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A ORLANDO È SEMPRE IL POTERE A FARE LA VITTIMA
Di comidad (del 16/06/2016 @ 00:35:55, in Commentario 2016, linkato 2081 volte)
Rimproverato da molti per aver troppo personalizzato la scadenza del prossimo referendum costituzionale di ottobre, Matteo Renzi si è difeso ritorcendo l’accusa sul fronte del no, che, secondo lui sarebbe a corto di argomenti e perciò cercherebbe di orientare lo scontro sulla sua persona. In realtà erano state proprio le dichiarazioni di Renzi nel gennaio scorso a legare il risultato referendario alla sua stessa sopravvivenza politica. Poter cacciare Renzi è diventato così per tanti un buon motivo per andare a votare, e votare no.
Occorre dare atto a Renzi che in tal modo egli è riuscito a restituire slancio ad una scadenza referendaria che altrimenti non avrebbe potuto vantare molto interesse. Il modello costituzionale che è stato soppiantato si è rivelato infatti sin troppo fragile, con il Massimo Garante della Costituzione (il presidente Napolitano) impegnato ad interpretare nei suoi ultimi cinque anni di mandato il personaggio del golpista a tempo pieno, con la colonna sonora del coro adorante degli opinionisti ufficiali. Qualcuno però ha notato il paradosso insito nel comportamento di un presidente che ha condizionato l’accettazione della sua rielezione al cambiamento della Carta Costituzionale su cui stava giurando.
Tolta la suggestione di potersi sbarazzare di un personaggio ripugnante come Renzi, la prospettiva di affidare le proprie sorti alla difesa della “Costituzione più bella del mondo”, dimostra sempre più la sua completa inconsistenza, dato che i veri problemi derivano da una vera e propria aggressione imperialistica che i ceti medi ed i ceti popolari italiani stanno subendo da parte della Troika, ovvero UE, BCE e FMI.

Le ultime elezioni amministrative hanno segnato un livello di astensioni molto minore del previsto, segno che tanti elettori riescono ancora ad appassionarsi alla scelta di sindaci che saranno nel peggiore dei casi dei bersagli, o nel migliore degli zimbelli dei loro stessi partiti. Anche nello spazio addomesticato del recinto elettorale non si è avvertito alcun anelito a sottrarsi agli schemi precostituiti. A Torino, cioè nella piazza dove teoricamente avrebbe dovuto vantare maggiori chance, il partito comunista di Marco Rizzo, quello che proponeva l’uscita dei Comuni dal patto di stabilità, non è riuscito ad arrivare neppure all’1%, e gli elettori “antagonisti” gli hanno preferito il rassicurante e scontato “partito degli onesti”, il Movimento 5 Stelle. Nonostante la Grecia, Stalin continua a fare molta più paura del Fondo Monetario Internazionale.

Una delle domande più prive di senso che si sentono rivolgere è perché la gente non si ribella, come se la ribellione ai soprusi fosse una reazione naturale. Si tratta di una di quelle fiabe sociologiche che fanno comodo al potere, che può spacciare l’assenza di ribellioni come consenso. In realtà la ribellione è un evento di per sé estremamente improbabile, che richiede per verificarsi molte condizioni che raramente si presentano assieme. Tanto per cominciare, occorrerebbe saper contro chi ribellarsi, ed invece la maggior parte delle persone non sa neppure dell’esistenza del FMI.
Un’altra di queste condizioni è che il potere si presenti un po’ diviso al suo interno, ed è quanto accade oggi in Francia, dove ai sindacati è lasciato ancora un margine di manovra. In Italia invece i dirigenti sindacali sono sotto il costante ricatto dell’accusa di connivenza col terrorismo e, per tenere costante la minaccia, l’ex segretario della CGIL, Sergio Cofferati, viene riconvocato praticamente ogni anno dalla procura di Bologna per essere interrogato sulla vicenda dell’assassinio di Marco Biagi. Tra l’altro la lotta armata si presenta impraticabile non per motivi morali, ma perché è talmente vulnerabile all’infiltrazione di agenti provocatori del potere da risultare un’opzione puramente astratta.

