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SOLUZIONI DI MERCATO CIOÈ FRODI AZIONARIE
Di comidad (del 14/11/2019 @ 00:53:49, in Commentario 2019, linkato 6847 volte)
Che l’economia reale non possa basarsi sul “mercato”, dovrebbe risultare evidente. Da decenni il settore dell’acciaio è afflitto da una crisi di sovrapproduzione che lo rende non remunerativo, quindi un Paese che non voglia dipendere esclusivamente dall’incertezza delle importazioni, non potrebbe evitare la soluzione della nazionalizzazione, che consentirebbe di preservare le strutture produttive nella prospettiva del loro pieno utilizzo quando si rendesse di nuovo necessario.
Nel 2017 sembrò che la nazionalizzazione tornasse a rappresentare un’opzione praticabile nell’Unione Europea, quando il governo francese, per evitare che la propria industria cantieristica STX venisse acquisita dall’italiana Fincantieri, ne annunciò la nazionalizzazione. Si è scoperto poi che non era così: le trattative con Fincantieri sono continuate, sino ad un’apparente soluzione nell’ottobre scorso. Sennonché, pare per richiesta dello stesso governo francese, la Commissione Europea ha avviato un’indagine a carico di Fincantieri in nome delle regole anti-trust. Insomma, un vero pasticcio.
I Trattati dell’Unione Europea funzionano come quei dispositivi di traffico disseminati di divieti di accesso e sensi unici che riconducono sempre al punto di partenza. Chi è che si giova di questa situazione di paralisi e confusione?
Il caso Ilva presenta anch’esso dei paradossi abbastanza plateali e forse istruttivi. All’inizio dell’anno in corso la stampa annunciava che la multinazionale Arcelor Mittal, che aveva acquisito l’Ilva con uno strano contratto di fitto/promessa d’acquisto, stava incrementando gli utili e addirittura metteva da parte quattrocento milioni di euro da investire nell’Ilva.
Si viene a sapere invece adesso che Arcelor Mittal è in difficoltà ed una delle principali agenzie di rating condiziona la valutazione dei titoli azionari della multinazionale alla chiusura del capitolo Ilva. O ti liberi di Ilva o il rating crolla. Il valore azionario di Arcelor Mittal era aumentato per aver acquisito l’Ilva, ora ci dicono che il valore potrà aumentare di nuovo quando si sarà definitivamente disfatta dell’Ilva. Qualcosa non torna.
Per capirci qualcosa in più è sufficiente andare a vedere chi sono gli azionisti “istituzionali” di Arcelor Mittal. C’è anche la solita Goldman Sachs, ma il grosso è nelle mani di grandi fondi di investimento, apparentemente specializzati in finanziamenti all’economia reale, come lo statunitense Luminus Management.
La finanziarizzazione trasforma le imprese in titoli azionari ed in frodi borsistiche, in giochi al rialzo ed al ribasso ed il governo italiano ha offerto l’Ilva in pasto alla speculazione in nome della “soluzione di mercato”.

Certo, il caso Ilva presenta complessità particolari: c’è stato un intervento della magistratura e c’è anche una contiguità dello stabilimento con strutture militari della NATO, desiderose di espandersi a scapito dello stesso stabilimento. Ciò non toglie che i governi di ogni colore, al di là degli scatti retorici a vuoto, abbiano trasformato la crisi dell’Ilva in un’occasione di assistenzialismo per le multinazionali e per i loro azionisti “istituzionali”.
Dopo la prima guerra mondiale, Giovanni Giolitti pronunciò un discorso rimasto famoso sull’ingerenza dei Trattati internazionali, lamentando che all’epoca un governo non avrebbe potuto compiere i più semplici atti amministrativi senza l’avallo del parlamento, ma che lo stesso governo aveva potuto trascinare il Paese in guerra contro il volere del parlamento, semplicemente in base alla firma di un Trattato internazionale. L’Italia usciva “vincitrice” dalla guerra con le ossa rotte e con un indebitamento mostruoso con l’estero; un indebitamento che avrebbe determinato il perdurare dell’ingerenza straniera con la dipendenza dai prestiti esteri.

Dai tempi di Giolitti le cose si sono aggravate: i parlamenti ratificano i Trattati internazionali senza neppure leggerli e gli Stati sono diventati altrettanti Laocoonti nelle spire dei Trattati. Ma forse anche ai tempi di Giolitti ciò che appariva come “Stato” era solo capacità di spesa. Lo Stato è un’astrazione etico-giuridica che prende corpo solo attraverso la capacità di spendere. Ora si è tolta agli Stati la capacità di spesa perché “non ci sono i soldi” ed il risultato si è visto. A causa della perdita dell’autonomia monetaria e della caduta delle entrate fiscali dovuta alla deflazione, lo “Stato” dipende dagli “investitori”, quindi si è ridotto al nulla, non è rimasto neppure il simulacro giuridico. Anzi, ci si racconta che il ruolo dello “Stato” è diventato quello di sapersi rendere “attraente” per gli investimenti esteri. Dalla concezione hegeliana dello Stato come “ingresso di Dio nel mondo”, siamo passati alla concezione dello Stato escort. Ma forse persino il modello escort rappresenta un ideale irraggiungibile per lo Stato odierno, troppo impegnato ad autodenigrarsi ed autodelegittimarsi per potersi rendere attraente. Verrebbe quasi voglia di indirizzarlo ad un corso di autostima del dott. Raffaele Morelli.

Se non si idealizza il passato, ci si accorge però che anche ai tempi di Giolitti lo “Stato” si legava le mani da solo in ossequio ai feticci del pareggio di bilancio e del “gold standard”; ed anche ai tempi di Giolitti il ministro degli Esteri Sonnino e il Presidente del Consiglio Salandra, firmando il Patto di Londra, potevano trascinare l’Italia in una guerra al di sopra dei suoi mezzi finanziari, se non grazie ai provvidi capitali esteri, ai prestiti dei grandi “investitori” internazionali. Per ascendere al consesso delle grandi nazioni, l’Italia anche allora si indebitava con i mitici “Mercati”.
La Storia può essere analizzata sia in base alle continuità che in base alle discontinuità. In questo caso sono le continuità ad essere più interessanti. Anche nel 1979 l’Italia non poteva permettersi l’ingresso nel Sistema Monetario Europeo, cioè in un regime di cambi fissi. L’unico modo per mantenere stabile il valore della lira era infatti quello di offrire alti tassi di interesse per i titoli del debito pubblico per aumentare la domanda di lire da parte dei “Mercati”. L’esplosione del debito pubblico degli anni ’80 ci è stata spacciata come un effetto del bengodi nazionale, invece rappresentava il costo dell’ascesa dell’Italia al paradiso europeo.