Commentario


GLI HOBBIT DELL'AFFARISMO CRIMINALE


La puntata di "Report" di domenica 20 maggio sugli "statali nullafacenti" ha ricalcato lo schema consueto della disinformazione ufficiale. Una trasmissione televisiva si costruisce una fama di nicchia di informazione alternativa e spregiudicata, si conquista un pubblico dopodiché gli assesta la mazzata. Era già successo con la trasmissione di Michele Santoro in cui fu finalmente conferito un alone "di sinistra" alla islamofobia. Gli obiettivi affaristici della propaganda affidata a Santoro riguardavano la legittimazione dei cosiddetti "voli della CIA", cioè quei sequestri lampo di Imam etichettati come terroristi che servono in realtà a coprire i traffici di droga e armi che i servizi segreti americani operano tramite la rete aerea che gli Stati europei gli concedono.

Gli obiettivi affaristici di Report sono invece gli stessi degli articoli di Pietro Ichino, cioè preparare l'opinione pubblica all'idea che bisogna affidare il controllo e la valutazione del lavoro degli statali ad agenzie gestite da ditte private. Se si considera che vastità comporterebbe, ad esempio, una rete di valutazione della produttività scolastica su tutti gli studenti delle scuole pubbliche, si comprende anche l'entità del business a spese del denaro pubblico che si apre per le aziende private.

Può apparire strano uno Stato che è pronto a criminalizzare il proprio personale pur di realizzare i propri obiettivi affaristici, ma ciò invece è perfettamente consono alla fase economica in cui ci troviamo, quella della prevalenza dell'affarismo criminale. Ciò non va inteso però nel senso che l'affarismo criminale costituisca un fenomeno solo recente. Nel 1919 negli Stati Uniti una campagna moralistica senza precedenti contro gli effetti dell'alcol preparò l'opinione pubblica ad accettare una proibizione per legge della sua produzione e del suo traffico. Il proibizionismo dell'alcol aprì un campo sterminato per l'affarismo criminale e tutta l'alta finanza americana vi fu coinvolta. Solo lo spaccio al dettaglio delle bevande alcoliche fu affidato ad organizzazioni criminali gestite da minoranze etniche, e da qui derivò il mito di personaggi come Al Capone, un tipico mito di copertura che serviva - e  serve ancora - a celare le vere responsabilità. Anche la condanna di Al Capone per evasione fiscale viene di solito spiegata con l'impossibilità di trovare le prove per condannarlo per i suoi reati più gravi, mentre in realtà fu solo un modo di circoscrivere il suo caso e isolarlo da quello dei grandi finanzieri, come, ad esempio, Joseph Kennedy, massimo esponente del contrabbando di alcol ed anche padre di John e Bob. Quindi non è l'affarismo criminale in sé a costituire la novità, ma la sua prevaricazione rispetto ad altre forme economiche, e soprattutto nei confronti della funzione fiscale dello Stato.

In questi giorni si parla molto del best-seller di Marc Levinson, "The Box - La scatola che ha cambiato il mondo", in cui si narra la storia del container e di come questo abbia rivoluzionato i traffici mondiali. Levinson ammette che il container non è stato imposto dal "Mercato" ma dalla politica, cioè dal governo americano che se ne servì negli anni '60 per le forniture durante la guerra del Vietnam. La rivoluzione operata dal container non consiste tanto nell'abbattimento dei costi di trasporto, ma nel fatto che rende proibitivi i costi del controllo sul traffico di merci. In altri termini, lo Stato si trova di fronte ad un semplice aggeggio che rende complicato ed antieconomico effettuare l'imposizione fiscale sulle merci in entrata e in uscita e quindi impedisce la lotta al contrabbando.

Attraverso l'imposizione del container, gli Stati Uniti hanno di fatto imposto la legalizzazione mondiale del contrabbando, quindi il trionfo del loro colonialismo commerciale. Nel senso della legalizzazione del contrabbando sono andate anche scelte come l'abolizione delle bolle di accompagnamento per le merci, una misura attuata in Italia all'inizio degli anni '90 dai governi "moralizzatori" di Amato e Ciampi.

Lo Stato nazionale ha quindi di fatto rinunciato alla sua autorità fiscale sul traffico di merci, una rinuncia che segna la fine della "sovranità nazionale", cioè dell'idea che uno Stato sia padrone sul proprio territorio. Per questo motivo lo Stato si riconverte in senso meramente affaristico, come saccheggiatore di se stesso.

Un grande cantore del colonialismo commerciale fu lo scrittore britannico Tolkien, creatore del personaggio dello Hobbit, che è una interessante allegoria dei popoli sottomessi al colonialismo commerciale anglosassone. Il 9 giugno a Benevento si terrà un raduno di fascisti, denominatosi "Campo Hobbit". Ciò costituisce un segnale interessante dell'autorazzismo dei fascisti, che scelgono come loro simbolo una sorta di mezzo uomo, una razza inferiore che realizza se stessa aspirando a servire le razze superiori. Ma l'autorazzismo dello Hobbit è solo un aspetto dell'allegoria: come lo Stato nazionale, lo Hobbit  porta con sé l'anello del potere, ma rinuncia a usarlo in proprio. Inoltre, il nome dello Hobbit protagonista de "Il Signore degli Anelli", Frodo, ha questo suono ambiguo non solo in italiano, ma anche in lingua inglese, dove alla parola "frode" corrisponde "fraud". Da qui il suggerimento subliminale che la vera vocazione dell'ingenuo Hobbit non sia il potere ma l'affarismo. È la grande risorsa che il colonialismo commerciale anglo-americano riserva ai popoli inferiori, esclusi dal potere ma ammessi, in funzione subordinata, al banchetto affaristico.
Lo Hobbit è quindi l'icona allegorica della sottomissione coloniale e affaristica. I capi di governo di Stati come la Francia e la Germania, Sarkozy e la Merkel - che avrebbero dovuto essere le punte di diamante del cosiddetto "imperialismo europeo"-, sono oggi degli Hobbit del colonialismo statunitense. Non è un caso quindi che il presidente francese Sarkozy si sforzi addirittura di assumere l'aspetto e l'atteggiamento di uno Hobbit.  

24 maggio 2007