L’improbabilità della ribellione costituisce una delle maggiori obiezioni nei confronti del potere, il quale gode di una rendita di posizione inesauribile che lo rende intrinsecamente iniquo e irresponsabile, appunto perché non si presenta alcuno stabile contrappeso o controllo al di fuori di esso. L’unica preoccupazione dei privilegiati diventa così quella di procurarsi altri privilegi.
Soltanto il continuo lamento vittimistico del potere riesce a mascherare questa rendita di posizione, la quale rende il mestiere del potente il più facile del mondo, tanto da non richiedere alcuna particolare capacità, se non la mancanza di scrupoli. Il potere è squilibrio istituzionalizzato e produce squilibrati. Raccontare invece la fiaba della triste sorte dei potenti assediati da sudditi riottosi, esigenti e indisciplinati, può diventare un genere narrativo molto gratificante e remunerativo per chi lo pratica.

La strage di Orlando in Florida ha riconfermato questa posizione di rendita del potere, perciò la questione delle responsabilità di un sistema che pretenderebbe di legittimarsi in nome della sicurezza dei cittadini, è stata liquidata dando il via ad una propaganda in cui ogni decenza ed ogni plausibilità sono state cancellate di colpo. Una volta ucciso il presunto attentatore, abbiamo appreso che egli avrebbe giurato fedeltà all’ISIS per via telefonica al numero d’emergenza 911. Magari per farlo ha usato la nuova APP Telegiuro, presto disponibile anche da noi. Il padre dell’attentatore avrebbe giurato a sua volta che il figlio non era un islamico fanatico, ma che avrebbe visto due omosessuali baciarsi e che quindi sarebbe corso a dotarsi senza difficoltà di armi da guerra, nonostante che il Federal Bureau lo avesse già schedato come simpatizzante ISIS. Un’incongruenza notata persino da Hillary Clinton, che pure in logica non ha mai brillato. Ovviamente Donald Trump ha di nuovo dichiarato che, se verrà eletto, userà il pugno duro con i mussulmani. Il premier canadese Trudeau si leva un sassolino dalla scarpa affermando che l’ISIS non c’entra un fico e che la strage è un fatto interno USA. Obama stranamente gli fa eco. Il fatto è che la strage comunque ha assunto mediaticamente un look islamico, e quindi gli “analisti” prevedono che non favorirà la Clinton, che è ufficialmente per la limitazione le armi, bensì Trump che le vorrebbe in mano a tutti per difendersi dai terroristi sempre in agguato.

L’omofobia, secondo i media, sarebbe poi un problema solo islamico mentre quelli come Trump ne sarebbero immuni in quanto “occidentali”. I giornalisti vanno anche ad intervistare in Afghanistan il narco-trafficante Karzai, il quale a sua volta giura che l’Islam sarebbe tollerante. Peccato però che fonti ufficiali dell’ISIS (ufficializzate da chi?) rivendichino l’attentato, e quindi siamo punto e da capo.
Qualche autorevole organo di stampa intanto evoca il fantasma del “fuoco amico” nella strage. Ma niente paura: tra poco bisognerà anche consolare i poveri poliziotti del fatto che si sentano tristi per aver ammazzato “per sbaglio” gente che non c’entrava.
L’importante non è dare una versione univoca ma creare una confusione a senso unico. In fondo i tutori della sicurezza nazionale ce la mettono tutta, ma il mondo è troppo cattivo e complicato per i loro generosi sforzi. Qualunque cosa succeda, è sempre il potere a fare la parte della vittima. Ai paranoici complottisti si potrà sempre propinare il sermoncino pseudo-psicologico secondo cui con le loro ipotesi cospirative essi cercano a tutti i costi un ordine nel caos degli eventi. Come se il fatto che agenzie governative organizzano attentati fosse “ordine”.