Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Molti hanno notato che nella famosa foto in cui il generale Vannacci esibisce trionfalmente una cernia, la sola ad avere un’espressione intelligente è proprio la cernia. In base a questa osservazione fattuale, sono sorti gravi sospetti sulla effettiva capacità del generale di riuscire a pescare la cernia in oggetto. Con tutta probabilità il Vannacci si è quindi procurato la preda in qualche mercatino del pesce, per poi farne oggetto di pubblica esibizione. D’altra parte le millanterie e le spacconate dei pescatori sono diventate proverbiali e persino un topos letterario, per cui si sta parlando di aspetti da trattare con umana comprensione. Più preoccupante invece è il fatto che il generale abbia voluto attribuire una valenza simbolica e politica al maltrattamento di un animale, salvo poi ridicolizzare chi gli ha fatto notare la viltà di quel gesto. Se ce l’hai con la sinistra, prenditela con la sinistra, non con gli animali, che notoriamente non votano e non possono essere eletti.
La narrativa di Vannacci vorrebbe scaricare la colpa della denatalità sugli ardori animalisti e transgender, come se non c’entrassero niente la cronica stagnazione economica, i fitti e le bollette alle stelle, la precarizzazione del lavoro e la perdita di ogni speranza che le cose in futuro possano almeno non peggiorare. Se qualche volta si riesce nella titanica impresa di non interrompere le persone mentre parlano, tanti maschietti trentenni si lasciano sfuggire che il loro vero timore è che i loro eventuali figli possano un domani rinfacciargli di essere disoccupato o di guadagnare troppo poco. Le questioni di identità lavorativa e di reddito sono molto più pungenti e dolorose di quelle di identità di genere; un dato che in astratto quasi tutti sarebbero disposti a riconoscere, ma che poi viene costantemente aggirato nel gioco delle parti tra destra e sinistra. Giusto per parlare di nulla, Vannacci si è persino inventato un “comunismo cosmico”, un morbo misterioso dal quale la sinistra sarebbe affetta.
In realtà la malattia della “sinistra” sta nell’affezionarsi ai cascami della narrativa dell’imperialismo nella sua fase rampante e nel cercare di riciclarli oggi che l’imperialismo li ha abbandonati. L’abito smesso dell’imperialismo diventa immancabilmente la livrea della sinistra. In questo periodo il “Manifesto” sta parlando di attacco al diritto internazionale da parte degli USA, a causa della nuova ondata di sanzioni contro i giudici della Corte Penale Internazionale, che hanno incriminato esponenti del governo israeliano per crimini di guerra a Gaza. Effettivamente, in base al diritto internazionale, il governo israeliano e il governo statunitense sono organizzazioni criminali. Ma i criminali commettono crimini, cioè violano il diritto, non sono però nelle condizioni di attaccare il diritto in quanto tale; ciò possono farlo soltanto dei giudici che non applicano la legge. Le sanzioni contro giudici della Corte Penale Internazionale sono avviate da mesi, e quello annunciato dal segretario di Stato Marco Rubio è solo un ulteriore “pacchetto”. Occorre perciò chiedersi come mai la Corte Penale Internazionale non abbia ancora incriminato Marco Rubio e il presidente Trump per aver cercato di ostacolare dei mandati di cattura internazionali. Certo, il mandato di cattura nei confronti di Rubio e Trump non poteva essere emesso dagli stessi giudici oggetto delle sanzioni, in quanto vittime del reato; ma altri giudici della stessa Corte avrebbero dovuto prendere quei provvedimenti per tutelare i loro colleghi ed anche la funzione del diritto internazionale; se al diritto internazionale ci credono. La Corte Penale Internazionale non può rivendicare una legittimità se non applica a catena il diritto internazionale verso tutti coloro che ostacolano l’applicazione della legge o collaborano con il crimine. Le azioni penali non sono soggette ad inflazione, ma si dovrebbero porre come risposta ai reati, per quanti essi siano.
