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MANUALE DEL PICCOLO COLONIALISTA (5)
Di comidad (del 12/12/2006 @ 00:00:00, in Manuale del piccolo colonialista, linkato 1865 volte)

Il colonialismo è una tecnica di dominio che si riproduce con precise costanti nel corso della Storia. Queste prime voci costituiscono l'avvio della stesura di un manuale a riguardo. Chi fosse interessato, può anche fornire il suo contributo. Comidad

5 - Lo sterminio degli Indiani dell'area caraibica

Con il secondo viaggio di Cristoforo Colombo ad Haiti, alla fine del 1493, diventano più chiari gli scopi e i metodi di questi viaggi d'esplorazione. L'occupazione in armi dell'isola, poi ribattezzata Hispaniola, messa in atto con l'arrivo di un'armada di diciassette navi e millecinquecento uomini segna l'atto inaugurale della colonizzazione europea che presto si abbatterà su tutto il continente americano con una ferocia inaudita.

La pratica coloniale deve essere sorretta da un discorso di gerarchizzazione ai danni dei popoli invasi; ecco quindi delinearsi le prime tracce di una ideologia che diventerà letteratura e che si rafforzerà proprio sostenendo la pratica coloniale. Già dopo il suo primo viaggio, Cristoforo Colombo scrive: "gli indigeni sono adatti ad essere comandati e a che li si faccia lavorare, seminare e portare a termine tutti gli altri lavori che si rendessero necessari, e a che si insegni loro ad andar vestiti e a prendere i nostri costumi".

In realtà gli Indiani accolgono molto bene gli spagnoli, ma questi li costringeranno a cambiare tipo di coltivazione per nutrirli, a costruire le case e le città per gli occupanti e soprattutto a lavorare per l'estrazione dell‚oro, attraverso un lavoro durissimo con un ritmo sproporzionato al modo vita e alle capacità fisiologiche del popolo di Haiti, che soccomberà velocemente. Un certo tipo di letteratura coloniale ci racconta che gli Indiani non furono capaci di adeguarsi a quell'ideologia del lavoro che gli occidentali chiamano civiltà, ma la pratica coloniale dimostra che il vero scopo degli Spagnoli era quello di costringere altri a lavorare al posto loro ovvero di ridurli in schiavitù.

D'altro canto, l'incontro con società meno gerarchizzate spinge gli Europei a produrre discorsi sulla mancanza di regolazione nella vita familiare e sessuale degli indiani, che se da un lato servono da giustificazione per l‚opera "civilizzatrice" dei conquistatori, dall'altro lato, surrettiziamente, garantiscono la possibilità di abusare di questi popoli.

Amerigo Vespucci, nel suo Mundus Novus, dimostrava quanto il mito del "buon selvaggio" trovasse già una sua prima formulazione, molto prima del romanticismo, e come fosse già funzionale al colonialismo: "Essi non hanno vestiti, né di lana né di seta, perché non ne hanno alcun bisogno. Non hanno beni che gli appartengono in proprio, ma tutte le cose sono in comune; vivono senza re, senza autorità superiore e ognuno è padrone di se stesso. Hanno quante donne vogliono, il figlio giace con la madre e il fratello con la sorella, e ognuno con la prima che si trova alla sua portata o che incontra. Ogni volta che vogliono, divorziano e non seguono alcun ordine a riguardo. Inoltre, non hanno chiese, non hanno leggi e non sono neppure idolatri..."

In realtà, gli Indiani Tainos di Haiti non corrispondevano affatto a questo modello arcadico, ma Colombo li descrive con gli stessi sogni in testa. Eppure, quando gli Indiani organizzeranno la resistenza, il giudizio su questo popolo cambierà completamente: se prima erano ritenuti uomini e donne pacifici, molto dolci e facili da convertire al cristianesimo - che, non dimentichiamolo, era l'unico scopo dichiarato di quei viaggi -, appena essi iniziano a combattere saranno considerati come perfidi, ladri, assassini o saccheggiatori. Le diverse popolazioni indiane erano capaci di accogliere degli stranieri per un certo tempo, ma non hanno mai pensato di concedere loro un diritto di occupazione permanente e ancor meno di lavorare sotto i loro ordini.

Nell'estate del 1494 tutta Haiti è in guerra. Nel marzo del 1495 gli Indiani sono schiacciati nella battaglia di Vega Real con perdite altissime. Da quel momento praticheranno la strategia della terra bruciata, ma saranno respinti sulle montagne e la maggior parte di loro morirà di fame. I sopravvissuti saranno costretti a lavorare in miniera o nei campi; le malattie epidemiche, in particolare il vaiolo, colpiranno organismi già debilitati da ritmi di lavoro forsennati. Le cifre danno in parte conto del massacro e di un regime che oggi si potrebbe definire concentrazionario. La stima più corrente della popolazione dell'isola all'arrivo di Colombo, e che richiama il rapporto dei dominicani del 1519, è di circa 1,1 milione di persone. Nel 1507, il tesoriere Juan de Pasamonte non ne conta più di 60.000. Nel 1520 c'era solo un migliaio di Indiani a Hispaniola e più nessuno a Porto Rico. La stessa catastrofe si abbatterà poi su Cuba, dove si erano rifugiati alcuni Tainos, sulla Giamaica e infine su San Juan de Porto Rico.

La rapida scomparsa della massa indiana che doveva servire da manodopera gratuita, spinge i colonizzatori a importare i primi schiavi neri provenienti dalla Spagna dove la schiavitù era ancora in vigore.

Il colonialismo pratica la guerra d‚aggressione, il saccheggio e lo sfruttamento contro i popoli che ne sono vittime, ma produce anche una sedimentazione di discorsi sull'inferiorità di questi popoli e sul primitivismo da cui bisogna emanciparli, discorsi che è possibile rintracciare ogni volta che il colonialismo entra in azione.