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SE IL BRASILE RITORNA AD ESSERE UNA COLONIA FMI
Di comidad (del 27/06/2013 @ 00:05:56, in Commentario 2013, linkato 2374 volte)
Nell'epoca delle cosiddette "teorie del complotto", sembrerebbe che invece la "teoria dell'anti-complotto" sia diventata il collante ideologico del commentario ufficiale. Le dichiarazioni del primo ministro turco Erdogan, che ha ipotizzato la presenza delle stesse lobby finanziarie dietro i disordini in Turchia ed in Brasile, hanno suscitato i prevedibili commenti irridenti della stampa internazionale. Ancor prima Erdogan era stato bersagliato dai commentatori per aver ipotizzato che dietro i disordini in Turchia vi fosse la mano del finanziere George Soros.
In risposta al "primitivismo" dei complottisti, è partito uno sforzo di "razionalizzazione" che ha visto l'impegno di firme autorevoli. Loretta Napoleoni ha cercato di spiegare l'apparente paradosso per il quale Paesi in forte ascesa economica, come Brasile e Turchia, si trovano ad affrontare turbolenze di piazza, mentre l'Europa del Sud, in impoverimento crescente, ristagnerebbe nella acquiescenza sociale. La soluzione logica escogitata dalla Napoleoni è consistita nell'individuare storicamente nel ceto medio in ascesa sociale la molla delle rivoluzioni.
(2) In realtà la Napoleoni non considera che persino in fatto di rivolte ci sono figli e figliastri. Si tratta di un atteggiamento che ha i suoi precedenti illustri, come nel caso dello storico marxista Eric Hobsbawm, che maltrattava Babeuf per essersi permesso di fare il comunista (e pure con le idee chiare) mezzo secolo prima che Marx desse ufficialmente lo start. Oggi però ci pensano i media a decidere quali siano le rivolte buone e quelle cattive. La sommossa londinese dell'agosto del 2011 fu descritta in modo unanime dai media come un fenomeno esclusivamente criminale, nichilistico e caotico, e ai rivoltosi non fu concessa la parola; anzi, largo spazio fu offerto alle "eroiche" mamme che denunciavano i figli coinvolti nei disordini. Se i metodi sbrigativi di polizia usati per stroncare la rivolta delle periferie londinesi fossero stati adottati da Erdogan, adesso questi si ritroverebbe già condannato dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Le analisi sociologiche della Napoleoni potrebbero avere un qualche fondamento se i movimenti di piazza in Turchia e Brasile fossero rivolti contro le loro effettive controparti, cioè contro i potentati che comprimono le loro aspirazioni al benessere ed alla promozione sociale. Ma in effetti, in Turchia come in Brasile, i bersagli dei manifestanti appaiono troppo "localizzati" e banalizzati negli slogan anti-corruzione, mentre al contrario rimangono nell'ombra i loro manovratori a livello internazionale.
In un articolo dello scorso anno, la stessa Loretta Napoleoni inneggiava al "pragmatismo" della presidentessa brasiliana Rousseff che si era decisa ad avviare un piano di privatizzazioni dei trasporti in Brasile. Dopo i contorcimenti di Lula, finalmente la Rousseff tornava ad obbedire docilmente ai dettami del Fondo Monetario Internazionale.
Quindi la Napoleoni aveva ragione: c'erano tutti i motivi per festeggiare, dato che il Brasile tornava ad essere "pragmatico", cioè una preda indifesa delle multinazionali. Loretta Napoleoni ha ritenuto di partecipare anche lei a questo clima "pragmatico", diventando una seguace di Matteo Renzi.
Come molti Paesi latino-americani, dagli anni '50 in poi il Brasile è stato praticamente una colonia del FMI, e questo dato è sempre stato presente alla coscienza di gran parte dell'opinione pubblica brasiliana. Soltanto con la presidenza Lula il Paese si è ripreso, se non un'autonomia, almeno un margine di contrattazione nei confronti delle invadenti istituzioni finanziarie internazionali; ed è stato uno dei principali motivi della relativa popolarità dello stesso Lula non solo in Brasile, ma in tutta l'America Latina.
