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"Il Congresso nega nel principio il diritto legislativo" "In nessun caso la maggioranza di qualsiasi Congresso potrà imporre le sue decisioni alla minoranza"

Congresso Antiautoritario Internazionale di Saint Imier, 1872
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 21/08/2025 @ 00:05:20, in Commentario 2025, linkato 5975 volte)
In molti hanno notato che “Ferragosto in Alaska” era un titolo che si adattava più ad un film con Christian De Sica e Massimo Boldi che ad un evento storico. C’è inoltre un diffuso scetticismo sulla possibilità che Trump riesca a mantenere i canali di trattativa eventualmente aperti con la Russia sui dossier comuni, compresi l’Artico e il controllo nucleare. Pare che lo stesso Putin non creda alla possibilità degli USA di mantenere accordi, cioè di esprimere una continuità istituzionale. Nella conferenza stampa finale Putin ha accettato di compiacere l’ego di Trump avallando il suo mantra, secondo il quale se ci fosse stato lui alla presidenza al posto di Biden, la guerra in Ucraina non sarebbe mai scoppiata. Putin non è il grande statista che molti hanno vagheggiato, ma è comunque un vero professionista della politica e della diplomazia, perciò da parte sua appare strana una deroga così smaccata dal codice di comportamento istituzionale, in base al quale occorrerebbe evitare di esprimere giudizi e fare confronti sui capi di Stato degli altri paesi. Secondo il luogo comune, la politica russa sarebbe molto legata a certi formalismi giuridici, invece Putin stavolta li ha tranquillamente ignorati. Certe sbracate ce le si poteva aspettare da un lobbista e dilettante della politica come Mario Draghi, il quale nel 2021 non si limitò ad elogiare il presunto europeismo di Biden, ma si lasciò andare a critiche sul suo predecessore Trump.
A fondamento dei rapporti istituzionali dovrebbe esserci la funzione, che prevale sulle persone che la esercitano di volta in volta. Questo filo di continuità nella funzione, al di là ed al di sopra della caducità delle persone, sarebbe appunto lo Stato. Ciò conferiva allo Stato quell’alone, se non divino come diceva Hegel, almeno sovrumano. In questo senso Trump non avrebbe mai dovuto tollerare che un presidente straniero criticasse in sua presenza un suo predecessore alla Casa Bianca; invece se ne è compiaciuto, dimostrando di avere una concezione meramente personalistica del potere.
La statualità era probabilmente solo un mito su cui i vari regimi basavano la propria legittimazione, perciò i ruoli istituzionali sono sempre stati soggetti all’alea degli umori personali e delle spinte di lobbying; il problema è che oggi la statualità non sopravvive neppure come mito e come bon ton diplomatico nei rapporti tra paesi; tanto che Putin in una conferenza stampa fa una dichiarazione che equivale a dire che nei rapporti con gli USA si vive alla giornata e che in pratica l’epoca dei trattati è finita, poiché non c’è un interlocutore stabile con cui negoziare.

Se ci sono continuità e regolarità nella politica USA è semmai nella costante inaffidabilità, di cui Trump fa motivo di vanto. Il fatto che la slealtà diventi di per sé una strategia, o l’illusione di una strategia, dà il segno della dissoluzione della concezione weberiana del potere legale-razionale. La politica estera finisce perciò per riprodurre l’autolesionistica relazione dello scorpione con la rana. Non c’è solo Trump a confondere la slealtà con la strategia; basti pensare al presidente turco Erdogan. Secondo la visione realista di Carl Schmitt la politica estera degli Stati sarebbe basata sullo schema amico-nemico, per il quale il nemico del mio nemico è mio amico. Erdogan ha fatto esattamente l’opposto, cioè si è alleato con Israele, principale alleato del suo nemico curdo, per fare fuori Assad, che era quello con cui aveva raggiunto un accordo e che gli teneva a bada i curdi ed anche Israele. Oggi che la Siria è stata balcanizzata, i curdi hanno stabilito il proprio potere su una parte del territorio, mentre Israele occupa il sud del paese fino alle porte di Damasco. Eppure Erdogan continua ad essere convinto che il mancare di parola sia un segno di intelligenza.
