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A ROSARNO PROVE TECNICHE DI FEDERALISMO DEMANIALE
Di comidad (del 14/01/2010 @ 00:13:30, in Commentario 2010, linkato 5790 volte)
Il 17 dicembre ultimo scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto “federalismo demaniale”, cioè il passaggio agli enti locali dei beni immobili attualmente di proprietà dello Stato. Si tratta dell’ennesimo espediente giuridico per consentire la privatizzazione di edifici e terreni del Demanio dello Stato. Il provvedimento porta la firma del ministro Calderoli, ma la “mente” (si fa per dire) del piano speculativo è sempre quella del ministro Tremonti, lo stesso ministro che due legislature fa aveva già provato, inutilmente, ad avviare una gigantesca privatizzazione dei beni demaniali dello Stato.
Il primo tentativo di Tremonti era stato bloccato per la sua evidente illegittimità, quindi il tentativo è stato ripetuto in questa legislatura seguendo strade diverse, cioè distraendo l‘attenzione con il trucco di finte riforme: le fondazioni universitarie, la gestione delle risorse idriche da parte di SPA, la trasformazione in SPA anche della gestione dei ministeri della Difesa e della Protezione Civile, ed ora persino il federalismo demaniale. Il filo conduttore di tutti questi provvedimenti è sempre lo stesso: i beni immobili dello Stato, delle Università, degli acquedotti, della Difesa, della Protezione Civile, passano di mano, non per essere venduti, e neppure svenduti, ma per essere semplicemente regalati ad affaristi privati.
Da quando Giulio Tremonti ha cominciato a vestire le penne del pavone “no global”, è riuscito a mettere a segno, nel silenzio quasi assoluto, la maggiore ondata di privatizzazioni della Storia italiana, strappando così a Giuliano Amato la palma di principe dei privatizzatori. Tremonti, in quest’opera di mistificazione/privatizzazione ha potuto avvalersi della complice omertà dei giornali di opposizione; infatti il lettore medio di “Repubblica” o del “Manifesto” non è a conoscenza della raffica di privatizzazioni attuata dal governo nel periodo natalizio.
Ovviamente il guinzaglio della mistificazione mediatica deve operare a vari gradi di lunghezza, poiché non tutta l'opinione pubblica è tanto distratta da non accorgersi di nulla; così "l'Espresso" è stato costretto a pubblicare alcuni articoli, in cui si è trattato sia del saccheggio dei patrimoni immobiliari della Difesa da parte del ministro La Russa, sia delle implicazioni affaristiche del ruolo di "manager" privato della Protezione Civile svolto da Guido Bertolaso. Il guaio è che lo stesso "Espresso" non si chiede come mai sia stato proprio il quotidiano del suo stesso gruppo editoriale, "La Repubblica", a fabbricare nei mesi scorsi l'icona santa di Bertolaso, rivelatosi ora uno squallido affarista. A dispetto della complicità mediatica nei confronti del governo, non sono comunque mancate le denunce degli effetti delle privatizzazioni da parte delle associazioni ambientaliste, che hanno messo in particolare evidenza le reali implicazioni del sedicente “federalismo demaniale”, cioè la trasformazione di vasti terreni demaniali in aree edificabili, con una ulteriore cementificazione del territorio, e soprattutto delle coste. Quindi l’acquisizione delle aree demaniali da parte di Comuni e Regioni costituisce, a parere delle associazioni ambientaliste, solo la premessa di una privatizzazione a tappeto.
In questo quadro non è stato però considerato un altro effetto, che pure era scontato e implicito nel provvedimento del federalismo demaniale. Gli accampamenti di immigrati utilizzati come braccianti agricoli si trovano per la gran parte proprio su terreni demaniali; questi terreni, prima del provvedimento natalizio, non avevano alcun valore e, per questo motivo, la presenza degli immigrati era tollerata, anzi incentivata per avere a disposizione una massa di manodopera a bassissimo costo. Questi accampamenti ora compromettono il valore dei terreni e ne ostacolano la lottizzazione.
