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L’ITALIETTA FORCAIOLA SALVERÀ IL SACRO OCCIDENTE (A SPESE DEL CONTRIBUENTE)
Di comidad (del 30/03/2023 @ 00:11:15, in Commentario 2023, linkato 8670 volte)
Qualche giorno fa il direttore del “Forca Quotidiano”, Peter Gomez, si domandava come mai la Francia scende in piazza mentre noi no. Gomez avrebbe dovuto indagare su se stesso. In Italia al primo accenno di movimento di piazza, si sarebbe già scatenata un’emergenza-terrorismo e quindi si sarebbe cominciato ad erigere la forca mediatica e giudiziaria. Qualcuno ricorderà che per qualche protesta contro il Green Pass, la Digos aveva già avviato operazioni di polizia contro una sorta di “Brigate No-Vax” o “Nuclei Armati Terrapiattisti”. Non ci si è fatti mancare nulla, neanche l’assalto alla CGIL con tanto di scorta Digos.
L’abolizione del Reddito di Cittadinanza fortunatamente non ha suscitato proteste, il che ci ha evitato che spuntasse qualcosa come le BFSD, le Brigate dei Fannulloni Sdraiati sul Divano. Questa non è una mera ipotesi, poiché nel dicembre scorso un disoccupato fu incriminato per violenza privata in seguito ad un tweet contro Giorgia Meloni; ciò con la tecnica mediatico-giudiziaria ormai consolidata, per cui l’assenza di concretezza della minaccia e dell’offesa viene surrogata con la suggestione e l’artificiosa indignazione. Se il popolare “va’ a morì ammazzato” e le sue varianti sono catalogati come reato, ciò vuol dire precludere la possibilità di esprimere il proprio disappunto a tutti coloro che non abbiano avuto l’occasione di dotarsi di un bagaglio di abilità retorica. Ma nemmeno la competenza retorica sarà sufficiente se persino la critica sarà considerata un movente terroristico.
Lo schema emergenziale è in gran parte lo stesso di mezzo secolo fa; infatti nel 1969 l’ondata di rivendicazioni salariali fu sedata con le bombe e con la fabbricazione del mostro mediatico-giudiziario; mentre tra gli anni ’70 e ’80 si poté avviare la deindustrializzazione dell’Italia grazie all’emergenza brigatista. Al Sud si fu più creativi, e si fece ricorso ad un misto di emergenza terroristica e camorristica. La novità è però che oggi la categoria di terrorismo si è molto dilatata, e ormai il concetto di attentato è diventato talmente labile da includere qualsiasi forma di “lesa Maestà”.
In un film anglo-irlandese del 1993, “In the Name of the Father”, ci hanno spiegato come si svolgessero le indagini sugli attentati, veri e anche presunti, dell’IRA negli anni ’70: le prove venivano fabbricate e le confessioni venivano estorte agli inquisiti con la minaccia di far del male ai loro congiunti. In tal modo furono incastrate anche persone che non c’entravano assolutamente nulla. Queste cose brutte ovviamente avvengono solo in Paesi arretrati e incivili come il Regno Unito, mentre da noi gli inquirenti sono al di sopra di ogni sospetto.