Lo stesso regime russo nella vicenda siriana non ha brillato per affidabilità. Non è stato invece irrazionale il fatto che il regime russo abbia rinunciato ad uno degli elementi caratterizzanti dell’autorità dello Stato, cioè la leva obbligatoria. Il regime russo ha quindi dovuto affrontare una guerra impegnativa come quella in Ucraina con un esercito professionale, alimentato da stipendi allettanti. L’espressione “operazione militare speciale” ha consentito di evitare la parola “guerra” e quindi di non evocare lo spettro della leva obbligatoria, giustamente ritenuta molto impopolare. Per motivi di consenso interno Putin ha dovuto promettere di non impegnare i soldati di leva nei combattimenti. Truppe di leva russe sono state imprevedibilmente coinvolte durante l’inizio dell’invasione ucraina di Kursk, però l’intera operazione per liberare l’area è stata affidata a forze professionali.
La Rivoluzione Francese e il regime napoleonico avevano santificato la leva obbligatoria, facendone un elemento fondamentale della personalità dello Stato; infatti la leva obbligatoria è stata recepita nella nostra Costituzione, per cui deve ritenersi non abolita ma soltanto sospesa dal 2005. L’esperienza ha però confermato lo scetticismo del regime russo nella credibilità dell’autorità dello Stato e quindi nel ricorso alla leva obbligatoria. Il fallimento militare dell’Ucraina è in gran parte dovuto alla leva obbligatoria, che è stata ostacolata da renitenze e diserzioni. Allo stesso modo, non è il genocidio a Gaza, bensì la leva obbligatoria a rappresentare oggi il maggiore elemento di tensione interna alla società israeliana; non solo per quanto riguarda il privilegio di esenzione accordato agli ebrei ortodossi, ma soprattutto a causa della crescente tendenza dei riservisti a sottrarsi al richiamo.
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Di comidad (del 14/08/2025 @ 00:05:20, in Commentario 2025, linkato 6160 volte)
Il famoso apocrifo keynesiano afferma che sul lungo periodo saremo tutti morti; però ancora più certo è che sul “lungo periodo” si può speculare e ipotizzare all’infinito, con un ovvio effetto di distrazione dai dati di fatto immediati. Ad esempio, vari illustri commentatori predicono che la politica dei dazi di Trump determinerà un effetto protezionistico ed a lungo termine una conseguente reindustrializzazione degli Stati Uniti. Come no? Tutto può essere. Intanto però i dazi sono una tassa sui beni importati che viene pagata dal consumatore finale, e ciò in un paese dove la gran parte dei beni di consumo viene importata. Si può discutere se i dazi provocheranno o meno inflazione, visto che i dati ufficiali sull’occupazione sembrano indicare una recessione, tanto che Trump ha licenziato la responsabile delle statistiche. Quel che risulta certo è chi paga i dazi, cioè il contribuente più povero, quello che non può rivalersi su nessuno. All’opinione pubblica i dazi possono essere “venduti” in molti modi: ai più come rivalsa nazionale e, per coloro che hanno orecchiato qualcosa di economia, li si può persino spacciare come presunto contrappeso all’IVA degli europei.