Ad appena venti giorni dal varo del federalismo demaniale, è stato preso di mira uno dei maggiori insediamenti di immigrati, quello vicino Rosarno, in Calabria. Una “provvidenziale” rivolta di immigrati a Rosarno ha consentito di sfollare in massa gli immigrati dai loro rifugi, situati per lo più in fabbriche abbandonate, come la ex Rognetta. A questo punto, il Comune di Rosarno - opportunamente e preventivamente commissariato per presunte infiltrazioni mafiose - non avrà alcuna difficoltà ad affidare i terreni demaniali in gestione alle ditte amiche del governo, come la famigerata Impregilo, insediatasi da tempo in Calabria con il pretesto della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina.
Qualunque giornalista esperto non avrà potuto fare a meno di notare la stranezza della coincidenza tra il varo del federalismo demaniale e la fretta sospetta con cui le ruspe sono andate ad abbattere i rifugi degli immigrati. Il punto è però che il giornalismo non ha la funzione di informare, ma quella di mistificare, cioè di diffondere fiabe utili a coprire le manovre affaristiche. I media si sono messi perciò a regalare agli immigrati la loro pelosa comprensione, cercando scusanti e attenuanti alla loro presunta rivolta, intrattenendoci su tutti i soprusi che hanno dovuto subire, che spiegherebbero la loro “rabbia”. Alcuni giornalisti si sono anche vendicati delle bocciature subite in gioventù agli esami di Storia Romana, lanciandosi in improbabili paragoni tra la presunta rivolta di Rosarno e le Guerre Servili della Roma antica. Il tutto è stato condito con una buona dose di razzismo contro i Calabresi, accusati disinvoltamente di essere xenofobi e mafiosi, dato che il razzismo antimeridionale non solo è ammesso, ma è considerato persino “politically correct”.
In realtà i dubbi sulla autenticità della rivolta sono più che fondati. Persino l’ipotesi che gli immigrati abbiano potuto reagire ad una serie di provocazioni, appare piuttosto aleatoria. Una vera difesa dei deboli non si fa accampando presunte giustificazioni alla “rabbia” degli oppressi, ma pretendendo prove per le accuse che sono state lanciate loro; altrimenti si fa come quei Pubblici Ministeri che, quando non hanno prove, puntellano le loro requisitorie trasformando le presunte attenuanti in presunti moventi, cosa che alla fine non gli impedisce neppure di chiedere l’ergastolo per l’imputato. Infatti, al di là delle espressioni di generica comprensione, nessun commentatore mediatico ha chiesto che gli sfollamenti venissero bloccati o, almeno, sospesi in attesa dell’accertamento delle effettive responsabilità.
I testimoni hanno visto infatti semplicemente degli uomini di colore che attuavano delle incursioni: il fatto che fossero delle persone di colore non implica che si trattasse effettivamente di immigrati africani. Avrebbero potuto anche essere dei militari, o dei mercenari di agenzie private di servizi militari, come la Blackwater. Una multinazionale edilizia come l’Impregilo non avrebbe nessuna difficoltà a reclutare personale del genere, dato che se ne serve abitualmente in varie parti del mondo.
In questa situazione ha giocato ancora una volta il pregiudizio favorevole ai ricchi, un pregiudizio che scorge la minaccia all’ordine sempre nei poveri e nei disperati, mentre i “ricchi soddisfatti” sarebbero al massimo colpevoli di egoismo e indifferenza. In realtà è proprio l’affarismo a costituire, da sempre, il principale fattore di destabilizzazione e sedizione. Il problema è che non si può privatizzare rispettando la legalità.
Nel caso del cosiddetto federalismo demaniale, tutto il provvedimento è basato sull'ipotesi inesistente di beni demaniali inutilizzati, quando invece, in un territorio ristretto come quello italiano, attorno ad ogni bene demaniale si stratificano una serie di diritti derivanti dall'uso. Insediandosi sui terreni demaniali, gli immigrati - che poi non sono nemmeno tutti clandestini - hanno acquisito di fatto dei diritti, per i quali non potevano più essere sfrattati così alla leggera. Ecco che allora lo sfratto degli immigrati, e la privatizzazione dei terreni, potevano effettuarsi soltanto inventandosi un'emergenza di ordine pubblico.