La legge di bilancio del governo Meloni per il 2026 è stata accusata di proseguire le politiche di austerità. Non si tratta però di austerità per tutti, dato che per il welfare a favore delle imprese sono stati stanziati quattro miliardi da elargire attraverso una sorta di super-ammortamento fiscale. Queste operazioni assistenzialistiche per le imprese vengono immancabilmente etichettate con nomi suggestivi, come “Transizione 5.0”, cioè slogan che suggeriscono future meraviglie nell’innovazione tecnologica.
Ma ancora più interessante è vedere nel dettaglio cosa significhi dare soldi pubblici con il pretesto ufficiale dell’innovazione tecnologica. Significa che i soldi finiscono in Israele. Nello scorso agosto il governo Meloni ha avviato investimenti in startup israeliane di innovazione tecnologica; investimenti da finanziare attraverso Cassa Depositi e Prestiti.
L’attuale titolare al MEF (il dicastero dell’Economia e delle Finanze) Giancarlo Giorgetti, è ministro nel profondo dell’animo, infatti nel governo Draghi era ministro per lo Sviluppo Economico, ed anche allora la sua meta preferita era Israele. Si parlava di
collaborazioni sui semiconduttori, sulla transizione energetica all’idrogeno, ed altre prospettive avveniristiche. In seguito ad
accordi italo-israeliani anche il ministero degli Esteri dal 2000 sostiene collaborazioni tra imprese italiane ed israeliane sulla base della stessa narrativa all’insegna dell’innovazione tecnologica ed energetica. Il ministero degli Esteri italiano sta quindi promuovendo da molti anni una cordata di aziende in Terra di Sion. Alla testa della cordata ci sono non soltanto
aziende di dubbia nazionalità come Stellantis (italiana solo per la quantità di sussidi governativi che percepisce), ma anche aziende a partecipazione pubblica come Enel e Snam. Ovviamente da tutto questo castello affabulatorio sulle magnifiche sorti e progressive della collaborazione tecnologica con Israele, non è mai sortito niente di concreto in termini di innovazione.
In nome dell’arbitrario accoppiamento semantico Israele/innovazione anche l’Unione Europea stanzia molti soldi per finanziare le solite startup israeliane. Il termine “startup” indica aziende che nascono e muoiono come mosche, in un breve lasso di tempo. Si tratta perciò dello strumento ideale per distribuire denaro pubblico a soggetti privati senza dover rendere conto dell’effettivo uso del denaro. Ammesso che la nostra Corte dei Conti e la nostra magistratura penale volessero
accertare il percorso dei soldi, non avrebbero comunque giurisdizione in Israele. Sarà per questo motivo che
Israele è considerata ufficialmente la “Startup Nation”, cioè il paese che esprimerebbe al meglio il modello economico basato su queste nuove imprese, ovvero un mitico ecosistema funzionale alla “innovazione tecnologica” (uno pseudonimo della cleptocrazia).
Si tratta infatti di una mitologia sull’innovazione che ha ben poco di sostanzioso, visto che oggi l’Europa non ha ricavato alcun primato tecnologico da queste collaborazioni con Israele. Quel che è invece certo riguarda lo stato di insicurezza cronica dell’entità sionista. Nell’agosto scorso il nostro governo ha avviato altri investimenti in Israele; sebbene appena due mesi prima si sia visto come ogni investimento in Israele è gravemente a rischio.
Un missile iraniano ha causato gravi danni al maggiore centro di ricerca tecnologica israeliano, il Weizmann Institute. La stampa sionista ha narrato le eroiche gesta dei ricercatori dell’istituto, i quali avrebbero sottratto alle fiamme i risultati di anni di ricerche. Come a dire che se fossero stati un po’ meno eroici, un sacco di soldi sarebbero andati in fumo. Non sembra una grande pubblicità per attirare veri investitori.
Missili iraniani hanno colpito anche un parco tecnologico di Microsoft in Israele. L’informazione ufficiale ha tenuto a precisare che il parco Microsoft non ha riportato molti danni e che i missili avrebbero colpito degli edifici residenziali limitrofi. In quegli edifici probabilmente soggiornava del personale della Microsoft; infatti la stessa
Microsoft ha concesso ai suoi dipendenti in Israele dei congedi remunerati per riprendersi dal trauma. Il caso Microsoft-Israele ha comportato ulteriori sviluppi, con
rivolte del personale, che si è cercato inutilmente di stroncare con degli arresti. Di recente Microsoft è stata costretta a interrompere, almeno ufficialmente, molte delle collaborazioni con le forze armate israeliane.
Già nel 2024 il fenomeno della
“fuga dei cervelli” da Israele, cioè l’emigrazione di personale tecnico qualificato, come ingegneri, aveva assunto proporzioni vistose. Durante e dopo la guerra contro l’Iran, che ha messo ulteriormente in evidenza la vulnerabilità del territorio israeliano, le fughe si sono moltiplicate. Il quadro della situazione dimostra inequivocabilmente che Israele è attualmente un ambiente incompatibile con gli investimenti. Se ne deve concludere che quelli che vengono chiamati “investimenti” in effetti non sono tali. Si tratta semmai di riciclaggio, ma di un tipo particolare, in quanto non consiste nel ripulire denaro di provenienza illegale, bensì nel privatizzare abusivamente del denaro pubblico attraverso l’espediente dei falsi investimenti. In definitiva, il vero punto di forza di Israele rimane quello di svolgere il ruolo di sponda esterna per le cleptocrazie europee e americane.