A distanza di un anno dalla conversione della Rousseff al vangelo FMI, sembrerebbe però che la piazza brasiliana non abbia più nulla da dire sullo stesso FMI e sui suoi piani di sviluppo della finanza e del settore privato. La piazza se la prende col dissesto dei trasporti, ma non con i piani per privatizzarli. Il sospetto che possa agire un lobbismo multinazionale dietro l'uno e dietro gli altri non appare negli slogan dei manifestanti, i quali raccolgono la solidarietà pelosa di un Brad Pitt a nome di una multinazionale come la Paramount.
Si potrebbe anche minimizzare la questione dei massicci investimenti operati attualmente da George Soros nel settore televisivo brasiliano, osservando che sia normale che un affarista faccia ovunque i suoi affari. Certo che è così, ma si potrebbe anche notare che quando un Paese "emergente" cede un settore delicato come quello televisivo ad un investitore straniero, per di più legato alla NATO, ciò costituisce oggettivamente un grave indizio di vulnerabilità.
Il fatto che dai media mondiali sia sparita la questione dei grandi giacimenti di petrolio scoperti appena al largo della costa brasiliana nel 2007, appare un po' strano, dato che si tratta di riserve paragonabili per dimensioni a quelle del Mare del Nord. Come pure apparirebbe degno di maggiore attenzione il continuo giocare al gatto col topo da parte di cordate di investitori guidate da Soros nei confronti della compagnia petrolifera Petrobras, che è una specie di ENI brasiliano.
Insomma, in queste condizioni soltanto in base ad un pregiudiziale dogmatismo anti-complottista si potrebbe escludere l'ipotesi che in Brasile ci si trovi di fronte all'ennesima rivoluzione colorata a fini di privatizzazione; ed oltre ai trasporti c'è parecchio petrolio da privatizzare. Tanto più che alla piazza oggi la Rousseff promette "riforme", una parola che ha assunto un suono inquietante, che non esclude affatto che si tratti proprio delle "riforme strutturali" così care al FMI ed alle altre istituzioni internazionali. A riprova che le privatizzazioni non siano affatto passate di moda, nonostante i loro costi proibitivi per le casse degli Stati, lo indica anche il fatto che Mario Draghi ha avvertito che la BCE concederà "aiuti" soltanto in cambio di "riforme strutturali", cioè altre privatizzazioni.
Sempre a proposito di "riforme strutturali", c'è un modo sicuro per il Brasile di far crollare i tassi di corruzione nelle statistiche ufficiali delle organizzazioni internazionali, cioè è sufficiente legalizzare la corruzione, come si fa negli Stati Uniti, istituzionalizzandola attraverso la forma del lobbying e del revolving door. Nei Paesi corrotti ed inferiori i funzionari accettano ancora bustarelle, mentre nei Paesi civili e democratici i funzionari pubblici possono andare ad occupare posti direttivi presso l'azienda privata che hanno appena favorito, magari piazzandoci anche i propri familiari.
Nel 2011 un Paese acquiescente come l'Italia si era dimostrato in grado di esprimere un capillare movimento di massa contro una grande "riforma strutturale", cioè la privatizzazione dell'acqua, individuando il proprio nemico nelle multinazionali nel settore, e coinvolgendo contro quel nemico un fronte vastissimo, che aveva raccolto persino parrocchie, coltivatori diretti ed artigiani. Nello stesso 2011 un referendum sfondava trionfalmente il quorum e stravinceva a favore dell'acqua pubblica. Ma ora chi se ne ricorda più? Il responso delle urne è sacrosanto soltanto se va contro gli interessi popolari; in caso contrario può essere immediatamente spazzato via da un'emergenza.
Dal giugno del 2011 infatti il coinquilino di tutti gli Italiani è stato lo "spread", a causa di un'emergenza finanziaria scatenatasi in coincidenza del risultato dei referendum. Nell'occasione il ruolo di vittima del complotto internazionale fu rivendicato ed ottenuto dal Buffone di Arcore, e non dai vincitori del referendum.