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PREPARIAMOCI AD “ESPIARE” IL BERLUSCONISMO (E POI ANCHE L’ANTIBERLUSCONISMO)
Di comidad (del 13/08/2009 @ 01:58:38, in Commentario 2009, linkato 1886 volte)
La firma dell’accordo tra Russia e Turchia per il passaggio del gasdotto “South Stream”, è stata l’occasione per una delle consuete fanfaronate di Berlusconi, che se ne è attribuito il merito. L’aspetto grave - anche se non serio - della vicenda, è che i media hanno approfittato della circostanza per alimentare il mito di un Berlusconi in conflitto con gli Usa e con l’Europa in nome degli interessi energetici italiani. La fiaba mediatica ci ha narrato che, mentre l’Europa aderiva al progetto di gasdotto Nabucco, voluto dagli Stati Uniti, Berlusconi avrebbe invece privilegiato l’accordo con il suo diletto amico Putin.
Le cose, in realtà, non stanno affatto così, poiché, tra le pagine degli stessi giornali ufficiali, è possibile reperire la notizia che esiste anche un gasdotto “North Stream”, risultato di un accordo tra Russia e Germania; e si sa che l’Europa, per molti aspetti, non è altro che uno pseudonimo della Germania. Accordi analoghi esistono, peraltro, anche tra Russia e Francia.
La firma dell’accordo tra Russia e Turchia costituisce inoltre solo la ufficializzazione di un dato già scontato, poiché gli ultimi aspetti contrattuali della costruzione del gasdotto, che sarà realizzato dall’ENI per conto del monopolio russo Gazprom, erano stati definiti alcune settimane fa. I media hanno anche volutamente dimenticato quanto da loro stessi riportato qualche anno fa, e cioè che le firme decisive per tutto l’affare erano già state apposte nel 2006 e nel 2007 dall’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi.
Gli affari non sono mai in alternativa tra loro, perché gli affari sono affari e non rispondono ad una funzione di utilità economica generale; e certo gli Usa non hanno mai pensato di impedire gli accordi tra ENI e Gazprom, semmai meditano di mettere poi le mani sull’Eni per ereditarne gli affari. Infatti non mancano i segnali che sia in atto un tentativo, attraverso inchieste giudiziarie condotte da “toghe a stelle e strisce”, di porre le condizioni per una vera privatizzazione della ENI, che è ora una SPA solo di nome, dato che la maggioranza azionaria è nelle mani dello Stato.
Siamo perciò di fronte ad un caso tipico di illusionismo mediatico, ottenuto attraverso l’omissione o la marginalizzazione di dati decisivi, e l’enfatizzazione di aspetti esteriori e folcloristici. Il tutto vuole contribuire a rafforzare il mito di un Berlusconi in conflitto col mondo, forte soltanto dei consensi che, secondo i soliti sondaggi, gli pioverebbero dal “Paese”.
È chiaro che questa mitologia berlusconiana non è in sé in grado di evitare un tonfo all’attuale Presidente del Consiglio, ma può ottenere lo scopo di trasformare una sconfitta personale di Berlusconi in una disfatta per tutta l’Italia, “responsabile” di avergli dato il suo consenso.
Una volta che occorrerà rimuovere le rovine materiali e morali del berlusconismo, la colpa di queste rovine verrà perciò attribuita a tutti gli Italiani. Almeno questa sarà la linea della stampa estera, a cui si allineerà disciplinatamente quella nostrana.
Un’operazione propagandistica analoga fu condotta anche durante la seconda guerra mondiale, quando, dopo la resa, le responsabilità del fascismo vennero fatte ricadere su tutta l’Italia.
Mentre l’Italia era ancora impegnata nel conflitto contro Gran Bretagna e Stati Uniti, su Radio Londra il colonnello Stevens diceva agli Italiani che gli “Alleati” (gli “Alleati” per antonomasia, gli Anglo-americani) non ce l‘avevano con l’Italia, ma solo con il fascismo, perciò, una volta rimosso il regime, amici come prima. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43, le belle promesse furono però del tutto dimenticate dagli “Alleati”: ora gli Italiani dovevano “espiare” per aver appoggiato Mussolini.
