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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Purtroppo Trump non ha potuto motivare il suo bombardamento natalizio in Nigeria con la dottrina Monroe, poiché pare che all’ultimo momento lo abbiano informato che la Nigeria non si trova in America Latina. Pagliacciata per pagliacciata, Trump poteva tirare fuori la dottrina Kipling, cioè quel “fardello dell’uomo bianco” celebrato nella famosa poesia del 1899. Il “messaggio” del bombardamento è abbastanza scontato: gli USA ribadiscono che vanno a colpire chi gli pare col pretesto che gli pare, e il bersaglio di turno non troverà nessun protettore disposto a rischiare per lui. Ciò era ben chiaro già nel novembre scorso, quando il bombardamento americano venne annunciato. Il comunicato del ministero degli Esteri cinese è stato affidato ad un portavoce, il che è di per sé il segnale di un basso profilo; ma la dichiarazione cinese, al di là della rituale esortazione agli USA di non cercare pretesti religiosi per la sua ingerenza su altri paesi, faceva soprattutto capire che Pechino non avrebbe mosso un dito per proteggere la Nigeria, come pure non sta muovendo un dito per difendere il Venezuela; a parte, ovviamente il vendere i soliti droni.
Il bullo agisce in base ad uno schema comportamentale teso a dimostrare che tutti gli altri sono delle merde e che nessuno avrà le palle per sfidare il suo racket. Si dice spesso, ed erroneamente, che le guerre hanno motivazioni economiche; la Nigeria, come il Venezuela, ha grandi riserve di petrolio, e gli USA vorrebbero disporne. Ma il petrolio, di per sé, non giustifica i costi e i rischi di una guerra, dato che si può ottenere tutto il petrolio che si vuole con pratiche commerciali; anche i contratti per l’estrazione possono essere ottenuti con normali tecniche di corruzione. In realtà il problema non è economico ma finanziario, riguarda cioè i soldi con cui il petrolio è scambiato ed il circuito in cui quei soldi sono reinvestiti. Gli USA sono un paese super-indebitato e hanno bisogno che il petrolio sia scambiato in dollari, e che i proventi del petrolio siano reinvestiti per comprare azioni nelle Borse americane e, soprattutto, per comprare debito pubblico americano. Se poi gli USA riescono a dimostrarsi capaci di controllare le aree petrolifere, tanto più gli “investitori” considereranno ciò come una garanzia per i titoli emessi dal Tesoro statunitense. Come molti altri paesi, oggi anche la Nigeria usa lo yuan nelle sue transazioni commerciali con la Cina; ed è ovvio che sia così, visto che la Cina è il maggiore investitore in Nigeria. Altrettanto ovvio è che gli yuan che gli oligarchi nigeriani guadagnano vengano riciclati nel circuito finanziario cinese; e si può capire che questo agli USA non vada bene.
Il problema è che sono gli USA a darsi la zappa sui piedi quando minacciano la Nigeria di sanzioni. Un impero si fonda sulla sua capacità di assorbire e integrare le oligarchie locali. Si parla spesso di finanza apolide o di capitalismo apolide; in realtà tutte le oligarchie sono apolidi, perché la loro vera patria è dove sono investiti i loro soldi. Ma se il paese dove dovresti mettere i tuoi soldi ti fa sapere preventivamente che può decidere, in qualsiasi momento, di toglierti la disponibilità di quel denaro, allora aumentano le motivazioni per le oligarchie locali per cercare delle alternative.
Le sanzioni americane ed europee alla Russia impediscono agli oligarchi russi di esportare i propri capitali negli USA e nell’UE, perciò gli oligarchi russi sono costretti, loro malgrado, a ridiventare patrioti reinvestendo nel proprio paese. Il bullo cerca di colpire il suo avversario, vero o presunto, in tutti i modi possibili, senza porsi il problema di capire quali mezzi siano funzionali al dominio e quali no. La mancanza di strategia delle amministrazioni USA è dimostrata dal loro stesso linguaggio; e infatti uno dei nonsensi più clamorosi riguarda l’intento di “indebolire la Russia”. Forza e debolezza non sono concetti assoluti ma da riferire a una relazione. Ogni regime si basa su equilibri di potere: se si toglie agibilità ad una parte del regime, si dà spazio ad un’altra parte del regime; se agli oligarchi si tolgono i loro investimenti all’estero, tanto più si troveranno a dover dipendere dai militari per la protezione dei loro interessi. Il militarismo russo si è potuto esaltare grazie alle sanzioni; ed è ovvio che non abbia alcuna fretta di concludere la guerra, perché una guerra lunga significa ampliare l’esercito, investire nelle armi, gestire più soldi e anche aumentare gli stipendi dei militari. Insomma, le sanzioni sono autolesionistiche ed incompatibili con una strategia imperiale.
