Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La tendenza ad etichettare come teoria del complotto qualsiasi perplessità venga espressa nei confronti delle versioni ufficiali non è l’effetto di superficialità o di casuali fraintendimenti, bensì rappresenta l’esigenza di difendere ad oltranza il mito secondo cui gli apparati del cosiddetto Stato potrebbero derogare dalla legalità soltanto attraverso preventive quanto complesse cospirazioni. In realtà la stessa nozione di Stato è molto labile e incerta, dato che nei fatti il potere scavalca le distinzioni giuridiche e risulta trasversale tra il pubblico e il privato, e soprattutto tra la legalità e l’illegalità. La mistificazione è talmente strutturale al sistema che non c’è nulla di necessariamente pianificato nel fatto che un potere in difficoltà ricorra pretestuosamente alle emergenze in generale ed all’emergenza terrorismo in particolare, poiché quest’ultima è la più facile da attuare e gestire. Il terrorismo è così salutare per il potere in ogni suo grado ed in ciascuna sua articolazione, che gli attentati possono essere il risultato di iniziative di singoli funzionari, perciò tutto può procedere per fatti compiuti e successivi adattamenti degli apparati ad un familiare e rassicurante meccanismo emergenziale.
Nel finale di questo 2024 il governo tedesco ha dovuto ammettere ufficialmente che l’economia è in recessione, e per un paese come la Germania ciò comporta effetti traumatici sul piano del prestigio interno e internazionale. Era meglio evitare di parlare di fallimenti industriali e dare invece al governo altri argomenti su cui creare pathos. Magari un attentato islamico risultava troppo banale e scontato, perciò qualcuno ha escogitato la trovata dell’attentato anti-islamico. Il presunto attentatore sarebbe un medico psichiatra, un immigrato di origine saudita, islamofobo, anti-immigrati e simpatizzante dell'AFD, o almeno così risulta dal suo sito. Ma l'AFD smentisce qualsiasi contatto. Questa è la disciplina teutonica: i neonazisti e gli anti-immigrati sono infatti scesi in piazza a protestare per bloccare e respingere l'immigrazione; i democratici progressisti potranno scendere in piazza a protestare contro l'islamofobia del simpatizzante AFD; i moderati potranno fare appello al governo per gestire il casino; il dominio vedrà rinforzato, appunto, il suo ruolo protettivo e soccorrevole. L’importante è che un potere screditato dal collasso della produzione industriale abbia potuto recuperare un ruolo assumendosi la missione di restaurare l’ordine violato.
Dieci anni fa si parlava di “Quarto Reich”, di una Germania che colonizzava la zona euro imponendole le sue austere regole di bilancio. Oggi ci ritroviamo invece una “Germanietta” con un governucolo guidato da un quaquaraquà come Scholz, che non riuscirebbe a farsi prendere sul serio neppure dal suo usciere. A questo punto risulta un po’ difficile continuare a sostenere la recita dell’Italietta spendacciona che sarebbe costretta suo malgrado a stringere la cinghia dall’austera Germania. A qualche malpensante potrebbe sorgere il dubbio che in tutti questi anni l’oligarchia nostrana si sia nascosta dietro la Germania per attuare un’austerità che va inevitabilmente a favore della concentrazione della ricchezza.
Contrariamente a ciò che si fa credere, quasi mai l’austerità ha comportato una diminuzione della spesa pubblica, bensì si è tradotta soprattutto in una stretta fiscale, particolarmente pressante sulle imposte indirette. Dal 1996 al 2021 le accise sulla benzina sono state aumentate sei volte da governi del centrodestra (i governi anti-tasse?!), due volte da governi di centrosinistra e tre volte dal governo Monti, cioè quello considerato “austero” per antonomasia. Il termine moralistico “austerità” si traduce appunto in aumento delle imposte indirette, cioè maggiore tassazione sui contribuenti poveri. Le accise sui carburanti rappresentano un caso evidente di spremitura fiscale dei più poveri, tassati anche per potersi trasferire al posto di lavoro, ed inoltre privati di potere d’acquisto, con effetto di caduta della domanda.
Come tutti i “liberisti”, in Argentina Milei è diventato presidente in base alla promessa di diminuire le tasse ed allo slogan che le tasse sono un furto. Sennonché, come tutti i “liberisti”, ha fatto esattamente il contrario, cioè ha aumentato le tasse trasferendo il maggior prelievo fiscale sulle imposte indirette ed in particolare sui carburanti. La stessa politica di austerità che abbiamo visto attuata da Monti, la sta facendo oggi Xavier Milei in Argentina, tanto da diventare il beniamino del Fondo Monetario Internazionale, cioè la maggiore lobby della finanza globalista. Se si rendono le persone talmente povere da non poter comprare nulla, è ovvio che l’inflazione diminuisca. Chi perde lavoro e salario a causa della recessione economica, non può farsene nulla della diminuzione dell’inflazione, mentre questa invece avvantaggia le banche e i fondi di investimento, che evitano di vedersi svalutare i propri crediti.
