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IL “MODELLO POLONIA”: CI PRENDONO I SOLDI E CI PRENDONO PER I FONDELLI
Di comidad (del 10/11/2016 @ 01:21:55, in Commentario 2016, linkato 2281 volte)
Le elezioni presidenziali statunitensi hanno per un po’ distratto l’opinione pubblica italiana dalla scadenza referendaria di dicembre. I media si ostinano ad attribuire alla figura del presidente USA un rilievo che in realtà è ben lungi dall’avere, visto che il ruolo presidenziale si è ormai ridotto a quello di portavoce e addetto alle pubbliche relazioni. Se autentico, il voto americano potrebbe essere attendibilmente interpretato come un referendum popolare contro i toni guerrafondai della Clinton, dato che l’opinione pubblica americana, in grande maggioranza, non vuole rischiare guerre nucleari con la Russia. D’altra parte proprio un presunto “amico” di Putin come Trump potrebbe vendere una campagna anti-russa pubblicizzandola come una necessità ineluttabile e non come una scelta dell’establishment. Sul risultato elettorale americano allo stato attuale l’unico concreto commento possibile è che per la prima volta si vedrà un miliardario andare ad occupare un alloggio appena abbandonato da una famiglia di neri.
Non che la nostra scadenza referendaria possa vantare maggiore importanza, tutt’altro, ma risulta comunque molto più ricca di aspetti istruttivi.
Un’altra adesione imbarazzante per il fronte del no al referendum costituzionale è stata infatti quella dell’ex Presidente del Consiglio Mario Monti. In molti hanno osservato che la posizione di Monti avrebbe l’effetto di depotenziare il significato anti-europeistico di un’eventuale vittoria del no. Monti ha motivato la sua scelta come opposizione al renzismo, a suo avviso basato sull’espansione della spesa pubblica per acquistare consenso. La motivazione montiana riecheggia toni decisamente euro-rigoristi; tanto che, in caso di vittoria del no, commentatori ufficiali particolarmente spregiudicati potrebbero usarla come base per spiegarci che il no andrebbe interpretato proprio come una punizione dell’elettorato nei confronti delle polemiche anti-europee di Renzi. Che le polemiche di Renzi avessero un carattere puramente di facciata, sarà un dettaglio che sfumerà dalla memoria.

La critica di Monti a Renzi si basa quindi più su forzature narrative che su dati di fatto, ma del resto lo stesso Monti è stato a suo tempo un prodotto narrativo, ricalcato sull’eroe di un romanzo di uno scrittore della fine dell’800, Emilio De Marchi. Il romanzo di De Marchi narrava di un personaggio, Demetrio Pianelli, che, come Monti, accorreva a salvare una famiglia che “aveva vissuto al di sopra dei propri mezzi”, e che poi si ritirava in buon ordine a lavoro compiuto. Sennonché Emilio De Marchi non si limitava a raccontare vicende umane, ma aspirava apertamente al ruolo di ideologo reazionario, al punto da scrivere un libello per convincere le masse riottose a sottomettersi alle oligarchie (un precursore di Eugenio Scalfari). Il “Demetrio Pianelli” quindi non era un semplice romanzo, bensì uno schema narrativo/propagandistico da applicare ai tanti “salvatori dell’Italia”, cioè ai Monti di allora e del futuro.
Negli anni ‘50 e ‘60 un establishment italiano ipocritamente attaccato a valori in cui era il primo a non credere, cercava di mascherare la sua cattiva coscienza reagendo con aggressiva e astiosa diffidenza verso qualunque letterato o artista che potesse essere lontanamente sospettato di contestare quei valori. Il mondo della cultura era quindi costretto a ”buttarsi a sinistra” per cercare protezione. Il risultato però non fu quello di arricchire la sinistra di contenuti culturali, bensì di colonizzare la sinistra con suggestioni ad essa estranee, spesso incompatibili e persino reazionarie. L’equazione tra sinistra e cultura (il “culturame” di scelbiana memoria) diventava così una sorta di trappola per la stessa sinistra, indotta a far propri edifici narrativi e intellettuali costruiti solo per negare l’evidenza, cioè per soppiantare i dati di fatto con l’aneddotica finto-realistica degli apologhi morali. La dimensione “colta” dell’identità della sinistra si è sostanziata perciò in un abito mentale portato ad ignorare la questione del contrasto degli interessi, e dei relativi rapporti di forza, per divagare invece nella sfera delle astrazioni moralistiche.