Allo stesso modo ci si dovrebbe chiedere come mai la CPI non abbia ancora spiccato mandati di cattura nei confronti della Meloni e Nordio per aver aiutato Almasri a sottrarsi alla giustizia. Il problema è che la CPI è nata, è stata creata, come replica del modello Norimberga, come nel famoso film di Stanley Kramer del 1961, il cui titolo italiano era particolarmente incisivo ed efficace: “Vincitori e Vinti”, in quanto coglieva l’effettiva relazione tra giudici e imputati. La CPI è quindi concepita per funzionare contro soggetti deboli, come Gheddafi o come Milosevic e Mladic.
La CPI andava ancora bene quando incriminava Putin e questi nella narrativa mediatica ci veniva fatto apparire come il più debole e prossimo perdente. La Russia non riconosce la Corte, quindi si è limitata ad ignorarne le disposizioni. Neppure gli USA riconoscono la CPI, pur essendone loro i veri artefici, dato che è una creatura di George Soros e di Emma Bonino, come a dire della CIA. Era impensabile che il sionismo finisse nel mirino della CPI, ma era altrettanto impensabile che esponenti del governo israeliano abbandonassero le ipocrisie e si mettessero a dichiarare pubblicamente i loro intenti genocidi, anche se Salvini fa finta di non aver sentito. Eppure il “Grande Israele” significa per l’Europa almeno quattro o cinque milioni di profughi/immigrati, tra palestinesi, siriani e libanesi; e questo solo per cominciare. Assistiamo quindi al paradosso di islamofobi sostenitori di politiche sioniste di pulizia etnica che trasferiscono l’Islam dalle nostre parti. Alla base di questo assurdo potrebbe esserci una consapevole mistificazione, ma anche una banale psicopatia. Gli basta vedere arabi e mussulmani ammazzati e sono tutti contenti.
La crescente insofferenza dell’imperialismo americano e dei suoi seguaci europei nei confronti dei suoi antichi fiori all’occhiello (il diritto internazionale e i diritti umani), sta nel fatto che non sono più tanto sicuri di essere i vincitori. Il nervosismo e la smania di colpire alle spalle hanno condotto USA e Israele anche a comportamenti autolesionistici, come lo screditare una delle loro più importanti agenzie di spionaggio, cioè l’AIEA, che oggi non può mettere più piede in Iran.
In molti hanno notato che “Ferragosto in Alaska” era un titolo che si adattava più ad un film con Christian De Sica e Massimo Boldi che ad un evento storico. C’è inoltre un diffuso scetticismo sulla possibilità che Trump riesca a mantenere i canali di trattativa eventualmente aperti con la Russia sui dossier comuni, compresi l’Artico e il controllo nucleare. Pare che lo stesso Putin non creda alla possibilità degli USA di mantenere accordi, cioè di esprimere una continuità istituzionale. Nella conferenza stampa finale Putin ha accettato di compiacere l’ego di Trump avallando il suo mantra, secondo il quale se ci fosse stato lui alla presidenza al posto di Biden, la guerra in Ucraina non sarebbe mai scoppiata. Putin non è il grande statista che molti hanno vagheggiato, ma è comunque un vero professionista della politica e della diplomazia, perciò da parte sua appare strana una deroga così smaccata dal codice di comportamento istituzionale, in base al quale occorrerebbe evitare di esprimere giudizi e fare confronti sui capi di Stato degli altri paesi. Secondo il luogo comune, la politica russa sarebbe molto legata a certi formalismi giuridici, invece Putin stavolta li ha tranquillamente ignorati. Certe sbracate ce le si poteva aspettare da un lobbista e dilettante della politica come Mario Draghi, il quale nel 2021 non si limitò ad elogiare il presunto europeismo di Biden, ma si lasciò andare a critiche sul suo predecessore Trump.