È chiaro che un confronto fra Berlusconi e Mussolini risulterebbe improponibile e fuorviante. Mentre Berlusconi è sempre stato considerato dai media esteri per quello che è - una nullità -, Mussolini fu invece oggetto di un vero e proprio “cult” internazionale. Oggi siamo abituati a visualizzare il Mussolini ridicolo e pacchiano dei cinegiornali Luce, ma negli anni ’20 il look e le pubbliche relazioni del Duce erano curati da Margherita Sarfatti, una raffinata intellettuale ebrea, che aveva un grande prestigio anche come critico d’arte. La Sarfatti era un genio delle pubbliche relazioni, e nel 1925 pubblicò in Gran Bretagna un libro biografico/apologetico su Mussolini, un libro che poi divenne un best-seller internazionale; in Italia venne pubblicato col titolo “Dux”. Il look del Mussolini versione-Sarfatti era tenebroso e aggressivo, e risultò decisivo per fare del Duce un mito mondiale. Il confronto storico si deve quindi restringere all’aspetto delle tecniche di guerra psicologica che vengono messe in campo, adesso come allora.
Alla fine del 1943 si insediò a Napoli il Psychological Warfare Branch, cioè la sezione per la guerra psicologica degli Anglo-Americani; un ente che sicuramente avrà cambiato nome, ma che, altrettanto sicuramente, da Napoli non si è più smosso.
La psychological war, o psycho-war (il termine tecnico ufficiale è psywar, volutamente meno chiaro), era una categoria nuova, prodotto della propaganda scientifica, e gli “Alleati” impostarono la strategia bellica su questi nuovi criteri. Bisogna non sottovalutare l’effetto confusionale che determina un nemico che da un lato proclama la libertà e i diritti dell’Uomo, e poi calpesta ogni regola di Diritto internazionale e persino ogni regola di reciprocità. Gli Anglo-Americani imponevano infatti ai nemici la “resa senza condizioni”, un concetto inusitato per i tempi, che non riconosce al nemico alcuna dignità.
Gli stessi metodi di psywar li si riscontra nell’attuale occupazione NATO dell’Afghanistan, dove il capo delle forze britanniche, generale Richards, proclama che gli occupanti sono pronti a rimanere per altri trenta o quaranta anni; e dove, dal canto suo, il comando statunitense afferma che dà mandato ai Marines di eliminare tout-court i “signori della droga”, quando ormai è palese che il narco-traffico è nelle mani della stessa NATO. Si tratta di dichiarazioni che contrastano con lo stesso mandato ONU delle forze occupanti e, in quanto tali, dovrebbero comportare una decadenza del mandato. È una psywar rivolta non solo contro gli Afgani, ma anche contro gli “Occidentali”, a cui si ricorda, in modo subliminale, che sono sottoposti ad un potere assoluto, bizzoso e spietato.
Vi sono indizi che fanno capire che Mussolini, sebbene fosse stato utilizzato anche lui in quella chiave, non avesse personalmente consapevolezza della psywar. In una nota allo Stato Maggiore del 14 luglio ‘43, dopo l’invasione anglo-americana della Sicilia, Mussolini disponeva di prendere informazioni su quanto accaduto anche dai comunicati ufficiali degli Anglo-Americani, perché, a suo dire, il nemico “dice la verità quando vince”.
In realtà la guerra psicologica comporta il mentire soprattutto dopo le vittorie, in modo da consolidarne i risultati facendo crollare il morale del nemico. Per questo motivo, gli Anglo-Americani avevano fatto credere che la campagna di Sicilia fosse stata una passeggiata, e che i soldati italiani fossero stati desiderosi solo di arrendersi o fuggire. Vi furono sì episodi sospetti, come la caduta di Augusta - e, prima ancora, quella di Pantelleria -, ma in effetti la resistenza italiana fu accanita. Recenti ricerche storiche, raccolte in un libro dal senatore Andrea Augello, hanno messo in evidenza come presso Gela la battaglia fosse stata furiosa e dall’esito incerto. Molti prigionieri italiani furono poi fatti passare per le armi dal generale Patton, irritato per l’eccessiva resistenza incontrata.
