\\ Home Page : Articolo : Stampa
LA CIRENAICA FOTOCOPIA DEL KOSOVO
Di comidad (del 03/03/2011 @ 00:20:07, in Commentario 2011, linkato 2745 volte)
I media stanno inneggiando da settimane alle presunte "novità" provenienti dal Mondo Arabo, novità che consisterebbero in quelle inedite esperienze che sono i colpi di Stato militari. Ma, più di tutte, la situazione della Libia ha assunto i contorni del déjà vu, di una vicenda già vissuta nei minimi dettagli.
Vari commentatori hanno ipotizzato che, dietro l'ondata di rivolte nei Paesi arabi, vi sia un'unica strategia di destabilizzazione di marca statunitense. Vi sono certamente degli indizi che possono conferire qualche fondatezza a questa ipotesi, come, ad esempio, il ruolo di personaggi ambigui come El Baradei in Egitto. In effetti nel caso della Tunisia e dell'Egitto è anche possibile che gli USA stiano mettendo in atto operazioni di recupero riguardo ad una situazione che cominciava a sfuggire di mano per una serie di tensioni sociali ed istituzionali direttamente provocate dalle privatizzazioni selvagge imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dall'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO). Sta di fatto invece che il caso libico assume dei contorni davvero singolari rispetto a quelli della Tunisia e dell'Egitto, perciò per la Libia non si può più parlare di semplici indizi e sospetti, ma di una serie di marchiane evidenze.
Alcuni giorni fa, un articolo su Militant-Blog, a proposito degli eventi libici, parlava di "puzza di Kosovo", ma ora sembra addirittura di ripercorrere passo per passo lo schema della "emergenza umanitaria" in Kosovo del 1999, che costituì il pretesto per l'aggressione della NATO contro la Serbia, una serie di bombardamenti a tappeto spacciati dai media come "ingerenza umanitaria". Novello Milosevic, anche Gheddafi si trova colpito contemporaneamente dalla secessione unilaterale di una parte del Paese e da una campagna di criminalizzazione internazionale, che già si è concretizzata in sanzioni economiche dell'ONU e della Unione Europea con tanto di sequestro dei beni libici, fatti passare tout-court dai media come beni della "famiglia Gheddafi". Il "congelamento" dei suoi presunti beni si configura perciò come una rapina coloniale in grande stile ai danni dello Stato libico. Ma in queste ore pare che la NATO stia anche allestendo una "no fly zone" sulla Libia, utilizzando ovviamente le basi militari italiane, che Berlusconi sta concedendo esattamente come D'Alema nel 1999; cosa che, si spera, dovrebbe almeno liquidare le residue fiabe circa il Berlusconi in conflitto con i poteri forti internazionali.
La "no fly zone" della NATO implica un'aggressione in piena regola, poiché imporla significherà abbattere gli aerei libici, magari con il contorno di qualche bombardamento vero sulla popolazione civile, che dovrebbe supplire a quelli immaginari di Gheddafi. Nel 1999 le operazioni NATO furono ispirate e dirette dal presidente Clinton, adesso dal segretario di Stato Clinton, quindi ci siamo quasi.
A rafforzare la sensazione di già visto, c'è persino la onnipresenza mediatica di Emma Bonino, la quale, dopo essere stata eletta nel 1999 nemica ufficiale di Milosevic, ora è diventata anche colei che detta la linea ufficiale per ciò che concerne le operazioni anti-Gheddafi. La deputata radicale ha potuto ancora una volta esibirsi nelle sue mirabolanti capacità logiche in un intervento su Repubblica Radio-TV, allorché, auspicando le sanzioni ONU e UE contro Gheddafi, ha poi aggiunto che occorrerà poi trovare le prove dei suoi crimini contro l'umanità, con ciò implicitamente ammettendo, in un colpo solo, sia che tali prove adesso non esistono, sia che le sanzioni ONU e UE sono state imposte d'arbitrio, senza alcuna inchiesta preventiva.
