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"Ridurre l'anarchismo alla nozione di "autogoverno", significa depotenziarlo come critica sociale e come alternativa sociale, che consistono nella demistificazione della funzione di governo, individuata come fattore di disordine."

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 02/10/2025 @ 00:05:35, in Commentario 2025, linkato 1758 volte)
La storia dei droni e jet di Putin sulla Polonia e sull’Estonia ha suscitato in molti una struggente nostalgia per i bei tempi di una volta, quando gli UFO venivano avvistati nei cieli e gli ufologi erano chiamati a illuminarci su cosa accadeva. La narrativa ufologica, pur ricca di aneddotica, alla fine però rimandava sempre al mistero, come i telefilm della serie “X Files” che, dopo tanto narrare, lasciavano quasi tutte le domande in sospeso. Di Putin invece, grazie ai nostri media, sappiamo tutto: i piani strategici, i desideri repressi, i pensieri nascosti, le intenzioni recondite e i sogni segreti; ma, soprattutto, ne conosciamo alla perfezione la cartella clinica, di cui non ci sfugge nulla. Massimo D’Alema era stato messo alla gogna a causa della sua presenza alla sfilata militare di Pechino per celebrare la vittoria sul Giappone nella seconda guerra mondiale; ma lo scaltro D’Alema ha trovato il modo di rilanciare le sue quotazioni offrendo in pasto ai media la notizia da loro più ambita, cioè succosi dettagli, da lui raccolti in prima persona, sul precario stato di salute di Putin.
L’euforia mediatica per la prospettiva di un Putin moribondo rientra comunque nel mito costruito attorno al personaggio, come se l’eccezionalità, in positivo o in negativo, appartenesse alla sua figura e non a quella del suo predecessore, Boris Eltsin, il russo più amato dal Fondo Monetario Internazionale, e quindi dai media euro-americani. Noto ai più per il suo alcolismo e per il bombardamento del parlamento russo, Eltsin ha caratterizzato la sua presidenza appunto per il rapporto speciale da lui intrattenuto con il FMI, di cui era un beniamino e da cui ha ricevuto direttive e prestiti. La Russia fu ammessa formalmente nel FMI nel 1992. Sei anni dopo gli osservatori registravano il “fallimento” del FMI nel “salvare” la Russia, per cui ogni prestito da parte della prestigiosa istituzione finanziaria internazionale portava regolarmente a disastri ed a nuovi prestiti, quindi ad un indebitamento crescente. All’epoca uno studio della Heritage Foundation (l’influente “think tank” conservatore con sede a Washington) rimproverava al FMI un eccesso di generosità, facendo capire che le corporation statunitensi speravano invece in un crollo totale della Russia per poterla finalmente smembrare in tanti staterelli-feudi delle multinazionali.
Nella vita infatti ci sono anche le botte di fondoschiena. Nel 2000 un Putin appena insediato alla presidenza, accoglie a Mosca una delegazione del FMI per cercare di ottenere un altro prestito. Fortuna vuole che, a causa delle pressioni della Heritage Foundation, il FMI stavolta sospenda il programma di “salvataggio” della Russia deciso l’anno prima e neghi il prestito. Ritrovatasi improvvisamente senza i “salvataggi” del FMI, la Russia un po’ alla volta si salverà sul serio. La Russia deve quindi la sua salvezza non a Putin, ma alla inconsapevolezza della Heritage Foundation. Solo chi faccia parte di un “think tank” americano può essere talmente deficiente da credere che il FMI possa davvero salvare qualcuno.

Il FMI fa egregiamente il suo lavoro, che è quello di una lobby dei creditori, perciò deve lasciare i suoi “assistiti” sempre più indebitati. La sedicente “scienza economica” è criptica solo se la si vuol rendere tale. Infatti non ci vuole una cima per capire che se lo scopo (la “mission”, come si dice oggi) di una istituzione è quello di metterti nei guai, allora sarà salutare starne alla larga. Non è soltanto la Heritage Foundation a non percepire pienamente il grado di tossicità del FMI; infatti nella famosa intervista televisiva rilasciata ad Oliver Stone (trasmessa nel 2017), persino Putin si dimostrava inconsapevole dello scampato pericolo e continuava a rivendicare il suo desiderio di collaborazione con il FMI.
