di Vannacci vorrebbe scaricare la colpa della denatalità sugli ardori animalisti e transgender, come se non c’entrassero niente la cronica stagnazione economica, i fitti e le bollette alle stelle, la precarizzazione del lavoro e la perdita di ogni speranza che le cose in futuro possano almeno non peggiorare. Se qualche volta si riesce nella titanica impresa di non interrompere le persone mentre parlano, tanti maschietti trentenni si lasciano sfuggire che il loro vero timore è che i loro eventuali figli possano un domani rinfacciargli di essere disoccupato o di guadagnare troppo poco. Le questioni di identità lavorativa e di reddito sono molto più pungenti e dolorose di quelle di identità di genere; un dato che in astratto quasi tutti sarebbero disposti a riconoscere, ma che poi viene costantemente aggirato nel gioco delle parti tra destra e sinistra. Giusto per parlare di nulla, Vannacci si è persino inventato un “comunismo cosmico”, un morbo misterioso dal quale la sinistra sarebbe affetta.
In realtà la malattia della “sinistra” sta nell’affezionarsi ai cascami della narrativa dell’imperialismo nella sua fase rampante e nel cercare di riciclarli oggi che l’imperialismo li ha abbandonati. L’abito smesso dell’imperialismo diventa immancabilmente la livrea della sinistra. In questo periodo il “Manifesto” sta parlando di attacco al diritto internazionale da parte degli USA, a causa della nuova ondata di sanzioni contro i giudici della Corte Penale Internazionale, che hanno incriminato esponenti del governo israeliano per crimini di guerra a Gaza. Effettivamente, in base al diritto internazionale, il governo israeliano e il governo statunitense sono organizzazioni criminali. Ma i criminali commettono crimini, cioè violano il diritto, non sono però nelle condizioni di attaccare il diritto in quanto tale; ciò possono farlo soltanto dei giudici che non applicano la legge. Le sanzioni contro giudici della Corte Penale Internazionale sono avviate da mesi, e quello annunciato dal segretario di Stato Marco Rubio è solo un ulteriore “pacchetto”. Occorre perciò chiedersi come mai la Corte Penale Internazionale non abbia ancora incriminato Marco Rubio e il presidente Trump per aver cercato di ostacolare dei mandati di cattura internazionali. Certo, il mandato di cattura nei confronti di Rubio e Trump non poteva essere emesso dagli stessi giudici oggetto delle sanzioni, in quanto vittime del reato; ma altri giudici della stessa Corte avrebbero dovuto prendere quei provvedimenti per tutelare i loro colleghi ed anche la funzione del diritto internazionale; se al diritto internazionale ci credono. La Corte Penale Internazionale non può rivendicare una legittimità se non applica a catena il diritto internazionale verso tutti coloro che ostacolano l’applicazione della legge o collaborano con il crimine. Le azioni penali non sono soggette ad inflazione, ma si dovrebbero porre come risposta ai reati, per quanti essi siano. ... Continua a leggere...
In molti hanno notato che “Ferragosto in Alaska” era un titolo che si adattava più ad un film con Christian De Sica e Massimo Boldi che ad un evento storico. C’è inoltre un diffuso scetticismo sulla possibilità che Trump riesca a mantenere i canali di trattativa eventualmente aperti con la Russia sui dossier comuni, compresi l’Artico e il controllo nucleare. Pare che lo stesso Putin non creda alla possibilità degli USA di mantenere accordi, cioè di esprimere una continuità istituzionale. Nella conferenza stampa finale Putin ha accettato di compiacere l’ego di Trump avallando il suo mantra, secondo il quale se ci fosse stato lui alla presidenza al posto di Biden, la guerra in Ucraina non sarebbe mai scoppiata. Putin non è il grande statista che molti hanno vagheggiato, ma è comunque un vero professionista della politica e della diplomazia, perciò da parte sua appare strana una deroga così smaccata dal codice di comportamento istituzionale, in base al quale occorrerebbe evitare di esprimere giudizi e fare confronti sui capi di Stato degli altri paesi. Secondo il luogo comune, la politica russa sarebbe molto legata a certi formalismi giuridici, invece Putin stavolta li ha tranquillamente ignorati. Certe sbracate ce le si poteva aspettare da un lobbista e dilettante della politica come Mario Draghi, il quale nel 2021 non si limitò ad elogiare il presunto europeismo di Biden, ma si lasciò andare a critiche sul suo predecessore Trump.
A fondamento dei rapporti istituzionali dovrebbe esserci la funzione, che prevale sulle persone che la esercitano di volta in volta. Questo filo di continuità nella funzione, al di là ed al di sopra della caducità delle persone, sarebbe appunto lo Stato. Ciò conferiva allo Stato quell’alone, se non divino come diceva Hegel, almeno sovrumano. In questo senso Trump non avrebbe mai dovuto tollerare che un presidente straniero criticasse in sua presenza un suo predecessore alla Casa Bianca; invece se ne è compiaciuto, dimostrando di avere una concezione meramente personalistica del potere.
La statualità era probabilmente solo un mito su cui i vari regimi basavano la propria legittimazione, perciò i ruoli istituzionali sono sempre stati soggetti all’alea degli umori personali e delle spinte di lobbying; il problema è che oggi la statualità non sopravvive neppure come mito e come bon ton diplomatico nei rapporti tra paesi; tanto che Putin in una conferenza stampa fa una dichiarazione che equivale a dire che nei rapporti con gli USA si vive alla giornata e che in pratica l’epoca dei trattati è finita, poiché non c’è un interlocutore stabile con cui negoziare. ... Continua a leggere...
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