In compenso ci sono le inchieste e le prove contro gli USA sia per Guantanamo che per il massacro di civili in Iraq ed Afghanistan, ma ciò non impedisce ad Obama ed alla Clinton di ergersi a giudici, sbirri e boia in materia di difesa dei diritti umani, e di essere accettati in questo ruolo dalla sedicente "Comunità Internazionale" (pseudonimo degli stessi Stati Uniti). La Bonino dovrebbe essere a sua volta imputata per crimini contro il buon senso, da lei commessi in nome della provocazione/disinformazione occidentalista, dato che, allo stato attuale, non soltanto non esiste il supporto di prove alle notizie di atrocità commesse dal regime libico contro i rivoltosi, ma non ci sono neppure le fonti delle presunte notizie. Si tratta infatti di notizie orfane, di cui è stato possibile accertare il diffusore - le emittenti arabe come Al Jazeera, la stessa che aveva dato per certa la fuga di Gheddafi in Venezuela - ma non l'origine. Al contrario, le smentite a queste notizie provenivano da testimoni ben individuati, come il vescovo di Tripoli e gli Italiani sfollati dalla Libia, ma la comunicazione ufficiale non ha ritenuto di prenderle in considerazione. Dato che non confermavano la linea ufficiale, una giornalista di Repubblica Radio-TV ha infatti liquidato come "confuse" le affermazioni degli Italiani appena giunti da Tripoli.
Le analogie non finiscono qui, dato che anche nel 1999 gli Stati Uniti dettarono la linea al Consiglio di Sicurezza dell'ONU ottenendone, come oggi, un pronta obbedienza, che ha visto, come allora, la sottomissione anche di Russia e Cina. Putin è sembrato addirittura fra i più ansiosi di scaricare Gheddafi, come del resto fece con Milosevic, sebbene sia risaputo che si sta preparando una nuova operazione della NATO e che stavolta le Forze Armate russe difficilmente saranno disposte a passarci sopra. Chissà se la prossima vittima di un colpo di stato militare non sia proprio Putin, che si oppone all'aggressività militare USA non in chiave globale, ma solo quando pressa i suoi confini; una strategia strettamente difensiva che sta cominciando a logorare i suoi rapporti con i generali russi. Anche la Cina non dovrebbe essere troppo felice di questa penetrazione militare USA in Africa, che certamente va a disturbare la penetrazione affaristica cinese in quel continente; eppure la Cina non ha fatto opposizione, segno che forse, a dispetto di tutti i tentativi ideologici di rendere astratto ed impersonale il concetto di "Impero", il vero e solo imperialismo rimane quello americano.
Intanto la Cirenaica si configura già come un altro Kosovo, uno staterello etnico fantoccio della NATO, e probabilmente nel territorio strappato al tiranno di Tripoli già si sta dissodando il terreno per impiantare una base militare USA, una nuova Bondsteel, a guardia dei pozzi di petrolio e di gas sottratti manu militari alle cure amorevoli dell'ENI. Rispetto al Kosovo c'è infatti qualcosa in più, e riguarda la variabile delle imprese italiane che sono state non solo spiazzate dalla secessione, ma anche dalle sanzioni economiche alla Libia. Le quote azionarie libiche nell'ENI, in Finmeccanica ed in UniCredit si trovano adesso in una sorta di limbo giuridico che consegna il manico del coltello a chi controlla e ispira le sanzioni stesse, e cioè gli Stati Uniti. L'Eni e la sua cordata imprenditoriale si trovano quindi doppiamente sotto scacco, ma l'unica cosa che ha saputo dire a riguardo il presidente di Finmeccanica, Guadagnini, è stata che i nuovi padroni della Libia avranno pur sempre bisogno dei prodotti di Finmeccanica. Forse, ma non è detto che per allora il presidente sia ancora Guadagnini.
Le multinazionali anglo-americane hanno quindi allestito una duplice operazione coloniale, centrando in un colpo solo la Libia e l'Italia, tutto ciò nel gaudio dei media italiani, a riprova che gli attuali dirigenti dell'ENI non hanno seguito le orme di Enrico Mattei, il quale si premurava di avere a disposizione le proprie armi nella guerra dell'informazione/disinformazione. L'amministratore delegato dell'ENI, Scaroni, dovrebbe anche chiedersi a cosa siano servite tutte le mazzette che ha elargito per decenni ai servizi segreti italiani, dato che gli Stati Uniti hanno colto alla sprovvista sia lui che Gheddafi. In questi giorni l'ENI si sta giocando la sua sopravvivenza, poiché, se si lascia sottrarre senza reagire i giacimenti libici, perderà anche la faccia con ogni possibile interlocutore nei Paesi del terzo mondo.