La stranezza è che dieci anni fa le destre si atteggiavano a sovraniste e sparlavano di Monti, che era la loro bestia nera, mentre invece piaceva ai quotidiani di “sinistra” come “Repubblica”. Adesso invece ad Atreju le destre stravedono per Milei e fingono di prendere sul serio il suo slogan secondo cui le tasse sono un furto. In base al solito gioco delle parti, ora le “sinistre” assumono la posa di storcere il naso e magari qualcuno dirà pure che le tasse sono belle e vanno pagate con gioia, così la commedia è completa. I media considerano di “sinistra” solo quelli che non si accorgono che il mitico “liberismo” è solo uno slogan per nascondere l’aumento delle tasse ai poveri. Per capire l’entità della mistificazione, basterebbe comparare lo spazio enorme che i media riservano alle frasi vuote e ad effetto come quella sulle tasse-furto, rispetto allo spazio infimo che invece concedono alle notizie concrete sull’aumento delle imposte indirette. Con una nuova operazione pubblicitaria, cambiando testimonial (dal sobrio loden di Monti alle basette da tamarro di Milei) si riesce a vendere lo stesso identico prodotto di marca FMI: l’austerità, cioè l’aumento della tassazione sui più poveri.
Si attribuisce spesso la vittoria di Milei alla particolare situazione argentina, dove esiste una fascia d’opinione pubblica ideologicamente ostile al peronismo, considerato populista e sprecone, e disposta ad abbracciare chiunque pur di liberarsene. Ovviamente la mitologia peronista è una cosa mentre la realtà è un’altra, dato che il presidente peronista Carlos Menem fece le stesse identiche cose che sta facendo Milei. Ma è pur vero che esistono avversioni ideologiche su basi puramente simboliche, che prescindono totalmente dai dati di fatto; in Italia abbiamo visto il Matteo Renzi agli esordi conquistarsi consensi sparlando di Bertinotti e D’Alema, personaggi a cui la destra attribuisce una simbolica valenza ostile nonostante la loro innocuità. Nel caso di Milei però è evidente che il personaggio è stato confezionato specificamente in chiave pubblicitaria per una platea internazionale. Il personaggio Milei rientra nella categoria dei Mastro Lindo, e infatti è anche lui provvisto del suo bravo simbolo fallico (la motosega).
La fintocrazia ha i suoi risvolti truci e trucidi, come nel caso del DDL Sicurezza del governo Meloni, nel cui testo ci sono dettagli veramente spassosi. Ad esempio, nell’articolo 28 si autorizzano gli agenti delle varie polizie a portare armi private oltre a quelle di ordinanza. Agli elettori della Meloni vien fatto credere che ciò indurrà gli agenti a farsi giustizieri sommari del crimine; mentre, al contrario, si tratta di un’oggettiva licenza rilasciata agli agenti per consentirgli di arrotondare il magro stipendio facendo rapine, estorsioni o omicidi su commissione, anche in orario di servizio; cosa che peraltro già avviene, ma sinora il fatto di portare armi private poteva risultare sospetto e rappresentare un indizio a carico, mentre per il futuro si prospetta una totale impunità.
Il DDL propone al pubblico una visione idealizzata delle forze dell’ordine, facendo finta di ignorare che nella società attuale gli agenti di polizia sono centinaia di migliaia. In Italia se ne calcolano più di duecentotrentaquattromila, considerando le tre principali forze; ma il numero probabilmente è sottostimato. La gestione di tanti “tutori dell’ordine”, cioè di tante persone armate che hanno a disposizione illimitate occasioni di delinquere impunemente, rappresenta di per sé un grave problema di ordine pubblico, ma è imperativo far finta di dimenticarselo, sia per la destra, sia per la “sinistra”. Tutto il DDL non fa che ammiccare alle presunte “forze dell’ordine”, facendo loro intendere che gli si aprono infiniti spazi di abuso e impunità. Da un punto di vista strettamente elettorale ciò ha un senso, dato che Fratelli d’Italia pesca gran parte dei suoi voti proprio tra poliziotti e militari. Dal punto di vista istituzionale tutto questo ammiccare e compiacere però si traduce esclusivamente in ulteriore possibilità di corruzione delle varie polizie, senza prospettare alcun progetto repressivo e controrivoluzionario anche lontanamente paragonabile alle Leggi Fascistissime del 1925 e del 1926.
