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Democrazia come prosopopea

La Democrazia come mito ha subìto un notevole discredito dalla guerra coloniale in Irak. Il rischio a questo punto è però che in questo nuovo spazio critico aperto dal discredito del mito democratico, vengano riciclati una serie di luoghi comuni e di pseudo-obiezioni.

Ci pare il caso del recente libro di Luciano Canfora, Democrazia - storia di un'ideologia, un testo che ripropone il consueto problema della cultura marxistica, cioè la dipendenza dalla propaganda ufficiale. Del resto, la stessa fortuna del marxismo è dovuta proprio al fatto di essere niente più che un'appendice della ideologia dominante, quindi di essere compatibile con il conformismo.

Il difetto principale dell'argomentazione di Canfora è infatti quello di riprendere acriticamente uno dei principali temi della propaganda di destra, cioè la distinzione, anzi la contrapposizione, tra libertà e uguaglianza. Anche Norberto Bobbio attuava questa distinzione/contrapposizione, assegnando la libertà alla destra e l'uguaglianza alla sinistra.

Che la destra si serva dello slogan della libertà e si presenti come la "casa delle libertà", è un fatto, ma si tratta appunto di propaganda, anzi di propaganda nel suo aspetto più mistificatorio. 

In realtà, la libertà e l'uguaglianza non soltanto non sono separabili, ma non sono neppure ben distinguibili sul piano pratico, nel senso che risultano nomi diversi per la stessa cosa, magari vista sotto angolazioni un po' diverse. Libertà e uguaglianza hanno infatti gli stessi avversari: gerarchie e privilegi.

Il liberalismo storico voleva limitare le une e gli altri, chiedeva alle gerarchie di legittimarsi in termini di ordine e di garantismo giuridico. L'ideale del liberalismo è infatti uno Stato di Diritto, basato sulla separazione dei poteri e su pesi e contrappesi istituzionali.

Anche Canfora finisce indirettamente per far proprio l'equivoco semantico che identifica liberalismo e libertà, mentre in effetti il termine liberalismo non deriva da libertà, ma da "liberalità", cioè generosità; infatti il liberalismo - così come è stato concepito da Locke e da Montesquieu - è basato su una idea redistributiva del potere.

Il liberalismo non è quindi "deregulation", ma, al contrario, è un culto della regola, perciò consiste in un metodo preciso, che richiederebbe però una trasparenza istituzionale che non è riuscito mai a imporre. Benedetto Croce chiedeva inutilmente ai governi liberali la messa fuori legge della massoneria, lamentando che nel segreto delle logge i poteri separati si ricomponessero attraverso patti oscuri.

Al contrario del liberalismo, la Democrazia non è affatto definibile sul piano metodologico. Molti la vorrebbero identificare col suffragio universale, ma allora dovrebbero spiegare come mai la "più grande democrazia del mondo", cioè gli Stati Uniti, ne abbia fatto a meno sino a pochi decenni fa, ed anzi, sul piano strettamente giuridico, ne faccia a meno ancora adesso, dato che la iscrizione alle liste elettorali rimane facoltativa e soggetta alla mediazione dei poteri locali.

Esiste un artificio linguistico detto "prosopopea", che il dizionario Devoto-Oli definisce:

"Figura retorica per cui si introducono a parlare persone assenti o morte, o anche cose astratte, come se fossero vive e presenti".

Il dizionario Palazzi-Folena inserisce in questa figura retorica anche la pratica di "animare e personificare cose o animali".

Nella propaganda la prosopopea ha un notevole ruolo: basti ricordare espressioni come "il tribunale della Storia" o " il libro della Natura". D'altro canto il parlare comporta inevitabilmente un certo grado di artificio retorico ed è quasi sempre possibile difendersi dall'abuso della prosopopea riconducendo le cose alla loro definizione.

