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DAL SOGNO EUROPEO AL SOGNO DI UN MONDO COMMISSARIATO DAL FMI
Di comidad (del 16/08/2018 @ 00:45:38, in Commentario 2018, linkato 2021 volte)
La narrazione ufficiale sul “crollo” della lira turca mostra le tipiche stimmate, il marchio inconfondibile, della lobby della deflazione, cioè la lobby della difesa del valore dei crediti: il marchio del catastrofismo e del moralismo. I “Mercati” sarebbero “spaventati” dal possibile “contagio” sulle Borse e sulle banche europee e, ovviamente, dagli effetti sull’Italia. La “colpa” è dell’autocrate Erdogan che, oltre che cattivo, è anche pazzo, infatti grida al “complotto” e invoca Allah. Il mainstream compatto invoca invece l’arrivo in Turchia del Fondo Monetario Internazionale, cioè proprio la centrale della lobby della deflazione. Ma guarda la strana coincidenza.
Certo che anche se nel ruolo del “villain” Erdogan è perfetto, tanto allarmismo ugualmente non ha fondamento. Liretta o non liretta, la Turchia ha pur sempre un tasso di incremento del PIL di circa il 7% annuo, per cui gli operatori economici turchi alla fine i soldi per pagare i loro debiti con i fornitori e prestatori esteri li troveranno. Il fatto che i creditori ci rimettano qualcosa non sarebbe una tragedia se lo strapotere, anche mediatico, della lobby della deflazione non fosse lì a denunciare la lesa maestà e ad imporre una stretta sulle economie emergenti, appunto per evitare che i tassi di sviluppo eccessivi compromettano i cambi e, conseguentemente, il valore dei crediti.
Il cialtrone Trump intanto ha aumentato i dazi sulle merci turche dimostrando di sospettare che la “liretta” serva ad Erdogan proprio per invadergli il mercato più di quanto non abbia già fatto finora. Al consumatore americano l’industria turca offriva infatti, a soli trecento dollari, delizie irresistibili come pistole semiautomatiche con caricatori che non finiscono mai.
I media si chiedono a cosa preluda questo scontro epocale tra USA e Turchia. Ad un clamoroso cambio di alleanze da parte di Erdogan? O ad un colpo di stato militare (vero, stavolta) che abbatta Erdogan?
Tutto è possibile ma, conoscendo ormai il “CialTrump style”, può darsi anche che preluda ad un incontro di riconciliazione tra il presidente USA e quello turco, con tanto di pose da amiconi e di pacche sulle spalle. Quel che è certo è che i dazi di CialTrump costituiscono in questa circostanza un aiuto indiretto al FMI ed alla lobby della deflazione e quindi anche alla da lui tanto vilipesa Unione Europea.
Non che tutta l’opinione pubblica si sia bevuta l’ennesima emergenza e la storiella che l’euro sarebbe un ombrello che terrebbe al riparo da questi accidenti finanziari. Gran parte dell’opinione pubblica sa, o intuisce, che gli annunci e le boutade che spara a giorni alterni questo governo non hanno nulla a che fare con lo spread; e sa anche che lo spread aumenterà man mano che si avvicina la fine del “Quantitative Easing” della BCE. Che lo spread possa acquietarsi non più per il “Quantitative Easing” ma per un “Narrative Easing” del governo, è una balla a cui crede solo qualche elettore del PD.