Anche Javier Milei, come già Eltsin, è entrato nelle grazie del FMI. Dal 2023 il motosegaiolo è celebrato dal FMI e dai media come colui che avrebbe finalmente abolito in Argentina la politica degli “sprechi”; ma il risultato, peraltro scontato, delle politiche di Milei è stato invece il default finanziario e la necessità di nuovi prestiti da parte del FMI. L’ovvia conseguenza della pluridecennale relazione tossica tra l’Argentina ed il FMI, è che l’Argentina è sempre più intossicata di debiti.
Ci si interroga sulla “credibilità” di una istituzione come il FMI, dato che continua ad erogare prestiti ad un governo che ha già dimostrato di non poter ripagare i debiti. In realtà alla fine si è visto che ha avuto ragione il FMI; infatti in soccorso di Milei sono adesso arrivati venti miliardi in prestito da parte degli USA; quindi ci pensa il contribuente americano. Una volta “contribuente” era una nozione interclassista, mentre oggi si identifica con i ceti più poveri, dato che le corporation pagano sempre meno tasse.
Per l’Argentina purtroppo non si profila alcun colpo di fortuna analogo a quello toccato alla Russia nel 2000. L’anno scorso i segnali di default dell’Argentina erano già inequivocabili; ma ovviamente la Heritage Foundation continuava a celebrare il “miracolo” di Milei, a fronte dei presunti fallimenti dei vicini paesi “socialisti”. Pare quindi che non ci sia nessuna speranza che il FMI rinunci a “salvare” l’Argentina.
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Di comidad (del 25/09/2025 @ 00:05:26, in Commentario 2025, linkato 5291 volte)
L’accordo di mutua difesa firmato da Arabia Saudita e Pakistan lo scorso 17 settembre ha precedenti storici abbastanza noti, dato che è stata proprio la petro-monarchia di Riad a finanziare il programma nucleare militare pakistano, ufficializzato nel 1998. D’altra parte occorre considerare la tempistica dell’annuncio di tale accordo, che arriva pochi giorni dopo l’attacco israeliano al Qatar, sebbene la petro-monarchia di Doha ospiti una grande base militare degli Stati Uniti. In altre parole, l’inaffidabilità degli USA ha costretto il regime saudita a diversificare i “fornitori di sicurezza” ed a favorire l’ingresso di un nuovo soggetto nell’area medio-orientale; il Pakistan, appunto. Il regime di Islamabad ha ufficialmente buoni rapporti con gli USA, quindi il suo ingresso nell’area medio-orientale non assume il carattere di una sfida dichiarata al presunto “ordine” statunitense, sebbene oggettivamente rappresenti un segnale del suo crescente discredito.
Molte analisi geo-strategiche si sono concentrate sulle conseguenze negative che un tale accordo potrebbe comportare per il principale avversario del Pakistan, cioè l’India. Sembra però che in questo ambito non si sia detto finora molto di concreto, specialmente per ciò che riguarda le sorti del corridoio infrastrutturale e commerciale che dovrebbe collegare l’India al Medio Oriente. Il porto israeliano di Haifa avrebbe dovuto essere tra le infrastrutture essenziali per rendere operativo il corridoio con l’India; è stato però lo stesso Israele a bruciare questa prospettiva attaccando l’Iran, i cui missili hanno dimostrato che Haifa è troppo vulnerabile e insicura. La stampa sionista finge che nulla sia cambiato per Haifa, ma intanto il regime israeliano continua a minacciare l’Iran, scoraggiando gli investimenti in un’infrastruttura dal destino così incerto.
Inoltre l’Arabia Saudita non ha mai avuto nessun contenzioso con l’India, ed ha finanziato l’atomica pakistana per avvantaggiarsene in caso di conflitto con l’Iran. Sei anni fa vi furono gravi attacchi con missili e droni agli impianti petroliferi sauditi; quegli attacchi vennero imputati all’Iran. Neppure in quel caso la “protezione” americana funzionò. Riad non ritenne in quella circostanza di ricorrere ad un accordo di mutua difesa col Pakistan, ma scelse di risolvere il conflitto con l’Iran affidandosi alla mediazione cinese, il che ha portato ad un accordo con Teheran che sembra reggere. Infatti il comportamento di Israele, come quello delle altre potenze “occidentali”, non dà la priorità a interessi economici o di sicurezza, bensì di primato nella gerarchia internazionale. Per questo motivo Israele non fa differenza tra amici e nemici; nel momento in cui non è possibile attaccare il nemico (o presunto tale) si può colpire anche un paese praticamente alleato come il Qatar, perché l’importante è ribadire il proprio status, stabilendo che si è al di sopra delle regole. Per questo motivo è impossibile qualsiasi composizione o qualsiasi accordo con Israele, il quale percepisce ogni impegno che possa limitarne i movimenti come un attacco al proprio status.

