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"Politically correct" è l'etichetta sarcastica che la destra americana riserva a coloro che evitano gli eccessi del razzismo verbale. "Politicamente corretto" è diventata la locuzione spregiativa preferita ovunque dalla destra. In un periodo in cui non c'è più differenza pratica tra destra e "sinistra", la destra rivendica almeno la sguaiataggine come proprio tratto distintivo."

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 03/04/2025 @ 00:05:08, in Commentario 2025, linkato 6758 volte)
L’episodio della tiratina di capelli di Romano Prodi alla giornalista, con lo scontato complemento di indignazione a comando, in sé è irrilevante, ma ha l’utilità di dimostrare ancora una volta che le destre, quando fa loro comodo, adottano il politicamente corretto; anzi, ci sguazzano più e meglio delle sedicenti “sinistre”. Chi avrebbe mai pensato che il ministro dell’Istruzione e del “Merito” (?), Giuseppe Valditara, fosse un campione dell’inclusione, un “woke” in incognito? E invece sì, visto che ha decretato lo stanziamento di settecentocinquanta milioni di euro per le scuole parificate, allo scopo di favorire l’inclusione degli studenti. Prima lo stanziamento era di soli settecento milioni, ma per essere sicuro dell’inclusione, Valditara ci ha messo cinquanta milioni in più.
A non essere ancora persuaso della vocazione woke di Valditara, è il pedagogista Dario Ianes, il quale contesta al ministro di aver espresso implicitamente la tesi secondo cui sarebbe stata l’inclusività a far scadere i contenuti della didattica. Il pedagogista Ianes però è in grado di offrirci la vera soluzione al problema, cioè fare corsi di formazione per docenti, in modo da prepararli all’inclusività. Per le orecchie del ministro questa è musica; infatti Valditara non sapeva più quale balla escogitare pur di stanziare soldi per corsi di formazione dei docenti. Ultimamente Valditara s’era inventato persino un corso per preparare gli insegnanti ai rischi dell’intelligenza artificiale. Se non fosse arrivato Ianes a fornirgli un assist a così alta carica valoriale, magari Valditara si sarebbe fatto sgamare ricorrendo a qualche pretesto ancora più demenziale.
Certo, questo continuo screditare e delegittimare gli insegnanti, questo umiliarli davanti alla pubblica opinione in quanto inadeguati cronici ed eternamente immaturi, quindi bisognosi di formazione, finisce per renderli zimbelli agli occhi di studenti e genitori. Il livello degli insegnanti non è mai stato granché (e sarebbe irriguardoso il contrario, visto l’infimo livello mentale dei ministri dell’Istruzione), eppure la didattica funzionava lo stesso, mentre invece ufficializzare lo sputtanamento dei docenti destabilizza la Scuola e impedisce qualsiasi collaborazione, poiché l’unica priorità diventa la sopravvivenza personale. La debacle didattica risulta comunque utile e preziosa come alibi del business degli appalti ad aziende private per la formazione (quindi a distribuire soldi pubblici agli amici degli amici); perciò ben venga il caos.

Valditara e Ianes sembrano su sponde valoriali opposte, ma alla fine non variano sul dato essenziale, cioè il business della formazione degli insegnanti, in nome dell’emergenza causata dall’incompetenza della classe docente. Sarebbe interessante vedere se questo schema emergenziale-affaristico non si stia riproponendo anche in altri contesti. Per il prossimo 5 aprile Giuseppe Conte ci chiama alla mobilitazione contro il piano di riarmo europeo da ottocento miliardi imposto da Ursula von der Leyen. Conte è fatto bersaglio di commenti astiosi e pieni di contraddizioni, per cui da un lato lo si ridicolizza e lo si presenta come ininfluente, dall’altro lato lo si accredita come un pericolo micidiale per la sicurezza dell’Europa. Conte trova invece simpatia in chi apprezza il suo richiamo al “welfare” della sanità e dell’istruzione come vero valore europeo da difendere nei confronti del “warfare” delle armi. Sembrerebbe tutto bello, ma sorge qualche dubbio. Cosa intende Conte per welfare? Forse spendere per emergenze pandemiche e sieri vari spacciati da vaccini? Oppure in corsi di formazione per docenti in modo da prepararli alle misure anti-contagio? Il problema è che la parola “welfare” non è più rassicurante come una volta, dato che il suprematismo “occidentale” (versione politicamente corretta del suprematismo bianco) può essere declinato in molti modi.