A fondamento dei rapporti istituzionali dovrebbe esserci la funzione, che prevale sulle persone che la esercitano di volta in volta. Questo filo di continuità nella funzione, al di là ed al di sopra della caducità delle persone, sarebbe appunto lo Stato. Ciò conferiva allo Stato quell’alone, se non divino come diceva Hegel, almeno sovrumano. In questo senso Trump non avrebbe mai dovuto tollerare che un presidente straniero criticasse in sua presenza un suo predecessore alla Casa Bianca; invece se ne è compiaciuto, dimostrando di avere una concezione meramente personalistica del potere.
La statualità era probabilmente solo un mito su cui i vari regimi basavano la propria legittimazione, perciò i ruoli istituzionali sono sempre stati soggetti all’alea degli umori personali e delle spinte di lobbying; il problema è che oggi la statualità non sopravvive neppure come mito e come bon ton diplomatico nei rapporti tra paesi; tanto che Putin in una conferenza stampa fa una dichiarazione che equivale a dire che nei rapporti con gli USA si vive alla giornata e che in pratica l’epoca dei trattati è finita, poiché non c’è un interlocutore stabile con cui negoziare.
Se ci sono continuità e regolarità nella politica USA è semmai nella costante inaffidabilità, di cui Trump fa motivo di vanto. Il fatto che la slealtà diventi di per sé una strategia, o l’illusione di una strategia, dà il segno della dissoluzione della concezione weberiana del potere legale-razionale. La politica estera finisce perciò per riprodurre l’autolesionistica relazione dello scorpione con la rana. Non c’è solo Trump a confondere la slealtà con la strategia; basti pensare al presidente turco Erdogan. Secondo la visione realista di Carl Schmitt la politica estera degli Stati sarebbe basata sullo schema amico-nemico, per il quale il nemico del mio nemico è mio amico. Erdogan ha fatto esattamente l’opposto, cioè si è alleato con Israele, principale alleato del suo nemico curdo, per fare fuori Assad, che era quello con cui aveva raggiunto un accordo e che gli teneva a bada i curdi ed anche Israele. Oggi che la Siria è stata balcanizzata, i curdi hanno stabilito il proprio potere su una parte del territorio, mentre Israele occupa il sud del paese fino alle porte di Damasco. Eppure Erdogan continua ad essere convinto che il mancare di parola sia un segno di intelligenza.
Lo stesso regime russo nella vicenda siriana non ha brillato per affidabilità. Non è stato invece irrazionale il fatto che il regime russo abbia rinunciato ad uno degli elementi caratterizzanti dell’autorità dello Stato, cioè la leva obbligatoria. Il regime russo ha quindi dovuto affrontare una guerra impegnativa come quella in Ucraina con un esercito professionale, alimentato da stipendi allettanti. L’espressione “operazione militare speciale” ha consentito di evitare la parola “guerra” e quindi di non evocare lo spettro della leva obbligatoria, giustamente ritenuta molto impopolare. Per motivi di consenso interno Putin ha dovuto promettere di non impegnare i soldati di leva nei combattimenti. Truppe di leva russe sono state imprevedibilmente coinvolte durante l’inizio dell’invasione ucraina di Kursk, però l’intera operazione per liberare l’area è stata affidata a forze professionali.
La Rivoluzione Francese e il regime napoleonico avevano santificato la leva obbligatoria, facendone un elemento fondamentale della personalità dello Stato; infatti la leva obbligatoria è stata recepita nella nostra Costituzione, per cui deve ritenersi non abolita ma soltanto sospesa dal 2005. L’esperienza ha però confermato lo scetticismo del regime russo nella credibilità dell’autorità dello Stato e quindi nel ricorso alla leva obbligatoria. Il fallimento militare dell’Ucraina è in gran parte dovuto alla leva obbligatoria, che è stata ostacolata da renitenze e diserzioni. Allo stesso modo, non è il genocidio a Gaza, bensì la leva obbligatoria a rappresentare oggi il maggiore elemento di tensione interna alla società israeliana; non solo per quanto riguarda il privilegio di esenzione accordato agli ebrei ortodossi, ma soprattutto a causa della crescente tendenza dei riservisti a sottrarsi al richiamo.
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