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L’AGGIOTAGGIO SOCIALE DI BILL GATES
Di comidad (del 23/03/2017 @ 01:29:23, in Commentario 2017, linkato 2552 volte)
I brevetti prodotti dalle Università italiane finiscono all’estero. Si lancia l’allarme e si annuncia trionfalmente la “soluzione”: l’Università “La Sapienza” di Roma e l’Università di Catania stringono accordi con una multinazionale farmaceutica straniera (sic!), la statunitense Eli Lilly, per “valorizzare” i propri brevetti.
Il paradosso si spiega facilmente: l’Università italiana è sottoposta ad una sistematica denigrazione da parte dei media che contano, come, ad esempio, il quotidiano “La Repubblica”, che non si limita a denigrazioni generiche ma ricorre anche a veri e propri falsi. In questo contesto le Università italiane, per “valorizzarsi”, sono costrette a dimostrare di riscuotere la fiducia delle multinazionali, perciò svendono il loro lavoro ed i loro know-how in cambio di briciole o, addirittura, gratis.
Una campagna di disinformazione fa calare il valore di un bene pubblico, come un centro di ricerca universitario, cosicché i potentati economici possano acquisire ciò che gli interessa a prezzi stracciati. La razzia dei brevetti da parte delle multinazionali è uno degli aspetti più attuali del fenomeno, che ha un nome preciso: aggiotaggio. Sarebbe un reato, però costituisce la prassi abituale del rapporto delle multinazionali con i territori: svalutare ciò che i territori posseggono o producono per facilitarne l’acquisizione. Si induce artificiosamente nelle vittime il bisogno di svendersi. Ciò può accadere perché il reato di aggiotaggio viene delimitato all’ambito borsistico, mentre il suo vero, e principale, campo di applicazione è quello dei beni pubblici e del lavoro.
Qualche settimana fa ha fatto scalpore la “proposta” di Bill Gates di tassare i robot per acquisire risorse da destinare ai disoccupati che l’automazione produce. Lanciata l’esca, tutti hanno abboccato ed è nato un bel “dibattito”, un’altra occasione per tirare fuori a sproposito il Luddismo e rilanciare controproposte altrettanto demenziali.
Si perde di vista il vero scopo di queste “proposte”, che è quello di disinformare, suggerire il mito di un ineluttabile tramonto del lavoro umano, cosa che costituisce un ottimo pretesto per pagare ancora di meno gli attuali lavoratori. La robotizzazione infatti non è un fenomeno spontaneo o dettato da presunte leggi del “mercato”, bensì è un fenomeno incentivato dai governi a spese dei contribuenti. Il piano del ministro dello Sviluppo Economico, Calenda, prevede infatti agevolazioni fiscali per favorire l’automazione delle imprese. Altro che tasse, semmai la robotizzazione si avvantaggia di sgravi fiscali, riconfermati e allargati dall’ultima Legge di Stabilità.

E non ci sono solo le agevolazioni fiscali, ci sono anche i finanziamenti a fondo perduto da parte dello Stato e della UE. Nascono anche apposite agenzie di consulenza che operano per guidare le aziende nel mare magnum dell’assistenzialismo delle pubbliche istituzioni verso le imprese private. Alla gara di generosità del pubblico nei confronti del privato partecipano entusiasticamente anche Regioni e Comuni.
La robotizzazione, per quanto incentivata, non è in grado di abolire completamente il lavoro umano, però l’importante per i lobbisti come Bill Gates è farlo credere, così è necessario che sin da studenti avere un lavoro venga percepito come un’elemosina da scontare con sfruttamento intensivo.
Ma c’è di più: la precarizzazione non vuol dire solo meno salario e più sfruttamento, in quanto il “temporary work” costituisce esso stesso un business gestito dalle agenzie di lavoro interinale. Quanto sia rilevante il business è dimostrato dal fatto che è egemonizzato in gran parte da multinazionali, come la statunitense Kelly Services.