La controrivoluzione presupporrebbe infatti una rivoluzione e infatti il governo fascista di un secolo fa si poneva come argine e alternativa al bolscevismo, pur tenendo all’epoca buoni rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica. L’aspetto più grottesco e pretestuoso dell’attuale DDL Sicurezza è infatti quello ideologico, o per meglio dire, mitologico; poiché ci si richiama ad una sorta di “Belle Époque”, cioè un mondo di borghesi benpensanti, che sarebbe idilliaco e oleografico se non fosse minacciato da masse operaie sobillate da agitatori di piazza; solo che oggi invece che le pistolettate della Banda Bonnot e le bombe di Ravachol, a terrorizzare i benpensanti ci sono le dichiarazioni di Ilaria Salis e i concerti e la cucina pop del Leoncavallo. I giornalisti governativi si incaricano di accreditare la narrativa secondo la quale la conflittualità simulata e solo retorica di un Landini rappresenterebbe un autentico attentato al quieto vivere, al rango sociale ed al benessere del ceto medio. Il canale You Tube di Nicola Porro è un interessante esempio di questo approccio enfatico, che prospetta una regressione schizofrenica ad una sorta di “autunno caldo”, narrato come incessante e perenne dal 1969.
Sennonché le minacce di sovversione sono sfacciatamente immaginarie, infatti nell’ultimo mezzo secolo c’è stata la deindustrializzazione, gli operai sono sempre di meno e i disoccupati/sottoccupati sempre di più; di conseguenza i sindacati perdono ruolo e importanza e, per sopravvivere, si stanno ristrutturando in aziende fornitrici di servizi, persino finanziari. I sindacalisti corrotti ci sono sempre stati ma l’aziendalizzazione cambia i termini della questione: più il sindacato tiene le mani in pasta, più si espone a diventare un mero zimbello mediatico-giudiziario, come dimostra l’ultimo scandalo del patronato di Zurigo; uno scandalo che peraltro è di più di quattro anni fa, ma è stato rinverdito ad hoc per ridimensionare un Landini che già non poteva essere più irrilevante di così. Stranamente i veri nostalgici dell’epopea sindacale degli anni ‘60 e ‘70 sembrerebbero stare a destra, perché ai bei tempi si poteva ancora raccontare la storia dell’argine alla sovversione rossa.
Ciò vale anche per le tempeste in un bicchiere d’acqua scatenate dal ministro dei Trasporti Salvini, che mette in scena i suoi consueti psicodrammi. In tutti i settori, ed in particolare in quello dei trasporti, il personale è costantemente sotto organico, per cui se gli scioperi a volte registrano adesioni è per la necessità di allentare i ritmi di lavoro. Si preferisce rinunciare ad una giornata di stipendio pur di evitare malori e infortuni. A parte il caso dello sciopero in funzione anti-stress, le ore complessive di sciopero risultano in costante diminuzione per l’ovvia ragione che non si intravedono prospettive di aumenti salariali o di miglioramento delle condizioni di lavoro. Anche l’ascensore sociale è un ricordo degli anni ‘60 e ‘70.
La disciplina europeista dei sindacati confederali è la stessa del ministro Giorgetti, e ciò garantisce che non vi saranno vere rivendicazioni salariali, ma soltanto suppliche di riduzione del carico fiscale sul lavoro dipendente da finanziare con un mitico recupero dell’evasione fiscale. Persino in questo caso però la realtà non corrisponde alla narrativa ed al gioco delle parti tra destra e sinistra, poiché il gettito dell’IVA sta già aumentando, pur a fronte di una grave riduzione dei consumi a causa del generale calo dei redditi da lavoro. Per quanto riguarda invece i profitti delle multinazionali, quelli sono protetti dalla libera circolazione dei capitali e dalla possibilità di collocarli in paradisi fiscali.
La regressione schizofrenica degli aedi del governo Meloni è spesso riconfermata nei commenti dei follower, molti dei quali vedono nel presidente argentino Milei un vendicatore degli oppressi che può abolire gli sprechi. Sta di fatto che, al di là del falso mantra della destra anti-tasse, Milei ha tagliato le tasse solo ai più ricchi e ha spostato il peso fiscale sui consumi, cioè sui contribuenti poveri, con l’aumento delle accise sui carburanti; quindi esattamente quello che ha fatto Macron. Milei e Macron sono accomunati dalla sedicente “politica economica”, ovvero nel considerare il contribuente povero come la gallina dalle uova d’oro. Persino il livello di cialtroneria accomuna Milei e Macron, per cui i due differiscono solo nel look. Il trucco sta quindi nel proporre al ceto medio una serie di falsi vendicatori, spacciandogli come nemico lo “spreco”, cioè quel quasi nulla che rimane dello Stato sociale e dell’industria pubblica.
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