I dazi li avevano imposti anche i predecessori di Trump, con meno clamore ma con motivazioni analoghe. Oggi Trump li ripropone in grande stile e con tariffe abbastanza irrealistiche e, nel contempo, ha prorogato e ampliato i tagli fiscali a favore delle imprese. Il carico fiscale è stato quindi trasferito sul contribuente povero, al quale tutto ciò è stato venduto come un progetto di grandeur nazionale dilazionato nel futuro. Lo spauracchio dei dazi di Trump è stato usato anche per bloccare qualsiasi ipotesi di tassazione delle multinazionali del web; la scelta del G7 è stata giustificata con l’alibi di evitare “ritorsioni” di Trump, come se gli USA disponessero di chissà quale potere contrattuale. Il problema è che la gran parte dei media europei sembra demonizzare Trump, ma in effetti lo mitizza. Del resto è ovvio: i ricchi hanno i soldi e quindi possono permettersi di fare pubbliche relazioni. La potenza manipolatoria e la pervasività del messaggio pubblicitario sono direttamente proporzionali al denaro di cui si dispone. Il denaro inoltre affascina senza neanche bisogno di comprarti; perciò, in base al calcolo delle probabilità, è molto più facile che le menzogne provengano dalla parte dei ricchi. Tutti possono mentire, ma il potenziale aumenta in base alla quantità di mezzi di manipolazione di cui si dispone. Si determina invece nella gran parte della pubblica opinione un effetto paradossale, cioè la ricchezza viene percepita come indicatore di prestigio e credibilità, per cui i ricchi possono spacciare i loro spot come la realtà tout court e bollare la comunicazione dei poveri come propaganda, cioè il mentire e il deformare i fatti sarebbero l’arma dei poveri o dei meno ricchi; una tesi che, dal punto di vista probabilistico, non ha alcun senso, però è esattamente ciò che affermano i sionisti a proposito di Hamas. La Spectre sfigura al confronto di Hamas, che dai suoi tunnel ormai controlla l’ONU, il Vaticano, i rabbini antisionisti, le Università, i social media e persino Capezzone.

Per la verità alcuni nella base elettorale MAGA (Make America Great Again) cominciano a sospettare che Trump sia soltanto il testimonial di uno spot pubblicitario confezionato per fregarli. In Italia nessuna riflessione del genere è stata fatta sull’epoca pandemica, rispetto alla quale si è verificata una sorta di rimozione. Anche quando c'è stato un po’ di ripensamento, ci si è fatti distrarre da un personaggio come Enrico Mentana, il quale ormai si sputtana da sé, perché si pone in modo troppo minaccioso e intimidatorio.
Più attenzione andrebbe invece prestata al fatto che, con la collaborazione di vari esponenti della sinistra, anche “radicale”, il lockdown ci è stato venduto come un modo per castigare la “logica del profitto”, il green pass è stato spacciato come una sorta di terapia contro il liberismo, e la vaccinolatria è stata vissuta come farsi una grande “pera” collettiva di socialismo. A conti fatti la pandemia è stata l’opposto, cioè una grande operazione di assistenzialismo per ricchi, una concentrazione di ricchezza ed un enorme trasferimento di reddito dalle classi subalterne alle multinazionali. Qualsiasi dubbio sullo spot pubblicitario è stato bollato come “teoria del complotto”, perciò gran parte della cosiddetta “sinistra” ha dimostrato di percepire la ricchezza come un indicatore di superiorità morale e intellettuale. I grandi assistiti dal denaro pubblico vengono quindi accreditati di essere dei supereroi. Il fenomeno della miliardariolatria (il culto dei miliardari, considerati i nuovi demiurghi), si rivela perciò trasversale alle ideologie ed agli schieramenti politici. La suggestione determinata dal denaro, molto più della sua capacità corruttiva, è stata l’elemento che ha reso interattivi e partecipativi gli spot pubblicitari. In tal modo una parte delle opposizioni si è affezionata al trattamento sanitario obbligatorio di massa, mentre un’altra parte dell’opposizione si è illusa che un miliardario potesse essere un leader anti-establishment.
Comunque, per chi fosse disinteressato alle teorie della comunicazione e voglia attenersi ai dati di fatto, basti ricordare che Amazon nel periodo pandemico ha incassato 81 (ottantuno) miliardi di profitti. Una cifra analoga è andata alle multinazionali farmaceutiche per venderci i sieri salvifici. Ogni emergenza finisce in assistenzialismo per ricchi.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


18/09/2025 @ 08:34:38
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