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LA POLITICA USA RAFFORZA L’ASSE RUSSO-CINESE
Di comidad (del 27/08/2020 @ 00:20:33, in Commentario 2020, linkato 6030 volte)
Il mainstream ha ormai sposato l’idea di una nuova guerra fredda tra USA e Cina. Questa presunta guerra fredda è oggetto di analisi da parte dei centri-studi di questioni globali, come l’ISPI, l’Istituto di Studi di Politica Internazionale. Fondato nel 1934 dal regime fascista, l’ISPI era il centro-studi che consigliava Mussolini. Visti i risultati, già da allora era il caso di prendere con le molle le sue analisi, ed oggi le cose non sembrano andare diversamente.
Su Ispionline si trova infatti uno strano articolo, nel quale indirettamente si riconosce che, aldilà delle velleità soggettive degli USA, oggi non vi sono le condizioni oggettive di una nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, poiché in tutta evidenza mancano le basi per un duopolio mondiale tra le due potenze. La Cina infatti intrattiene rapporti economici con quasi tutto il mondo ma non è egemone in nessuna area. L’unica base militare all’estero della Cina è a Gibuti in Africa, ma è poca cosa in rapporto alla presenza economica che ha in quel continente. Ce ne sarebbe a sufficienza per fare giustizia di tutte le narrazioni da talk-show sulla minaccia globale della Cina, invece lo “studioso” autore dell’articolo conclude che una guerra fredda comunque c’è e che agli Europei conviene allinearsi al volere degli USA.
Non mancano altri commentatori che a tale conclusione aggiungono una curiosa postilla ad uso italiano, cioè sfruttare le avance della Cina nei confronti dell’Italia per rinegoziare con gli USA i termini della nostra rinnovata fedeltà atlantica. Che l’Italia possa essere riconosciuta come interlocutore dagli USA, è già di per sé un’idea abbastanza irrealistica; ma anche chi propone semplicemente di allinearsi al volere degli USA, dovrebbe tenere conto del fatto che esistono due modi alternativi per scontentare Washington: non fare quello che dice, oppure fare quello che dice. L’errore infatti è sempre quello di presupporre che gli USA agiscano in base ad una visione o ad una strategia.
Certo, oggi gli USA sentono minacciato il loro primato tecnologico dal 5G cinese, ma pare comunque stravagante che dopo aver brigato più di un secolo per aprirsi il mercato cinese, ora gli USA se lo chiudano semplicemente per il contenzioso sul 5G, che potrebbe essere regolato su base negoziale. Gli USA hanno voluto diventare il primo produttore mondiale di petrolio, perciò appare un controsenso precludersi il principale cliente potenziale. Inventarsi la minaccia cinese non ha senso per gli USA dal punto di vista strategico o economico; ce l’ha invece dal punto di vista dell’enemy business delle agenzie governative come il Pentagono, la NSA e la CIA, che trasformano queste finte minacce in fiumi di denaro pubblico e piogge di appalti, determinando i valori di Borsa delle aziende. Cambiare l’inquilino della Casa Bianca non modificherà questo stato di cose.
Molti commentatori attribuiscono ai dirigenti cinesi velleità di dominio globale. Sul piano del desiderio puro si possono coltivare tutti i sogni di dominio che si vogliono. Resta il fatto che i limiti della potenza cinese sono oggettivi, storici e millenari. L’urgenza non è mai stata quella di espandere l’impero ma di tenerne insieme i pezzi, in particolare l’area più “sfuggente”, cioè quella sud-orientale di lingua cantonese e a vocazione marittima. Dal XVI secolo in poi per la Cina il rimedio alle spinte centrifughe è stato l’isolamento, con l’ovvio effetto di perdere ben presto il primato economico e tecnologico. Che la demografia, oltre un certo limite, sia un freno e non una spinta, è dimostrato dal dato storico che la Cina non abbia mai tentato di annettersi la Siberia, neppure quando l’impero russo era molto di là da venire. L’annessione della Siberia è riuscita invece alla Russia, nonostante il suo storico deficit demografico.

Molte delle “follie” del regime maoista derivavano dal timore che in Cina si costituisse nuovamente un establishment sclerotico ed autoreferenziale come era accaduto nei tre secoli precedenti. Ecco perché in una Cina internazionalmente isolata, Mao credeva di ovviare al problema lanciando ciclicamente quelle campagne di “destabilizzazione controllata”, come i Cento Fiori, la Rivoluzione Culturale e la lotta al confucianesimo.
L’altra grande preoccupazione non solo di Mao, ma anche dei dirigenti successivi, era sempre stata quella di svincolarsi dalla tutela dell’impero russo, che allora si chiamava ancora Unione Sovietica. Ma oggi la Cina si trova ad appoggiarsi alla Russia per tutelare i propri interessi economici. Non è la Cina ad aver impedito la caduta del regime di Maduro in Venezuela, bensì la Russia, che ci ha inviato i suoi “contractors” del Wagner Group, un’agenzia militare privata che consente a Putin di intervenire su scala globale senza “compromettersi” impegnando le forze armate ufficiali; eppure il petrolio venezuelano è molto più importante per la Cina che per la Russia.
L’Iran è un altro fondamentale fornitore energetico per la Cina, che infatti ha stipulato un accordo economico venticinquennale con Teheran. Ancora una volta però è l’alleanza con la Russia a tutelare l’indipendenza dell’Iran contro le aggressioni statunitensi.
Allorché nel 2011 cominciarono le minacce anglo-francesi nei confronti della Libia, ci fu chi commentò che Gheddafi poteva considerarsi in una botte di ferro grazie ai rapporti economici che intratteneva con la Cina. Si è accertato allora, e anche dopo, che la Cina da sola non è in grado di tutelare nessun suo interesse economico all’estero dalle aggressioni militari altrui.
Il quadro di questa nuova guerra fredda andrebbe quindi corretto: non è tra Usa e Cina soltanto, poiché la politica USA sta di fatto rafforzando la dipendenza della Cina dalla forza militare russa. Sul piano militare la Cina è temibilissima a casa propria ed ai propri confini ma, quando si trattasse di agire su scala globale, non ha né la mentalità né il know-how. L’alleanza tra Russia e Cina viene considerata “innaturale” da molti analisti, poiché i due giganti dell’Asia sarebbero costretti a temere ciascuno la capacità espansiva dell’altro: in linea prospettica di lungo periodo sarà certamente così, ma ora Cina e Russia subiscono lo stesso tipo di aggressione a base di sanzioni e “rivoluzioni colorate” da parte degli USA e devono constatare che gli interessi in comune sull’immediato prevalgono largamente sulle considerazioni strategiche di lungo periodo.