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CRISI FINANZIARIA O BUSINESS DELLA POVERTÀ?
Di comidad (del 11/02/2010 @ 01:51:19, in Commentario 2010, linkato 1737 volte)
Le difficoltà finanziarie che hanno coinvolto dapprima la Grecia e poi la Spagna ed il Portogallo, hanno provocato in alcuni commentatori di opposizione la consueta aspettativa di un Armageddon del cosiddetto capitalismo. Questo tipo di commenti è dovuto al fatto che, anche fra i sinceri oppositori del dominio, tende spesso a prevalere un’immagine idealizzata ed edulcorata del sistema degli affari, un'immagine secondo la quale il sedicente capitalismo dovrebbe temere dagli stessi disastri sociali che determina.
In realtà la chiave per comprendere gli effettivi termini della presunta “crisi finanziaria” che ha investito i tre Paesi della cosiddetta Eurozona sta proprio nelle "terapie" che vengono imposte ai "malati" dalla Banca Centrale Europea, cioè il “rigore nei conti pubblici”. Ai Paesi del Sud-Europa che avrebbero sperperato, la propaganda ufficiale propone l’esempio luminoso della virtuosa e luterana Germania o della virtuosa e calvinista Olanda, che avrebbero invece saputo amministrarsi con oculata parsimonia. In questa campagna propagandistica risultano scontate le vanterie trionfalistiche del governo italiano, che ha millantato addirittura di aver salvato i conti pubblici grazie alla decisione di non stanziare nulla a favore dei disoccupati.
Risulta quindi chiaro che, per poter rimanere nella zona dell’Euro, la Grecia, la Spagna ed il Portogallo dovranno imporsi drastici tagli alla spesa sociale, che andranno ad inasprire le condizioni della popolazione, aumentando disoccupazione e povertà. D’altra parte la BCE sa benissimo che nei conti pubblici la spesa sociale incide in parte minima, al massimo per il 4 o 5%, per cui da questi tagli, e dal conseguente aumento della povertà, non c’è da attendersi alcun effetto di risanamento dei bilanci degli Stati.
In realtà, la virtù dei luterani, dei calvinisti, ed anche degli anglicani, non consiste nel risparmiare, ma nel poter brandire il coltello del colonialismo dalla parte del manico. Dato che l’euro non è altro che il marco dietro pseudonimo, il suo valore corrisponde alla forza effettiva dell’economia tedesca. Dal canto suo, la Gran Bretagna, pur possedendo un 14% della BCE, e quindi dell’euro, non ha mai rinunciato alla sterlina.
Sono stati invece i Paesi ad economia strutturalmente debole - come Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, ecc. - a dover deprimere le proprie esportazioni ed il proprio turismo a causa di una moneta sopravvalutata. L’edificio dell'Unione Europea ha costituito una cosciente operazione colonialistica di impoverimento di gran parte dei Paesi europei, in modo da favorire il principale business della povertà: la finanziarizzazione dei consumi, ovvero il costringere le persone a piegarsi allo schiavismo dei debiti.
La tanto decantata eccezione spagnola arriva ora al suo rendiconto, che non è dovuto alle presunte leggi di un inesistente “mercato", ma alle forche finanziarie imposte dalla BCE. La realtà è che Grecia, Spagna e Portogallo sono prima finiti nel mirino della BCE, e poi i “mercati” finanziari si sono adeguati, non viceversa.
Il bersaglio principale della BCE è proprio Zapatero, con la sua politica del piede in due scarpe: sostegno finanziario alle multinazionali spagnole nella loro criminale conquista dell’America Latina e, nel contempo, anche un po' di incentivo ai consumi interni, sia attraverso la spesa sociale, sia non imponendo tetti salariali. In tal modo la sinistra spagnola ha potuto fare una politica di destra all’estero, mantenendo però un alone socialdemocratico all’interno. Per sostenere questa finzione, il quotidiano"El Pais", mentre conduceva astiose e martellanti campagne propagandistiche contro Chavez, poi si riverniciava ogni tanto il fondo tinta progressista pubblicando qualche articolo contro Berlusconi.
Agli occhi della BCE anche un falso socialista come Zapatero risulta comunque colpevole di aver frenato il business della finanziarizzazione dei consumi, dato che oggi gli Spagnoli non sono abbastanza poveri da doversi indebitare sino al collo per poter acquistare merci, o solo per pagare bollette e spese sanitarie. La colpa imperdonabile della spesa sociale non è infatti quella di aggravare la spesa pubblica - la cui quota maggiore va sempre alle banche ed alle multinazionali -, ma di ostacolare l’indebitamento dei consumatori.
Le agenzie finanziarie e le agenzie di recupero crediti trovano il loro spazio vitale solo se i salari sono bassi e la spesa sociale è compressa al minimo. Reperire per le finanziarie questo spazio vitale, costituisce oggi la sacra missione di cui la BCE è stata investita dai suoi veri padroni, i Rothschild e i Goldman Sachs, da cui dipendono, direttamente o indirettamente, tutte le micro-agenzie finanziarie e di recupero crediti. In una sorta di catena di Sant’Antonio dell’indebitamento, anche queste agenzie dipendono infatti dal credito delle grandi cosche finanziarie storiche.
Mentre le sinistre cercavano freneticamente di adeguarsi alle mitiche “nuove sfide” del nuovo millennio, nel frattempo l’affarismo riproponeva disinvoltamente i business della povertà di due secoli fa; e non è neppure da escludere che di qui a poco venga reintrodotto persino il carcere per debiti, già reso tristemente famoso dai romanzi di Charles Dickens.