La questione non è pretestuosa, se si considera che la von der Leyen è assurta ai fasti del divismo e dell’onnipotenza proprio grazie all’umile avvocaticchio di Foggia. Da Presidente del Consiglio Conte ha avviato l’emergenza Covid in Europa. La von der Leyen ha acquisito il suo strapotere personale grazie alla sua “poco trasparente” gestione dell’acquisto dei sieri salvifici; inoltre ha potuto gestire per la prima volta un debito comune europeo, il Recovery Fund, alias Next Generation EU. Manco a dirlo, è stato proprio Conte ad ottenere un debito comune europeo, un risultato che prima del bistrattato avvocaticchio sembrava impossibile. Negli anni precedenti all’emergenza Covid nessun presidente di Commissione Europea aveva gestito tanti soldi e tanto potere. Il predecessore della von der Leyen, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, era diventato un personaggio noto solo grazie al fatto di presentarsi in pubblico ubriaco fradicio; per il resto il suo protagonismo doveva limitarsi a fare il micragnoso sugli zero-virgola dei bilanci statali.
Nella disputa valoriale tra pacifinti e bellicifinti si riscontrano delle invarianze, come appunto l’emergenzialismo, col suo corollario di gestione cleptocratica della spesa e dell’indebitamento. Se non ci fosse l’emergenza della guerra contro Putin nel 2030 (mi raccomando Vladimir, sii puntuale), ora magari la von der Leyen starebbe lanciando il debito da ottocento miliardi per combattere qualche altra psicopandemia e comprare altri pseudo-vaccini.
La questione non riguarda la persona di Conte ed un eventuale processetto di Norimberga nei suoi confronti, bensì di superare il livello della fintocrazia, cioè quel gioco delle parti per cui ci si appunta sull’ultimo anello della catena, senza aver chiaro quel percorso emergenzialista che ci ha condotti dritti dalla mascherina all’elmetto. L’emergenzialismo è una forma di schizofrenia sociale che annulla la distinzione tra realtà e simulazione. Per alcuni questo stato di euforia è l’occasione per fare affari e muovere soldi scavalcando controlli e procedure legali; per altri invece l’emergenzialismo apre uno spazio ludo-pedagogico nel quale riplasmare l’umanità castigando i reprobi. Nell’uno e nell’altro caso, il tratto distintivo dell’emergenzialismo è un’intrinseca cialtroneria. Sono infatti le loro priorità a smascherare la loro inattendibilità; se un Saverio Tommasi o una Selvaggia Lucarelli fossero stati animati da una salda convinzione nell’esistenza del pericolo pandemico e nel potere salvifico dei sieri, la loro priorità non sarebbe stata quella di sbertucciare gli scalcagnati no-vax, bensì di chiedere conto alle autorità del fatto di non aver sospeso i brevetti dei sieri e di non aver commissariato la produzione farmaceutica. Allo stesso modo dimostra di essere un “bellicifinto” chi ha come priorità lo sparlare dei “pacifinti”. Un governo veramente intenzionato a condurre una guerra non si limiterebbe a “comprare armi”, ma si preoccuperebbe di controllare la produzione bellica ed energetica. Calenda e la Meloni dimostrano di essere dei fantocci della fintocrazia nel momento in cui, invece di nazionalizzare Leonardo ed ENI, stanno lì a battibeccare con Conte, il quale fa solo il suo roleplay, esattamente come la Meloni, quando questa conduceva una “opposizione” di facciata contro il lockdown ed il green pass.