La geopolitica ha il merito di aver rimesso la geografia al centro dell'analisi, ma anche il torto di aver contribuito a rilanciare un'idea di impero che non ha niente a che fare con l'imperialismo reale. Il punto è che come impero gli USA sono un’invenzione europea, un mito creato dalle cleptocrazie europee contro le proprie popolazioni, per nascondere le proprie responsabilità dietro il padrone straniero. Si chiama autocolonialismo. Lo psicodramma trumpiano dell’abbandono dell’Europa da parte degli USA è meno realistico della fiaba di Pollicino. La NATO e l’UE, il mito americano e l’europeismo sono facce della stessa medaglia, ed anche della stessa cialtroneria.
La genesi storica delle talassocrazie è strettamente intrecciata con la pirateria. Negli ultimi giorni di dicembre del 1600 fu costituita la Compagnia Britannica delle Indie Orientali, che, secondo alcune ricostruzioni storiche, fu anche una delle prime società per azioni, quindi l’antenata delle attuali multinazionali. Ovviamente la Compagnia esisteva già prima di formalizzarsi legalmente, ed era una delle tante associazioni a delinquere dedite alla pirateria. La legalizzazione della Compagnia delle Indie fu un episodio di cronaca di notevole risonanza e se ne trovano tracce anche nella letteratura. L’Amleto fu pubblicato tra il 1602 e il 1603, ma scritto nel corso dei due anni precedenti; nel terzo atto dell’Amleto il re Claudio dice che nelle “correnti corrotte” di questo mondo spesso la mano aurea del delitto riesce a spostare la bilancia della giustizia a proprio favore, e ciò proprio usando i proventi del delitto per comprarsi la legge.
La talassocrazia statunitense è considerata l’erede della talassocrazia britannica; perciò il fatto che l’amministrazione Trump abbia adottato la prassi di abbordare e saccheggiare le navi che trasportano petrolio venezuelano, è considerata da alcuni come una regressione infantile ai primordi pirateschi della talassocrazia, a prima del diritto internazionale della navigazione ed a prima della globalizzazione. Potrebbe essere un’interpretazione abbastanza valida se opportunamente dimensionata, cioè se si evita di credere che davvero esistesse un diritto internazionale e non un suo simulacro. Un trattato internazionale sul diritto della navigazione (l’UNCLOS) è stato firmato dagli USA nel 1982, ma mai ratificato dal senato; ciò nella pratica ha significato per Washington applicare il trattato solo nei casi in cui gli faceva comodo.
La certezza del diritto è sempre stata un fantasma; lo stesso ente che dovrebbe fondarsi sulla legge e farla rispettare (lo Stato) si è rivelato a sua volta incerto e dissociato, cioè non è mai diventato un soggetto politico-istituzionale univoco e omogeneo. I trattati internazionali sono stati spesso considerati un progresso rispetto alle legislazioni nazionali, poiché prospetterebbero una “governance” mondiale ritenuta, chissà perché, in grado di prevenire e risolvere i conflitti tra Stati. Le esperienze di “governance” sovranazionale hanno invece aggravato la situazione di incertezza normativa. Trump ha adottato il vittimismo come leit motiv della propria comunicazione pubblicitaria, ed uno degli strali della sua lamentazione è proprio la governance globale dei trattati, accusata di legare le mani a chi opera per gli interessi nazionali. Per verificare quanto sia infondata questa narrativa vittimistica, basta osservare lo statuto dell’organizzazione che dovrebbe regolare il commercio mondiale, cioè il WTO/OMC. Quest’organismo è basato sulla “regola del consenso”, cioè non c’è un voto che stabilisce favorevoli e contrari ad una certa decisione, ma c’è “qualcuno” che impone a tutti un unanimismo preventivo, a meno che qualcun altro non si alzi ad obiettare esplicitamente. In parole povere, nel WTO gli USA comandano, a meno che non vi sia uno abbastanza forte da opporsi. Il problema quindi non è il WTO che avrebbe legato le mani agli USA, ma i rapporti di forza spostati a favore della Cina.
Un altro bersaglio polemico negli spot pubblicitari di Trump è l’Unione Europea, accusata non solo di aver parassitato gli USA, ma anche di non essere “democratica”. L’UE è un’organizzazione impopolare, e parlarne male può rendere popolari; ma le chiacchiere di Trump e Vance restano chiacchiere. Certo, se l’UE fosse un’organizzazione appena appena trasparente, la von der Leyen non avrebbe potuto stipulare contratti onerosi a favore di multinazionali farmaceutiche statunitensi; e neppure la von der Leyen avrebbe potuto volare in Scozia per accondiscendere ad ogni desiderio espresso da Trump, mentre questi giocava a golf. Chiaramente molti degli impegni presi dalla von der Leyen rimarranno lettera morta, ma soltanto perché non esistono le risorse per attuarli. Gli abusi della von der Leyen e della Commissione Europea si inquadrano nell’incertezza normativa stabilita dai trattati; un esempio tra i tanti possibili è il controsenso giuridico di un parlamento che può nominare la Commissione ma poi non può sfiduciarla. Il punto però è che l’UE non nasce in funzione di una mitica “agenda globalista”, ma come “vincolo esterno” da usare come babau, come ricatto e come alibi contro le proprie popolazioni. Nata in funzione del “vincolo esterno”, l’UE cerca a sua volta negli USA un “vincolo esterno”, cioè una sponda e un alibi.
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