L’effetto dei dazi USA contro la Turchia va a favore dell’UE per un altro motivo, in quanto dimostra ancora una volta che la linea commercial-sviluppista di CialTrump procede in modo episodico, senza visione d’insieme ed individuazione delle priorità. Chi puntasse sullo sviluppo e si trovasse per questo in difficoltà con la bilancia dei pagamenti, non avrebbe nessuna certezza di trovare una sponda negli USA. CialTrump non si pone il problema di battere globalmente la lobby della deflazione, ma semplicemente di difendere l’industria americana. Il caso CialTrump rientra quindi nel cosiddetto “eccezionalismo americano”, cioè la consueta pretesa degli USA di non far valere per sé le pratiche di deindustrializzazione che sono imposte agli altri dalla lobby della deflazione.
Sino a una decina di anni fa la lobby della deflazione aveva però dietro di sé l’establishment pressoché compatto, mentre oggi vari pezzi se ne cominciano a dissociare perché hanno paura del FMI. In fondo Paolo Savona e Giovanni Tria sono molto più rappresentativi dell’establishment di uno spiantato come Luigi Marattin.
Occorre infatti tener presente che l’alternativa al governo Conte-Salvini-Di Maio non era un governo col PD, bensì un governo Cottarelli, quindi un governo-ponte verso il commissariamento da parte della Troika, cioè del FMI; cosa che avrebbe non solo impedito all’Italia di prepararsi alla implosione della moneta unica e di approfittare dei vantaggi che ne deriverebbero, ma soprattutto avrebbe determinato una iper-colonizzazione del Paese. Del resto lo ha detto anche Mario Monti in Senato che un governo della Troika sarebbe una cosa “disgustosa” (il termine è suo). D’altra parte il soggetto “Italia” va preso con le molle, perché anche qui la lobby della deflazione ha i suoi adepti; e non è detto che siano quelli che si espongono di più nella difesa dell’euro, come la cosiddetta “sinistra”.

Occorre anche non invertire il rapporto causa-effetto, altrimenti si rischia di credere che la “sinistra” oggi si identifichi con la lobby della deflazione per convinzione ed interesse. In realtà la questione è diversa: il FMI-lobby della deflazione controlla i media mainstream; la “sinistra” da almeno mezzo secolo segue pedissequamente il mainstream; di conseguenza la “sinistra” adotta le posizioni della lobby della deflazione. Se il mainstream cambiasse padrone, allora cambierebbe idea anche la “sinistra”. Ciò non vale solo per il PD ma per la “sinistra” nel suo complesso, comprese le sue articolazioni più estreme. La “sinistra” infatti ha risolto il problema del pericolo di un nuovo stalinismo e di un nuovo dogmatismo interno semplicemente cessando di discutere ed adottando il dogmatismo del potere. La “sinistra” non produce e non esporta più dogmatismo ma lo importa soltanto: una sorta di etero-stalinismo.
E poi la discussione è piena di insidie inventate dal mainstream: e ci sono i “rossobruni”, e ci sono le “fake news”, e ci sono i “no vax”, e ci sono i “complottisti”. Ecco che allora il quotidiano sedicente “comunista” detto il “manifesto” adotta sulla Turchia la stessa identica posizione del mainstream, con un articolo fotocopia de “la Stampa”, descrivendo Erdogan come un pazzoide complottista.
Ancora una volta è necessario non invertire il rapporto causa-effetto. Non è che il “manifesto” segua il mainstream perché è finanziato dai potentati; è che i potentati hanno trovato del tutto logico finanziare un quotidiano accodato al mainstream. La Rossanda è sempre stata la Rossanda.

Ma non è solo Erdogan a prendersi rampogne mainstream sulle colonne del “manifesto”. C’è anche il sandinista Daniel Ortega, che è stato sì eletto, ma è comunque un “autocrate” (magari traviato dalla corrottissima moglie). Ci si narra che Ortega opprime il Nicaragua, che però gli si ribella con i suoi studenti. Gli stessi articoli che si potrebbero leggere sul Corriere della Sera”, solo che il “Corriere” almeno non si dimentica di riferire che dietro le manifestazioni ci sono le ONG.
Se ci si fa caso, tranne che in qualche Paese con abitanti di pura razza ariana, secondo il mainstream i governi sono tutti corrotti. Uno magari pensa che ce l’abbiano con Erdogan perché è mussulmano e con Ortega perché è comunista. No, ce l’hanno con tutti i popoli inferiori, persino con i governi che hanno messo loro. In Ucraina le ONG, dopo aver contribuito al colpo di Stato nazista che ha rovesciato il precedente governo, oggi guidano la rivolta delle masse contro la “corruzione”. In sinergia con lo squadrismo umanitario delle ONG, il FMI terrà bloccati i finanziamenti al governo ucraino finché le nuove leggi anticorruzione non saranno approvate. Di questo passo anche l’Ucraina non sfuggirà al commissariamento.