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Di comidad (del 10/04/2025 @ 00:05:16, in Commentario 2025, linkato 6093 volte)
Trump ha sempre rivendicato con orgoglio di essere un lacchè di Israele già da molto prima di entrare in politica, dai tempi in cui giocava ancora con le figurine. Nel 2016 Trump testimoniò questa sua antica fedeltà sionista davanti alla platea dei lobbisti dell’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) e si conquistò il loro plauso attaccando l’allora presidente Obama per aver siglato un accordo con l’Iran sul nucleare. Gli insulti di Trump a Obama furono talmente violenti da costringere la dirigenza dell’AIPAC a prenderne le distanze, dato che proprio Obama in quello stesso periodo stava inviando in Israele finanziamenti per trentotto miliardi di dollari, al solito scopo di difenderlo dalle “minacce”. Minacce decisamente redditizie; infatti c’è una lobby che paga i politici di uno Stato affinché spremano il loro contribuente per inviare finanziamenti ad uno Stato straniero. Magari una parte di quei soldi spediti all’estero viene riutilizzata dalla lobby per finanziare nuovamente i politici, in modo da convincerli ad inviare altro denaro pubblico allo Stato straniero; e così via, all’infinito. Una mente ristretta definirebbe tutto ciò come peculato, frode e riciclaggio, mentre una mente illuminata lo chiama “civiltà occidentale”.
La fedeltà sionista (espressa nei termini più scurrili e senza le ipocrisie dei democratici) rappresenta l’unica questione nella quale Trump non è risultato mai ondivago ed è rimasto costantemente fedele alla linea. L’attuale amministrazione Trump infatti consegna la politica estera americana a sionisti di sicura fede e di pieno gradimento dell’AIPAC: Pete Hegseth a dirigere il dipartimento della Difesa, Mike Waltz a consigliere della sicurezza nazionale; ed alla direzione della CIA la ex democratica Tulsi Gabbard, la quale una volta si rendeva popolare dichiarando di opporsi alle avventure belliche.
La nuova direttrice della CIA ha invece costruito la sua “credibilità” in questi ultimi tempi parlando del pericolo che Hamas rappresenterebbe per gli USA, ed inoltre ha affermato di considerare le proteste universitarie contro il genocidio a Gaza come un sostegno ad Hamas. Questa posizione si è dimostrata in linea con quella dell’amministrazione Trump, che ha sospeso i finanziamenti alla Columbia University, costringendo il rettore non solo ad impedire le manifestazioni studentesche pro Palestina, ma anche a controllare i contenuti didattici sulla storia del Medio Oriente inserendo personale fedele a Israele. Secondo alcuni Israele non è uno Stato perché mancano le fondamentali premesse giuridiche per definirlo come tale, cioè la forma istituzionale (repubblica o monarchia) e la dichiarazione dei propri confini. Se non è uno Stato, in compenso Israele è uno status, una condizione di superiorità antropologica; infatti negli USA, ed anche in Germania, è proibito criticarlo. Ciò dimostra che lo Stato è solo un’astrazione giuridica, mentre ciò che conta è lo status. Elon Musk, che è attualmente uno dei PR dell’amministrazione Trump, ha fatto un’apparizione telematica al congresso della Lega dichiarando tra l’altro che i “cattivi” si riconoscono proprio dal fatto che sono contro la libertà di parola. Appunto, se lo dice lui.

