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LA LOBBY DELLA DEFLAZIONE DIVORA I SUOI FIGLI E MATERIALIZZA I SUOI FANTASMI
Di comidad (del 11/10/2018 @ 00:04:07, in Commentario 2018, linkato 2531 volte)
È davvero arduo trovare nei documenti preparatori alla prossima manovra finanziaria dell’attuale governo dei segnali di sostanziale discontinuità rispetto al passato. La difficoltà aumenta se il confronto viene fatto con il governo Gentiloni, che aveva già rinunciato alle “riforme strutturali”, aveva avviato qualcosa di simile al reddito di cittadinanza ed aveva persino abolito i voucher, reintrodotti invece dall’attuale governo. Anche nella politica migratoria, occorrerebbe rilevare che lo strapotere delle ONG nel Mediterraneo aveva già subito dei colpi all’epoca del ministro degli Interni Minniti.
Il campo in cui il governo in carica presenta invece una discontinuità è quello della comunicazione. Il governo Conte considera infatti l’ostilità dei media interni ed esteri come un dato di fatto scontato, un contesto con cui fare normalmente i conti. La comunicazione polemica del governo si appunta infatti sul nemico esterno e non più, come per i governi precedenti, sul nemico interno. Ancora ci si ricorda infatti gli epiteti dei passati ministri contro i propri cittadini: “fannulloni”, “bamboccioni”, “sfigati”, “corrotti”, ecc.
Pesano probabilmente su questa scelta anche le teorie di uno degli intellettuali di riferimento del governo, Marcello Foa, il quale presenta nei suoi testi la comunicazione mainstream come un terreno intrinsecamente conflittuale e manipolatorio, legato ad interessi di parte. Per qualunque esperto di psywar si tratta di un’ovvietà, ma la novità è che queste tesi siano arrivate al dibattito politico istituzionale e siano propugnate da un neo-presidente della RAI (certo, per quello che può contare il presidente della RAI, cioè poco).

La comunicazione ideologica del governo Conte si muove sulla linea di un improbabile idillio interclassista all’ombra del cosiddetto “interesse nazionale”. Questa comunicazione fa comunque presa su gran parte della pubblica opinione, poiché vi è ormai la diffusa consapevolezza che qualsiasi governo si fosse trovato oggi in carica in Italia (persino un eventuale governo dell’attuale beniamino dei media, Carlo Cottarelli), avrebbe dovuto scontrarsi con pregiudizi ostili e con severi ammonimenti da parte della Commissione Europea.
Il segnale era arrivato già nel febbraio scorso, quando il commissario UE Pierre Moscovici aveva additato all’Italia la consueta strada obbligata delle “riforme strutturali”, cioè la strada della guerra civile permanente, che consiste nello spezzare le cosiddette “rigidità” e i cosiddetti “interessi corporativi”; in definitiva criminalizzare il lavoro e trattare i propri cittadini come una manica di parassiti da disinfestare, poiché impedirebbero al Paese di diventare “moderno” ed “europeo”, che tradotto significa in deflazione permanente. Con le sue parole Moscovici aveva delegittimato anche l’operato di tutti i governi italiani di questi ultimi anni, come a dire che tutte le innumerevoli riforme strutturali che sono state fatte sinora, in effetti non sarebbero state vere “riforme strutturali”: la guerra civile non era stata abbastanza guerreggiata.

Non è un caso che la comunicazione ostile nei confronti del governo Conte abbia finito per coinvolgere nel giudizio negativo anche il governo Renzi con le sue “mance” e le sue smanie di “flessibilità” dei conti. L’invadenza mediatica e narrativa del triennio renziano (“un incubo a reti unificate”, secondo la definizione di Giulio Tremonti) è un dato di fatto; anche se Renzi ha approfittato di quell’immenso spazio mediatico per scavarsi la fossa, poiché anche lui ha passato il tempo ad insultare i suoi potenziali elettori.
Ma è pure un fatto che la lobby della deflazione considerasse l’esperienza renziana come uno yogurt con la scadenza, una mera esperienza preparatoria di soluzioni più drastiche per “rimettere ordine nei conti pubblici”, cioè il commissariamento da parte della Troika (FMI, UE, BCE). Nel 2014 l’invocazione alla Troika fu considerata da molti come uno dei tanti deliri senili di Eugenio Scalfari; ma a quell’epoca l’invocazione alla Troika arrivò persino dall’allora direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, cioè da uno dei più ligi e pedissequi esecutori dei dettami della lobby della deflazione.

Un Renzi appena insediato era quindi già considerato bruciato e transitorio dalla lobby della deflazione. Ogni “Salvatore della Patria” che ci è stato propinato in questi anni aveva già in sé i crismi del limone da spremere e da buttare. È capitato a Renzi ma anche a Mario Monti, indotto a bruciarsi in una improbabile avventura elettorale e poi prontamente accantonato.
Il rancore di Monti verso i suoi ex mandanti traspare dalle sue dichiarazioni attuali. Ad una domanda di un intervistatore su un’affermazione di Matteo Salvini che individuava George Soros come uno degli speculatori che manovrano sullo spread, Monti ha risposto uscendo dal copione ufficiale che gli avrebbe imposto di liquidare le parole di Salvini come “complottismo”. Monti ha infatti ricordato di quando Soros gli telefonò nel 2011 per “consigliargli” di affidarsi alla Troika. Monti quindi ci fa sapere che Soros era nella posizione di chi può permettersi di telefonare ad un capo di governo per dargli dei “consigli”.

L’insaziabilità della lobby della deflazione, la sua ansia di divorare i propri figli (o i propri sicari di turno) ha finito per materializzare quel fantasma del “populismo” che era usato solo come spauracchio e referente negativo. Per ora la sfida del “populismo” è solo ideologica e l’attuale governo italiano si guarda bene dal fare sul serio. Per di più la sfida ideologica è ancora parziale, poiché il governo Conte persiste nella pantomima di spiegare la manovra ai “Mercati”; come se gli investitori prestassero qualche attenzione alle manovre finanziarie dei governi e non si regolassero invece unicamente in base agli acquisti di BTP gestiti dalla BCE. D’altra parte per una lobby della deflazione assuefatta al monopolio ideologico assoluto, anche una sfida ideologica così parziale potrebbe essere troppo.