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Caso Sofri: il movente di una vendetta
Di comidad (del 01/12/2005 @ 18:17:24, in Commentario 2005, linkato 1170 volte)
Le condizioni di salute di Adriano Sofri hanno riproposto in questi giorni all'attenzione uno dei casi giudiziari più assurdi e misteriosi della Storia. Condannato sulla base della testimonianza contraddittoria di un sedicente pentito, oggi l'ex capo di Lotta Continua, dal carcere dov'è rinchiuso, svolge un ruolo di "padre nobile" nel sistema della comunicazione. Con eleganza dialettica, Sofri ripropone i più triti luoghi comuni della propaganda ufficiale, rendendoli appetibili al palato dei raffinati. Ma si tratta degli stessi luoghi comuni in base ai quali egli ha potuto essere condannato senza prove.
Su "Panorama" del 27/9/2001, Sofri liquidava così i dubbi di fronte alle incongruenze della versione ufficiale sul crollo delle Twin Towers: "Il difficile non è di sventrarli con un aereo civile, i grattacieli: il difficile è pensare di farlo. La gente sopravvaluta la difficoltà tecnica perché è brava gente e non si è posta il problema. I terroristi pensano cose che gli altri non accettano di pensare, e questa è la loro vera forza".
Insomma la cattiveria del terrorista è sufficiente a spiegare come egli superi qualsiasi ostacolo e qualsiasi difficoltà. Questo è lo stesso motivo per il quale i giudici non si sono fatti carico di spiegare come quattro improvvisati - Sofri, Bompressi, Pietrostefani e Marino - abbiano potuto organizzare e realizzare un attentato contro una persona abile e ben protetta come il commissario Calabresi. A sua volta, Sofri non si è mai veramente difeso nei tanti processi in cui è stato giudicato, non si è mai posto il problema di domandare ai suoi accusatori se Calabresi fosse o meno ritenuto in pericolo dai suoi colleghi. Possibile che un commissario di polizia nell'occhio del ciclone non fosse sotto scorta?
Queste domande Sofri non le ha rivolte, perché sarebbero state implicitamente un dito puntato contro i soli che avevano la possibilità tecnica ed il movente per uccidere Calabresi: i suoi colleghi poliziotti. Sofri doveva subire un processo per calunnia per la sua campagna giornalistica contro Calabresi. Questi avrebbe mantenuto la calma o avrebbe finito per coinvolgere gli altri responsabili dell'assassinio di Pinelli?
Sofri è rimasto nell'ambiguità, non fuggendo - come gli era stato consentito di fare -, un'ambiguità rivendicata con dignitosa coerenza, come la costante di una vita in cui i mutamenti sono stati più apparenti che sostanziali. Chi sia stato realmente Sofri e cosa sia stata realmente Lotta Continua, non è facile rispondere. Certo è che persino negli ingenui anni '70, non si poteva fare a meno di notare come al pressappochismo ideologico e organizzativo di Lotta Continua corrispondesse una vitalità assicurata da trasfusioni di valuta di dubbia provenienza.
Le ambiguità di Sofri non risolvono il mistero. Perché egli è stato colpito a tanti anni di distanza. Per quale movente? Depistaggio?
Forse, ma comunque non sarebbe una risposta sufficiente. Nell'accanimento contro Sofri che ancora oggi dimostrano gli esponenti del partito della polizia (cioè Alleanza Nazionale), si intravede un rancore che non si placa. La vendetta può essere stato il movente della macchinazione contro Sofri, non la vendetta contro l'assassino di Calabresi, ma la vendetta contro colui che avrebbe reso "necessario" questo omicidio.
I poliziotti non sono macchine, ma esseri umani che vivono fra loro autentiche relazioni affettive oltre il limite della morbosità. Lo spirito di corpo per loro non è un modo di dire, ma una condizione esistenziale. I poliziotti possono essere persone intelligentissime e furbissime, ma la loro maturazione emotiva supera raramente lo stadio dell'adolescenza. La totale mancanza di scrupoli dei poliziotti non è dovuta ad un freddo calcolo, ma alla assoluta convinzione di essere delle vittime. Quando sono costretti ad eliminare dei loro colleghi - cosa che capita assai spesso: gli assassini di poliziotti sono quasi sempre altri poliziotti - rimane comunque in loro un sincero desiderio di vendetta, che si indirizza verso chi, secondo loro, li abbia messi in condizione di fare ciò che hanno fatto.
Comidad, 1 dicembre 2005