In Italia il sistema di controllo poliziesco è ben strutturato, per cui ci sono un livello legale ed un altro illegale che si completano a vicenda. Nella Sicilia degli anni’40 la polizia manganellava i contadini che protestavano, mentre il bandito Giuliano alle manganellate faceva seguire gli spari. Nella Sicilia degli anni ’50 i sindacalisti come Rizzotto e Carnevale (tutti socialisti) che organizzavano l’occupazione delle terre, venivano arrestati dalla polizia ma, una volta usciti dal carcere, finivano uccisi dalla mafia. Fortunatamente oggi in Italia non c’è più bisogno di ammazzare i sindacalisti e neppure di spendere per corromperli, poiché è sufficiente intimidirli con le inchieste giudiziarie per terrorismo. Una ventina di anni fa il segretario della CGIL, Sergio Cofferati, criticò il docente universitario Marco Biagi per la sua collaborazione con i progetti di precarizzazione del lavoro. Per quelle critiche Cofferati fu automaticamente sospettato di essere il mandante morale dell’omicidio di Biagi. Gli ingenui si aspettavano che Cofferati difendesse le buone ragioni della critica e del conflitto sociale contro l’uso pretestuoso dell’emergenza-terrorismo; invece Cofferati capì l’antifona e decise di riciclarsi anche lui nel sistema poliziesco, mettendosi a fare il sindaco sceriffo a Bologna. Per non scadere nel facile moralismo, bisogna anche dire che in certe situazioni bisogna trovarcisi, cioè sentirsi addosso la tenaglia mediatico giudiziaria e, nel contempo, quell’opinione pubblica che, pavlovianamente, comincia a sommergerti salivando odio. Per quelli che si illudevano di vivere in una società progredita ed in uno Stato di Diritto forse deve essere un risveglio troppo brusco. Stabilito che non ce ne frega nulla di mettere alla gogna Cofferati come persona, rimane però il problema della delegittimazione del sindacato, diventato un ambito in cui costruirsi un prestigio e delle competenze, da andare a rivendere poi al padronato. Già negli anni ’60 e ’70 c’erano tanti Walter Mandelli che passavano dall’associazionismo operaio all’associazionismo imprenditoriale; ma da un certo punto in poi si è “normalizzato” il meccanismo di porta girevole per il quale dei giuristi hanno usato il sindacato come trampolino e vetrina in modo da poter offrirsi come consulenti al governo o a Confindustria. Se poi questi giuristi sono fatti oggetto di attentati o di generiche “minacce terroristiche” e quindi il loro nome può essere usato per santificare leggi contro il lavoro (la Legge 30/2003 che diventa per i media “Legge Biagi”), allora il sindacalismo diventa solo un fraudolento prelievo dal salario del lavoratore; tanto più se chi, come Cofferati, avrebbe dovuto stigmatizzare il conflitto di interessi, diventa a sua volta un portagirevolista. Le motivazioni dei singoli portagirevolisti sono irrilevanti; potrebbero essere anche le più nobili, ma sta di fatto che il conflitto di interessi è diventato il contesto e quindi nessuna istituzione è attendibile.
L’imbecille professionista tradurrà sempre la questione del conflitto di interessi come “complotto”; in realtà il complotto, se c’è, è solo un accessorio; mentre quello che conta è il contesto ed il modo in cui agisce sulle persone; per cui il conflitto di interessi si concretizza in automatismo di comportamenti, che saranno percepiti come ovvi e dati per scontati. Se gli attentati santificano i loro bersagli, se possono essere usati addirittura per santificare delle leggi o dei business, allora il sistema di potere non avrà oggettivamente interesse ad impedire gli attentati. Se poi la porta girevole tra servizi segreti e mondo degli affari viene istituzionalizzata da una Legge (la 124/2007), allora gli attentati ed il loro effetto santificante saranno oggettivamente convenienti. Non ci sarà neppure bisogno di esagerare con gli attentati, col rischio di inflazionarli; basterà coltivare nell’opinione pubblica il rancore e il desiderio di vendetta per episodi di decenni e decenni addietro, tenendo sempre vivo l’istinto della “caccia”.
La serie televisiva “Il Cacciatore” (davvero ben scritta, ben recitata, ben confezionata) è diventata giustamente la nuova epopea dell’Italietta, la celebrazione del suo sistema di potere, che è appunto la “caccia” come strumento di una vendetta sociale; la caccia in se stessa, perché la preda è intercambiabile. Non è necessario dar sempre la caccia a mafiosi o terroristi, ci si può accontentare di dare la caccia anche solo a “evasori” o a “furbetti del cartellino”. L’importante è tenere vivo quel clima di regolamento di conti nel quale il potere si materializza.