Gli USA si comportano in modo analogo, in più si illudono di poter sempre monetizzare il loro primato nella gerarchia internazionale. Trump infatti ha cercato di sottomettere al suo racket delle estorsioni un paese come l’India, pur considerato dagli USA un partner militare fondamentale per contenere la Cina; inoltre è dall’India che proviene la gran parte degli ingegneri necessari allo sviluppo dell’high-tech americano. A differenza dell’Europa e del Giappone, guidati anch’essi dal criterio gerarchico di far parte a tutti i costi del club delle razze superiori (il mitico Occidente), l’India ha seguito il suo interesse vitale di mantenere i rapporti politici e commerciali con la Russia e di migliorare, almeno momentaneamente, le relazioni con la Cina. La cultura indiana è esplicitamente gerarchica, quindi c’è a riguardo un grado di consapevolezza che rende possibile prendere le distanze dalla nozione di status quando questa confligga con interessi di sopravvivenza. La società cosiddetta “occidentale” ha invece avvolto le gerarchie in una nube di eufemismi e paralogismi che rendono il culto della disuguaglianza una nozione automatica e scontata, che diventa immune alla riflessione e alla critica. Assistiamo perciò al paradosso occidentale di miliardari che diventano leader “populisti”, così come il conflitto di interessi, quella forma di cleptocrazia che consiste nell’avere contemporaneamente le mani in pasta nel privato e nel pubblico, diventa sinonimo di “competenza”. Ciò spiega come mai la NATO o la UE non siano considerate “laicamente” come delle organizzazioni (o, ancora più “laicamente”, come associazioni a delinquere), bensì come ascensori antropologici.
L’accordo di Riad del 17 settembre non sembra presentare risvolti negativi per l’India; semmai il contrario, dato che il suo antico rivale, il Pakistan, andrebbe a ritagliarsi un proprio spazio di grandeur lontano dai confini indiani. L’arrivo in Medio Oriente di un nuovo attore sunnita come il Pakistan va a disturbare non soltanto lo status di Israele, ma anche a sminuire il ruolo dell’altra grande potenza sunnita dell’area, cioè la Turchia, che non è un paese arabo, ma potrebbe rivendicare un passato imperiale di tutore del mondo arabo. Erdogan ha però ampiamente dimostrato di non essere in grado di recuperare questo ruolo di tutore; infatti, dopo aver stretto profondissimi legami finanziari e militari con il Qatar, non è stato capace di difenderlo dagli attacchi di Israele. Oggi al regime di Ankara arrivano esplicite minacce da Israele, ma finora non vi è stata alcuna reazione, neppure in Siria, dove le forze armate turche potrebbero immediatamente ridimensionare le pretese espansionistiche di Netanyahu.
Erdogan usa spesso una retorica che farebbe supporre una sua visione neo-ottomanista, che comporterebbe assumersi più responsabilità nei confronti dei paesi arabi, evitando di destabilizzarli, come invece ha fatto con la Siria. Erdogan ha puntato tutto sul panturchismo, perciò, al di là della retorica ufficiale, ha dovuto considerare l’Iran come principale avversario ed Israele come oggettivo alleato; poiché il dominio persiano impedisce il ricongiungimento di Ankara con le popolazioni turcofone del Caucaso e dell’Asia centrale. Ma, come l’Iran, anche Russia e Cina sono ostacoli al panturchismo, perciò Erdogan, al di là dei suoi giri di valzer, rimane legato mani e piedi alla NATO, agli USA e Israele. Alla fine Erdogan deve constatare che Israele non gli ha fatto il favore di eliminare l’Iran, perciò il panturchismo appare senza prospettive. Inoltre lo stesso Israele ha messo in evidenza l’inadeguatezza della Turchia come protettore del mondo arabo, aprendo uno spazio ad una potenza come il Pakistan, che non soltanto non è un paese arabo, ma è addirittura inedito come attore nell’area medio-orientale.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


02/10/2025 @ 23:44:04
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