Uno dei casi in cui ciò non è possibile è quello della Democrazia, poiché essa è indefinibile per definizione, in quanto essa costituisce pura prosopopea, nel senso che la Democrazia funziona nel discorso solo se viene personificata. Per questo motivo, ad esempio, è stato possibile agli americani "portare la Democrazia in Irak". "Imporre la Democrazia" poteva apparire strano, perciò la si è semplicemente "portata". A rigor di termini, gli USA avrebbero potuto imporre in Irak uno Stato di Diritto, ma poi sarebbero stati costretti ad osservare le regole che essi stessi avevano imposto, cosa che però non avevano assolutamente intenzione di fare. Nella sua indefinibilità metodologica, la Democrazia consente invece uno spazio discrezionale assoluto, un'assoluta "deregulation" ad uso e consumo del potente e prepotente di turno.

Il dibattito democratico è ovviamente popolato di altre prosopopee, cioè di ulteriori soggetti non solo astratti, ma anche indefinibili, che però agiscono e parlano come entità animate. Il "Mercato" è uno di questi soggetti, la cui natura inconsistente e puramente mitologica potrebbe essere immediatamente rilevata attraverso l'osservazione che lo Stato è sempre e comunque il primo cliente e il primo committente delle imprese, perciò inevitabilmente lo Stato orienta e dirige l'economia attraverso la spesa pubblica.

Anche nella scelta dei nemici, la Democrazia preferisce soggetti altrettanto evanescenti, come, ad esempio, il Terrorismo; un nemico che non può essere circoscritto e consente perciò un margine di manovra praticamente illimitato.

Nel linguaggio comune la parola "prosopopea" indica anche un tronfio atteggiamento di superiorità, e, in effetti, la Democrazia è prosopopaica persino in questo senso, dato che della sua superiorità fa l'unico elemento davvero distintivo e generalmente riconoscibile. L'unica costante della Democrazia è infatti il senso di superiorità sugli altri.

Beninteso, la superiorità retorica della Democrazia è un dato di fatto, perché essa ha un meccanismo comunicativo che inibisce qualsiasi obiezione ed orienta ogni scelta. In questo meccanismo comunicativo, l'elettoralismo svolge una decisiva funzione.

Le critiche all'elettoralismo si limitano di solito a mettere in evidenza nel suo meccanismo la non effettiva rappresentatività del "volere popolare". Insomma, si obietta all'elettoralismo di non essere abbastanza democratico, perdendo così di vista il potere inibitorio e manipolatorio dell'elettoralismo stesso.

Una delle capacità della Democrazia è di far discutere tutti come se si dovesse SEMPRE votare, come se fosse urgente una scelta di schieramento. Il dibattito democratico riesce a creare un senso di impellenza elettorale anche laddove non c'è, perciò la discussione sulla guerra in Irak si risolveva sempre nel votare per Bush o per Saddam.

Ancora adesso molti compagni continuano ad interrogarsi gravemente sul fatto se sia giusto o meno appoggiare la resistenza irakena data la sua propensione al "fascismo islamico". In realtà qui non si tratta di votare per un governo islamico in Irak, ma semplicemente di chiamare le cose col loro nome, per cui l'aggressore va chiamato aggressore e l'aggredito va chiamato aggredito, l'occupazione va chiamata occupazione e la resistenza all'occupante va chiamata resistenza.

Se si vogliono chiamare le cose col loro nome, anche l'espressione "fascismo islamico" è un controsenso.

L'Islam è sicuramente oscurantistico e oppressivo come ogni teocrazia, ma più di ogni altra religione l'Islam si fonda su una regola precisa, mentre il fascismo - per definizione e per autodefinizione - mette la gerarchia al di sopra di ogni regola e quindi tende inevitabilmente al razzismo.

Quindi il fascismo e il nazismo convivono benissimo con la Democrazia, come ci ha dimostrato Hitler e come ci dimostra Bush, il quale ha liquidato dopo l'11 settembre ogni traccia di Stato di Diritto negli Stati Uniti. Ma anche l'elezione di Bush era stata ottenuta grazie ad un'illegalità macroscopica: non un semplice broglio elettorale, ma il rifiuto da parte di un giudice di verificare il risultato elettorale. Un prestigioso teorico della Democrazia come Giovanni Sartori ha giustificato la cosa dicendo che l'urgenza di avere un capo metteva in secondo piano la correttezza procedurale. Quindi anche per Sartori, la necessità di avere un Capo viene prima di ogni regola: e questo che cos'è se non fascismo (anzi Democrazia)?

Comidad, luglio 2004