Secondo alcuni analisti strategici americani, l’amministrazione Biden con il conflitto simultaneo contro Russia e Cina, ha imboccato una strada senza uscita, per cui di qui a poco la NATO e l’UE potrebbero essere a rischio di auto-estinzione, e l’Europa potrebbe addirittura ritrovarsi sotto l’influenza russa. Ammesso che questa analisi sia corretta, ciò cosa cambierebbe per l’Italia? Nulla, assolutamente nulla. Vedremmo gli stessi che oggi danno la caccia ai putiniani, trasformarsi in cacciatori di antiputiniani. Non sono i padroni a fare un sistema di potere, ma sono i servi. I Mentana, i Vespa, i Severgnini, i Parsi si riciclerebbero e ci farebbero il processetto alle intenzioni per scoprire se siamo abbastanza degni di Putin. Ci farebbero anche capire perché sarebbe giusto sacrificarsi per il nuovo ordine mondiale dominato da Russia e Cina. Dagli anni ’40 in poi, la mafia ha “convinto” i contadini siciliani a concedere spontaneamente i terreni per erigere basi militari USA, e un domani la stessa mafia potrebbe adoperarsi per allestire basi militari russe. L’imperialismo russo è piuttosto povero e non potrebbe permettersi più di una piccola base navale; ma non c’è problema, poiché, per compiacere il nuovo padrone anche oltre i suoi desiderata, si potrebbe sempre chiamare a pagare il contribuente italiano tenuto sotto ricatto con un’emergenza-terrorismo; oppure, meglio ancora, con un’emergenza mafio-terroristica, di quelle che ti infangano senza rimedio. Grazie all’esempio luminoso che proviene dall’Italia, anche Macron imparerà ben presto come sedare le rivolte in Francia. Se gli occorre, mandiamo in Francia qualche nostro agente dell’AISI o qualche nostro PM a fare corsi di formazione.
L’Italietta può salvare non soltanto la Francia, ma l’intera civiltà occidentale, che oggi è sotto una bufera finanziaria talmente grave da colpire la maggiore roccaforte del potere bancario, la Svizzera. Credit Suisse, l’Istituto svizzero di gestione dei fondi criminali di mezzo mondo, è riuscito a fallire. Eppure aveva tutte le carte in regola: i farabutti di ogni dove potevano contare su di un porto sicuro per i loro gruzzoletti. Tagliagole, trafficanti di organi, signori del narcotraffico, mafiosi e ‘ndranghetisti, ma anche soggetti ancora più loschi, come i dirigenti della Siemens e di altre multinazionali, avevano fornito depositi che si aggiravano attorno ai cento miliardi di franchi svizzeri, che corrisponderebbero a circa novantacinque miliardi di euro. Credit Suisse aveva subito anche un processo-farsa per riciclaggio di capitali mafiosi, cavandosela con una multa di due milioni di euro, cioè il prezzo di un paio di appartamentini di Zurigo.
Naturalmente, la Banca Centrale svizzera è intervenuta per salvare questi gentiluomini con un robusto sostegno. L’altro colosso svizzero, UBS ( cinque trilioni di franchi di capitalizzazione), si è fatto avanti per acquisire i cugini in difficoltà. Come ultimo regalino, Credit Suisse azzera miliardi di obbligazioni secondarie, lasciando in braghe di tela (si fa per dire) molti fan. Quindi il crimine, ovvero i criminali, non pagano; e, come sempre accade, coloro che dovrebbero far rispettare la legge, diventano invece complici. Il crimine invece salva, almeno parzialmente, gli azionisti. Sarà perché i primi due azionisti si chiamano Arabia Saudita e Qatar? Certo, perché pare che le due petro-monarchie si siano scaltrite dopo aver visto il sequestro dei depositi russi nelle banche occidentali; e, sebbene la Svizzera abbia cercato di preservare la sua neutralità bancaria, ora pretendono super-garanzie per continuare a fidarsi di interlocutori occidentali. A questo punto, lo Stato federale svizzero assumerà tutte le sembianze dell’UBS. Basti pensare che la struttura bancaria federale che dovrebbe controllare le banche ha solo cinquecentocinquanta dipendenti, contro i centoventimila dell’UBS, che però ora sfoltirà il personale a causa della fusione. Le sanzioni hanno reso il sistema bancario occidentale meno affidabile e pare che Cina e India siano pronte ad approfittarne. Visto che c’è poco da sperare in afflussi di capitali asiatici, la soluzione è una sola: sarà il contribuente europeo a dovere tenere in piedi la baracca; parliamo ovviamente dei contribuenti poveri, poiché quelli ricchi continueranno a mandare i soldi nei paradisi fiscali. Ma, per tener buone le masse da spremere, c’è il know how italiano a disposizione.