L’AIPAC è la parte sostanziosa del trumpismo, poi c’è la parte fumogena, la costruzione di un’immagine di bullo per avvolgere nell’epica e nel mito la squallida condizione del lacchè dell’AIPAC. Sarebbe un errore ritenere che dietro certe pantomime vi siano lucidi disegni di mistificazione; in realtà la mistificazione è una relazione sociale che può comportare ostilità autentiche e irriducibili, per quanto vuote di concrete alternative. Non si potrebbe stabilire chi sia più sionista tra un Roberto Saviano ed un Daniele Capezzone, eppure militano su sponde ideologiche che si sentono opposte, recitando la loro parte con quell’eccesso di immedesimazione che, come diceva Diderot, è tipico dei pessimi attori. In questo senso i sionisti fanatici alla Fiamma Nirenstein (consulente speciale del governo israeliano per la lotta all’antisemitismo) hanno una tale idiosincrasia per le ipocrisie del politicamente corretto da offendersi a morte quando Biden fingeva di prendere in considerazione l’ipotesi dei “due popoli, due Stati”, oppure di dispiacersi per la sorte dei bambini di Gaza. Il sionismo fanatico ha talmente preso alla lettera le ipocrite formule “liberal” da porre le condizioni per quella scomposta reazione ideologica in cui è nato il fenomeno Trump. Il paradosso di uno come Trump è che veramente si è bevuto la propaganda dei democratici ed ora si è convinto che i guai degli americani derivino dall’essere stati “troppo buoni”, dall’aver pensato prima agli altri invece che ai propri interessi, e gli altri ne avrebbero approfittato. In tal modo il bullismo è diventato epica del riscatto e della “liberazione” dai truffatori e parassiti. Si tratta di un caso da manuale di auto-intossicazione con la propria stessa propaganda.
Come è noto, l’ultima manifestazione di bullismo di Trump ha riguardato i dazi, da lui definiti appunto come “liberazione”. Secondo alcuni, almeno sui dazi Trump si sarebbe dimostrato “coerente”, poiché ne parla da decenni. In realtà Trump un giorno dichiara che i dazi sono i pilastri di una stabile strategia protezionista, e poi il giorno dopo dice che sono solo uno strumento negoziale ed è pronto a ritirarli; quindi c’è coerenza, ma solo nel senso della costante confusione; tra l’altro i dazi sono tasse e quindi, secondo la Costituzione americana, potrebbero essere imposti solo previa approvazione del Congresso. Ma delle Costituzioni chi se ne frega. La caoticità delle imposizioni tariffarie sulle merci importate non fa neppure intravedere alcun piano di protezione dell’industria statunitense; semmai il contrario, dato che i sistemi produttivi dei vari paesi sono interconnessi. Vari commentatori hanno cercato perciò di trovare nei dazi una “ratio” puramente finanziaria, partendo dall’ipotesi che questo sia uno shock utile ad ammorbidire le controparti e ad indurle a certe concessioni. La prima concessione dovrebbe riguardare il cosiddetto “accordo di Mar a Lago” (dal nome del resort di proprietà di Trump). Secondo Bloomberg si tratterebbe di imporre ai possessori esteri di titoli del debito statunitense dei nuovi “bond” del Tesoro a scadenza centennale a compensazione della rinuncia a pretendere il rimborso dei titoli attuali. Ammesso che gli investitori esteri siano disposti ad aspettare cento anni, il problema è che solo poco più di un terzo del debito USA è in mani straniere, quindi un eventuale accordo del genere non sarebbe decisivo per ovviare alla portata stratosferica del debito stesso e degli interessi da pagare.
Secondo altri commentatori lo scopo del piano dazi sarebbe di costringere i vari Stati ad aprirsi ai fornitori americani di servizi finanziari, in modo da potere accedere alla gestione del risparmio delle famiglie, che specialmente in Europa è abbastanza sostenuto, anche se non più come negli anni ’80 e ’90. Anche in questo caso la spiegazione appare un po’ faticosa, dato che non c’era bisogno di alcuno shock per riottenere ciò che già è nella propria disponibilità. Attualmente Blackrock è il maggiore azionista di UniCredit, che a sua volta sta tentando la scalata alla tedesca Commerzbank. Dopo il via libera della BCE alla fusione, l’ultima parola spetterebbe al prossimo cancelliere tedesco Merz, che proviene da Blackrock. Se la Commissione Europea non fosse interamente immersa nel gioco di ruolo, penserebbe a reagire ai dazi di Trump proprio sanzionando Blackrock.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


25/04/2025 @ 15:15:19
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