La consuetudine è diventata talmente scontata che non ci si può più stupire del fatto che gli organi di “opposizione” siano diventati i principali veicoli di messaggi legati ad interessi dell’establishment o del colonialismo euro-atlantico. Su uno di questi “organi di opposizione”, il giornale “Il Fatto Quotidiano”, è apparso un articolo-panegirico del “modello polacco”, un articolo che a sua volta ricalca i temi di una puntata di “Report” (e figuriamoci se non c’entrava la Gabanelli).
La Polonia ci viene proposta come un “modello” da imitare in quanto, a differenza di noi pigri Italioti, i Polacchi si sono dimostrati capaci di spendere il 97% dei contributi europei che ricevono. Tra le righe dell’articolo si nota (così di passaggio) che la stessa Polonia è un beneficiario netto di tali contributi, cioè riceve molto di più di quanto versi. Si tratta della situazione esattamente contraria a quella dell’Italia, che è invece un contributore netto, cioè versa alla UE molto di più di quanto non riceva.
Insomma, prima ci prendono i soldi e poi ci si prende per i fondelli, con i ministri polacchi chiamati a farci la morale nella trasmissione della Gabanelli. Tra l’altro ci si dimentica che la Polonia è fuori dalla zona euro, quindi ha una libertà di manovra fiscale e monetaria che è preclusa al governo italiano. Il risultato è uno sviluppo industriale polacco in gran parte gonfiato dalle delocalizzazioni industriali, a loro volta incentivate da fondi UE. La Polonia ha potuto così attirare immigrazione qualificata persino dalla Germania. Gratificato da questa immigrazione “ariana”, il governo polacco può oggi permettersi di chiudere le frontiere all’immigrazione africana e orientale, la cui gestione e i cui costi vengono lasciati, ovviamente, all’Italia. Anche in questa circostanza Renzi finge di lamentarsi e polemizzare ad uso dei media, ma poi, come sempre, si dimostra il più zelante a sottomettersi.
La classe operaia polacca è ripagata da questo sviluppo economico con bassissimi salari e ritmi di lavoro massacranti, ma per l’oligarchia polacca si aprono continuamente nuove opportunità di arricchimento. Qual è il motivo di una condizione così privilegiata per l’oligarchia polacca? La risposta ce la fornisce la NATO. Parrebbe infatti che la Polonia sia a rischio di invasione da parte della Russia, un pericolo che viene evocato in tutti i vertici della NATO e che il governo polacco si preoccupa di strombazzare quotidianamente. Ecco quanto rende la negazione dell’evidenza. Per tenere in piedi questa messinscena imperialistica della NATO, il governo polacco infatti viene ricoperto di privilegi da parte della UE, mentre il contribuente italiano è chiamato a subire il danno di pagare la messinscena ed anche a subire la beffa di sorbirsi i predicozzi.

L’imperialismo è un intreccio di militarismo e finanza; ma, mentre le oligarchie finanziarie e affaristiche hanno la consistenza delle bolle di sapone che si dissolverebbero se lasciate al proprio destino, è il militarismo a costituire invece la vera ossatura dell’impianto. Quell’impalcatura di burocrazie e lobby chiamata Unione Europea sopravvive e prospera solo in funzione della NATO e sotto la sua costante protezione. Persino i decantati vincoli di bilancio sono stati prontamente abbandonati di fronte all’esigenza di aumentare le spese militari, così come “richiesto” dagli Stati Uniti. Nel 2014 il servilismo di Renzi è arrivato al punto di invocare uno svincolo delle spese militari dal patto di stabilità, una misura che però la NATO aveva già in progetto di imporre, dato che era stato lo stesso segretario generale dell’alleanza, Stoltenberg ad anticiparlo. La conseguenza è che il governo italiano dovrà portare la spesa militare dall’attuale 1,5% al 2% del PIL.