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OLIGARCHIE SENZA STRATEGIE
Di comidad (del 01/05/2025 @ 00:06:02, in Commentario 2025, linkato 2702 volte)
Negli ultimi anni una delle espressioni di maggiore fascino per i commentatori di politica estera è stata quella della “mezzaluna sciita”, dall’Iran fino allo Yemen, passando per l’Iraq, la Siria e il Libano. Peccato che queste concezioni su presunti internazionalismi religiosi si scontrino con smentite piuttosto pesanti. Il maggiore alleato di Israele in Asia centrale è infatti l’Azerbaigian, di religione islamica sciita. Nel 2023 Israele, insieme con la Turchia sunnita, ha armato una guerra dell’Azerbaigian contro l’Armenia. Negli ultimi anni i rapporti militari e commerciali tra Israele e l’Azerbaigian si sono ulteriormente rafforzati.
Un episodio inquietante che ha riguardato l’Azerbaigian è la strana morte nel maggio dello scorso anno, per “incidente aereo”, del presidente iraniano Raisi e del suo ministro degli Esteri; entrambi erano di ritorno da un incontro col presidente azero Aliyev. Per quanto i persiani siano loro correligionari, gli azeri sono di lingua ed etnia turca; inoltre l’Iran ha al suo interno una minoranza azera che rappresenta oggettivamente una sponda per le velleità mini-imperialistiche dell’Azerbaigian.
Così come in Siria, sembra che vi sia, pur tra conflitti e competizioni, una convergenza quantomeno episodica tra le aspirazioni ad una Grande Turchia ed i sogni di un Grande Israele. La differenza tra le due aspirazioni (o velleità) è che la “Grande Turchia”, per quanto ancora latente, ha un’effettiva base demografica, in gran parte dislocata in Stati a maggioranza turcofona, ma anche presente con consistenti minoranze in vari paesi; molte di queste minoranze turcofone si trovano nella Federazione Russa, oltre che in Iran. Il “Grande Israele” è invece privo di base demografica e si fonda soltanto su una enorme bolla di armi e di soldi che proviene regolarmente dagli USA, con gli annessi di un giro internazionale di corruzione e riciclaggio di denaro gestito da lobby come l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee).

Iran e Russia sono paesi praticamente confinanti, e il fatto che siano separati da uno specchio d’acqua peggiora le cose per la Russia, perché le si potrebbero piazzare contro dei missili ad un tiro di schioppo senza il rischio di subire la ritorsione di una rapida invasione. Ma l’aspetto più importante, per il quale una prospettiva di destabilizzazione dell’Iran dovrebbe allarmare Mosca, è che la popolazione persiana è l’unica nell’area dell’Asia centrale ad avere un potenziale demografico tale da contenere la spinta alla Grande Turchia che proviene dal gioco di sponda tra Ankara e Baku. L’Azerbaigian si trova anche a fare da ponte tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, quindi è in posizione di forza per il controllo di entrambi. In base a considerazioni “geopolitiche”, sarebbe stato ragionevole aspettarsi che Mosca fosse molto più ferma contro il gioco a tutto campo messo in atto da Turchia ed Israele. In realtà l’atteggiamento russo nei confronti della crescente aggressività di USA ed Israele contro l’Iran appare piuttosto esitante ed ambiguo, così come Mosca si era mostrata tiepida e poco convinta nel sostenere l’Armenia nel 2023. Altrettanto corriva è la posizione russa nei confronti di Israele, che, col suo “proxy” azero, la sta insidiando ai confini. Abbiamo assistito l’anno scorso al cedimento russo in Siria nei confronti dell’espansionismo turco ed israeliano. L’unica consolazione per Mosca è che la solita intemperanza israeliana sta provocando problemi ad Erdogan.
Da più di vent’anni si discute tra Russia e Iran di un corridoio di infrastrutture di trasporti che dovrebbe collegare la Russia direttamente al Golfo Persico, in modo da evitare l’eccessiva dipendenza russa dal Mar Nero, il cui accesso è controllato dalla Turchia. Nel gennaio scorso si è firmato l’ennesimo accordo di partenariato strategico ed economico tra Russia e Iran; un trattato che aveva suscitato grandi aspettative e invece si è rivelato molto meno incisivo di quanto era stato previsto. Nonostante la oggettiva convergenza di interessi strategici ed economici con Teheran, Mosca sembra molto più preoccupata di evitare di entrare in urto con Ankara e Tel Aviv.
In definitiva, il concetto di “strategia” si rivela il grande fantasma nell’analisi dei rapporti internazionali, per cui l’idea che gli Stati siano soggetti razionali che tendono a seguire i propri interessi, risulta più un pregiudizio che una descrizione della realtà. Non è questione di capacità personali dei singoli capi di governo, bensì di dinamiche interne alle oligarchie. Dire “Putin” va bene finché è una sineddoche, se è un modo di indicare un regime, un gruppo di potere, col nome della sua figura di riferimento; mentre invece si casca nel patetico se si dà retta alla fiaba del dittatore e dell’autocrate, come se dalle nostre parti ci fossero la democrazia e lo Stato di Diritto. Al di là del grado di lucidità dei singoli, il comportamento di gruppo delle oligarchie appare sempre estemporaneo. Israele significa contatti d’affari e riciclaggio di denaro, e quindi l’oligarchia russa non rinuncia a intrattenerci buone relazioni, tanto più che ci sono tanti russo-israeliani a poter svolgere il ruolo di faccendieri. Se poi il bullo arriva al proprio confine, allora ci si dà una sveglia, magari anche per timore che i militari prendano il potere. Quando invece si è trattato di allontanare preventivamente la minaccia dai propri confini costringendo il bullo a impantanarsi altrove, da Mosca l’occasione non è stata colta. Nel 2011 la Russia non ha approfittato dei quasi mille chilometri di confine tra Algeria e Libia per far pervenire aiuti a Gheddafi. Nel 2013 Putin ha addirittura tolto le castagne dal fuoco ad Obama, inducendo Assad a cedere le armi chimiche. Ma c’è stato di peggio. Nel maggio del 2022 la stampa israeliana riportò allarmata la notizia (poi rivelatasi infondata) che per la prima volta i russi avevano consentito in Siria l’uso del sistema antiaereo S-300 contro i jet israeliani, che fino a quel momento avevano fatto il comodo proprio, sia contro l’esercito siriano, sia contro le truppe iraniane, sia contro Hezbollah. L’apparizione della falsa notizia fu comunque utile a dichiarare a chiare lettere che l’aviazione israeliana poteva bombardare la Siria solo grazie al permesso ed alla compiacenza dei russi.