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LA LADY DI CARTAPESTA AL SERVIZIO DELLE MULTINAZIONALI DEL CARBONE
Di comidad (del 18/04/2013 @ 01:57:35, in Commentario 2013, linkato 2048 volte)
Non è necessario fare supposizioni circa la matrice dell'attentato di Boston, per riscontrare che, ancora una volta, il "vile attentato terroristico" ha sortito i suoi immancabili effetti disciplinari sull'opinione pubblica, immediatamente irreggimentata nello schema del "noi e loro". Nell'epoca della presunta società "complessa", e della altrettanto presunta società "liquida", nulla funziona meglio dell'emergenza-terrorismo per semplificare e cristallizzare il quadro di riferimento. La estrema facilità con cui questo può avvenire, costituisce un'obiezione sostanziale nei confronti di qualsiasi illusione di democrazia e di Stato di Diritto.
Le celebrazioni in onore della figura di Margareth Thatcher (forse ammazzata per l'occasione, in modo da riciclarla in operazioni di manipolazione mediatica), hanno anch'esse messo in evidenza quanto sia facile creare un mito. Basta mentire. Nulla di ciò che viene speso in questo tipo di propaganda svolge una mera funzione celebrativa, ma serve a ribadire degli schemi di pensiero, dei pregiudizi, che soppiantino totalmente i dati di fatto. La famosa vittoria del 1985 del primo ministro Thatcher contro i minatori britannici in sciopero, è stata presentata dai media come una scadenza ineluttabile del progresso contro le resistenze conservatrici del lavoro. Si tratta del solito luogo comune secondo cui gli operai sarebbero sempre a rimorchio della Storia. A sentire la versione ufficiale, le miniere di carbone avrebbero rappresentato un settore obsoleto e superato a causa del prepotente avvento degli idrocarburi, e andavano chiuse per necessità economica. Insomma, per i minatori britannici si sarebbe ripetuto ciò che avvenne ai Luddisti dei primi dell'800, i quali, secondo il mito storiografico vigente, difendevano un modello di lavoro artigianale contro l'avvento delle macchine. In realtà, in due secoli non è mai stata fornita alcuna prova storica del fatto che i Luddisti distruggessero le macchine per difendere la propria condizione di artigiani. Dai verbali dei loro processi, che si concludevano con immancabili condanne all'impiccagione, risulta semmai che si trattasse di nuovi operai. Ma, a quei tempi, ogni tipo di associazionismo operaio era considerato alla stregua di un reato di cospirazione, ed ogni sciopero trattato come un sabotaggio, con conseguenti condanne a morte; perciò la distruzione delle macchine costituiva allora la sola forma di lotta a disposizione degli operai, l'unica che consentisse di commisurare l'efficacia dei risultati agli enormi rischi connessi.
Nel caso dei minatori britannici degli anni '80, c'è oggi a disposizione addirittura la prova tangibile che il "progresso" non c'entrava niente con la chiusura delle miniere. Infatti, secondo gli stessi dati ufficiali, la Gran Bretagna nel 2012 ha importato 44,8 milioni di tonnellate di carbone, prevalentemente da Russia, Colombia e Stati Uniti. Insomma, nell'epoca degli idrocarburi e delle energie rinnovabili, il carbone è rimasto fondamentale nella produzione di energia elettrica.
Negli ultimi anni il consumo di carbone nel mondo è aumentato del 55%, e l'Italia ne importa circa 19 milioni di tonnellate all'anno; un'enormità, anche se si tratta di una bazzecola di fronte alle importazioni di carbone nel Regno Unito. Il carbone è il grande "innominabile" dell'economia europea e mondiale, una presenza tremendamente invadente, ma che si può occultare con espedienti elementari come il "basta mentire". L'opinione pubblica infatti viene indotta a credere che il carbone sia un ricordo dell'800; e per questo si convince facilmente della necessità di chiudere impianti minerari come quello del Sulcis in Sardegna, in modo da poter importare milioni di tonnellate di carbone da USA, Russia e Colombia.
C'è anche un certo ambientalismo che presenta ogni volta l'uso del carbone come un'anomalia locale dei vari Paesi e quindi, indirettamente, rafforza quella falsa idea che il carbone sia generalmente in disuso. Solo in Italia le centrali elettriche a carbone sono tredici, e niente - ma proprio niente - fa supporre che la dipendenza mondiale dal carbone tenda a diminuire.
Il fatto che il carbone non sia più estratto a livello locale dei singoli Paesi, ma sia soggetto ad un crescente import-export, non solo è antieconomico, ma peggiora di molto gli effetti inquinanti a causa del trasporto. Ad avvantaggiarsene però è il business delle grandi multinazionali del settore, come la AngloAmerican. Si tratta di una di quelle grandi corporation minerarie che nessuno sente mai nominare, ma che dominano l'economia mondiale.
Manco a dirlo, la AngloAmerican è la multinazionale più attiva nel gestire il business delle miniere di carbone colombiane, ed attualmente si trova coinvolta in un contenzioso giudiziario con le popolazioni locali, che protestano contro i devastanti effetti sanitari ed ambientali delle famigerate miniere di carbone a cielo aperto.
Per ottenere l'alone mediatico di "statista" basta fare gli interessi di qualche multinazionale. Che la carriera della cosiddetta "Lady di ferro" sia stata in realtà tutta all'insegna della cartapesta della finzione mediatica, è indicato anche dalla scarsa attenzione prestata al dettaglio che fu la "inspiegabile" scissione socialdemocratica del Partito Laburista a consentire alla Thatcher di conseguire i tre mandati consecutivi di primo ministro. La carriera politica della Thatcher si è sviluppata sempre sotto l'ombrello di protezioni tutt'altro che trasparenti, e la sua figura ha rappresentato uno dei tanti casi tipici di strumentalizzazione dell'immagine femminile a fini reazionari e affaristici. Si tratta dello stesso metodo per il quale il colonialismo statunitense ha inventato per Cuba la "dissidente" Yoani Sanchez, come immagine femminil-giovanile da opporre alla gerontocrazia dei fratelli Castro.
Nel caso dei minatori inglesi, la propaganda mediatica non si è limitata a contrapporvi un'immagine femminile di nanny severa e castigamatti, ma nel 2000 ha anche prodotto una rilettura di tutta la vicenda storica dello sciopero come un superamento del maschilismo dei minatori stessi. Ci si riferisce al film "Billy Elliot", esaltato dalla critica ufficiale come uno dei capolavori assoluti della cinematografia britannica. La trama del film narra del figlio di un minatore che si dissocia dai valori del padre per seguire la vocazione della danza classica; per fare ciò, il ragazzo sfida i pregiudizi del suo ambiente operaio, condizionato dai pregiudizi circa la perdita di virilità che la danza comporterebbe.
Il messaggio del film "Billy Elliot" era stato preparato attraverso operazioni cinematografiche precedenti, come "Full Monty", nel quale degli operai disoccupati trovavano modo di riciclarsi come spogliarellisti. Ancora una volta dei temi progressisti, e apparentemente spregiudicati, erano stati strumentalizzati e distorti dalla propaganda ufficiale in chiave reazionaria.