L’alibi del “tradimento”- che certamente vi fu da parte dei vertici della Marina Militare italiana, tutti di obbedienza massonica di Rito Scozzese - venne così esteso, a beneficio del fascismo, all’intero popolo italiano. Era come conferire alla neonata Repubblica Sociale Italiana un mandato per scatenare una guerra civile, in nome della punizione del “traditore” genericamente inteso.
I Tedeschi contribuirono in tal senso, imponendo ad un Mussolini recalcitrante, la coscrizione obbligatoria, che di fatto condannava l’esercito della Repubblica Sociale a diventare una polizia impegnata nella caccia ai disertori ed ai renitenti alla leva. Di fatto la Repubblica Sociale non ebbe mai un vero esercito, ma solo una serie di bande armate private, che svolgevano, abusivamente e impunemente, anche compiti di polizia; un dato che faceva crollare tutta la pretesa di legittimità della RSI, basata sulla promessa di opporsi all’invasore anglo-americano.
Il fatto fu anche denunciato dal direttore repubblichino de “La Stampa” di Torino, Concetto Pettinato, il quale pretendeva che, una buona volta, la Repubblica Sociale schierasse proprie divisioni contro gli Anglo-Americani. Pettinato ottenne solo di essere rimosso dalla direzione del quotidiano torinese e, perciò, soltanto singoli reparti repubblichini furono impegnati dai Tedeschi nella guerra contro gli “Alleati”.
La responsabilità della “guerra civile” è comunemente stata attribuita ai comunisti, i quali se l’addossarono, in nome della loro consueta linea politica, che imponeva di compensare le loro pratiche compromissorie con l’establishment, attraverso un estremismo verbale che desse un contentino alla base del partito. I mitici “rivoluzionari di professione” del gruppo dirigente comunista si rivelarono, per molti aspetti, dei dilettanti allo sbaraglio, perciò non deve sorprendere il fatto che i loro eredi siano stati cialtroni del calibro di Occhetto, D’Alema, Fassino e Veltroni.
Per comprendere la confusione che c’era, e che c’è tuttora a riguardo, si può ascoltare un inno della Repubblica Sociale, “Hanno ammazzato Ettore Muti” (è reperibile su YouTube), in cui l’uccisione del gerarca fascista pluridecorato Muti - già segretario del Partito Nazionale Fascista -, viene attribuita ai comunisti: “Vendetta, sì vendetta, farem sui comunisti”; e poi, col consueto buongusto fascista: “col sangue partigiano gli laverem la bara”.
Ebbene, Muti non era stato ucciso dai comunisti, né dai partigiani di qualunque parte, e non ebbe niente a che fare con la Repubblica Sociale, se non per il dettaglio che numerose formazioni repubblichine adottarono il suo nome. Muti era stato assassinato dai Carabinieri nell’agosto del ’43, un mese dopo la caduta di Mussolini, durante un finto arresto. Insomma, un tipico assassinio di Stato, di cui il diretto mandante fu il Presidente del Consiglio, Pietro Badoglio.
Secondo uno storico repubblichino, Bruno Spampanato, le responsabilità dei Carabinieri vennero accertate anche da un’inchiesta promossa dalla stessa Repubblica Sociale; ma nonostante ciò, quell’inno e quella propaganda anticomunista rimasero, perché la linea era, ed è, di scaricare la responsabilità della guerra civile sui comunisti. Ciò dimostra ancora una volta che l’anticomunismo costituisce l’unico collante di quel confuso calderone ideologico che è la “destra”, e spiega perché l’anticomunismo si sia esasperato proprio dopo la fine dell’URSS.
L’assassinio di Muti non è un “mistero”, perciò nessuna trasmissione di Lucarelli o di Augias potrà occuparsene; è un fatto acclarato, di cui però non si deve più parlare, perché contrasta con la versione anticomunista della “guerra civile”, quella divulgata da Giampaolo Pansa a beneficio dei drogati di anticomunismo. È necessaria questa omertà, per evitare che si diffonda il dubbio che tanti degli omicidi attribuiti ai partigiani, non siano stati in effetti commessi da loro.
Tramite quella versione di comodo della “guerra civile”, agli Italiani, dopo aver espiato il fascismo, è toccato perciò di espiare anche l’antifascismo. Miracoli della psywar! Non è escluso che anche adesso avvenga altrettanto e, dopo il berlusconismo, si sia costretti ad espiare anche l’antiberlusconismo.