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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Giorgia Meloni si è giustamente risentita per l’epiteto di “cortigiana di Trump”, dato che il termine “cortigiana” in passato era spesso usato come eufemismo per non dire esplicitamente “prostituta”. In realtà la prostituzione implica uno scambio ed un pagamento (o, se si preferisce un termine spregiativo, un mercimonio), mentre la Meloni fa la cheerleader per Trump a titolo puramente gratuito; forse nella speranza che entrare nel giro degli adulatori del pagliaccio di turno sul palcoscenico della Casa Bianca le consenta di brillare di luce riflessa. Il problema è che, nella vicenda del fasullo accordo di pace a Gaza, lo stesso Trump ha parassitato un’operazione di pubbliche relazioni promossa da Erdogan. Il presidente turco doveva far dimenticare la figuraccia rimediata qualche settimana prima, a causa dell’accordo militare tra Arabia Saudita e Pakistan, il cui messaggio sottostante era appunto che la Turchia non è una potenza in grado di tenere a bada Israele. Queste operazioni di pubbliche relazioni hanno ovviamente il fiato cortissimo, infatti Netanyahu ha già ricominciato a bombardare ed affamare la popolazione di Gaza. Nessun osservatore realista aveva preso sul serio la “pace di Trump”, ma molti ritenevano che, prima di riprendere il genocidio, Netanyahu avrebbe concesso a Trump almeno una quindicina di giorni per pavoneggiarsi ed allestire una nuova distrazione per i media (come la prossima messinscena a Budapest), in modo da rimettere Gaza in secondo piano. Si constata invece che Trump non è rispettato nemmeno come clown.
Il punto è che attualmente le varie “leadership” rientrano un po’ tutte nel novero delle pubbliche relazioni, cioè si tratta di fintocrazie che rappresentano l’epifenomeno di un processo generale che andrebbe comunque avanti per puro automatismo; con il “pilota automatico”, come diceva Draghi. Una fase politica non si valuta in base alle differenze di facciata tra i cosiddetti “leader”; e nemmeno sulle differenze esteriori tra i presunti “leader” e le rispettive “opposizioni”, o sedicenti tali. Secondo la narrativa mediatica la Meloni e Macron si detestano; ma si tratta di un dettaglio che, persino se fosse vero, sarebbe irrilevante. I due fanno infatti la stessa politica economica, di marca UE/FMI, cioè il trasferimento del carico fiscale dall’imposizione diretta a quella indiretta, tramite l’aumento dell’IVA e delle accise.
Spostare la tassazione dal reddito ai consumi significa gravare maggiormente sul contribuente povero, quello che non ha la possibilità di scaricare le maggiori spese su qualcun altro. Ma il trasferimento di reddito dai poveri ai ricchi segue anche la strada dei sussidi governativi. Un articolo di “Le Monde” di qualche tempo fa, ripreso di recente anche da altre testate, osservava che, con l’arrivo di Macron alla presidenza, le imprese francesi avevano visto aumentare a dismisura i sussidi governativi, peraltro già cospicui anche con le amministrazioni precedenti. Da un lato ovunque si taglia il welfare per la popolazione, mentre dall’altro lato si rimpingua il welfare per le imprese; ed è appunto il welfare ad uso dei ricchi che sta mandando in rovina il bilancio dello Stato, e tutto ciò senza neppure chiedere alle imprese delle precise contropartite per tutti questi aiuti. L’articolo di “Le Monde” si chiedeva che fine abbiano fatto il liberismo ed il neoliberismo; magari un’anima pietosa prima o poi rivelerà ai redattori di “Le Monde” che il liberismo è come Babbo Natale, cioè non esiste e non è mai esistito.
In Italia il welfare a favore delle imprese si precostituisce qualche alibi, infatti la manovra finanziaria della Meloni e di Giorgetti per il prossimo anno stanzia quattro miliardi di aiuti alle imprese motivandoli con l’incentivo all’innovazione tecnologica ed alla transizione ecologica. Si può certamente fare del sarcasmo sul governo guidato da una “sovranista” che fa sconti fiscali alle banche camuffandoli da anticipi fiscali, e lascia inoltre che le banche italiane siano sempre più controllate da fondi di investimento statunitensi. D’altra parte la Meloni appare consapevole della sua esclusiva funzione di intrattenimento e di dovere il suo peso mediatico al salotto di Bruno Vespa, il quale è certamente più importante di lei. Si vede invece che Trump non è altrettanto lucido e non ha ancora capito di essere solo il personaggio di uno spot pubblicitario.
Gli slogan e i testimonial dell’assistenzialismo per ricchi possono cambiare, ma non cambia la merce venduta. Tra le operazioni di pubbliche relazioni, quella messa in atto dagli spin doctor che imbeccano Trump è certamente una delle più brillanti, in quanto è riuscita a convincere gran parte della pubblica opinione americana che l’aumento delle tasse sui consumi, operato attraverso i dazi, comporterà un ritorno dell’industria negli USA. In realtà i dazi sono tasse sui consumi tout court e servono a compensare gli sgravi fiscali a favore delle imprese, che pagano sempre meno tasse. Gran parte del dibattito sui dazi si è concentrato sulla questione se avrebbero creato inflazione o meno (cosa che può dipendere da tanti fattori), facendo perdere di vista il dato certo, cioè la spremitura del contribuente povero. Oggi il Tesoro USA può esibire i 350 miliardi di dollari di gettito derivato dai dazi, senza però precisare che sono soldi dei consumatori americani.
La detassazione dei profitti d’impresa non sostituisce affatto i sussidi alle imprese; anzi, i due benefici si sommano. Anche negli USA l’assistenzialismo del governo federale e dei singoli Stati a favore delle multinazionali avviene senza ricevere vere contropartite in termini di lavoro e sviluppo. Uno studio dell’Università di Yale rilevava che le aziende beneficiate dai sussidi pubblici non rispettano nemmeno le leggi a protezione del lavoro. Tra le multinazionali che si distinguono per la quantità di sussidi ricevuti e per il maltrattamento dei lavoratori, c’è la Boeing; la stessa multinazionale che produce le bombe che l’IDF lancia su Gaza.
Ringraziamo Mario C. Passatempo
Mai sottovalutare le riscoperte dell’acqua calda. La prima ovvietà da considerare è l’assurdo di un premio Nobel per la pace assegnato da un organo politico di un paese che fa parte di un’alleanza militare. La Norvegia è un membro della NATO e ne persegue la politica “occidentalista” (eufemismo di suprematismo bianco) anche attraverso le pubbliche relazioni, nel cui ambito c’è da annoverare appunto il premio Nobel. Il premio è stato negato a Trump, ma non per voler fargli torto, bensì per istigarlo a proseguire sulla strada dell’aggressione economica e militare al Venezuela. Magari a qualcuno del Pentagono potrebbe sorgere il timore che gli USA si stiano sovraesponendo sul piano militare; meno male che arrivano gli europei a presentare il regime di Maduro come una minaccia intollerabile alla sopravvivenza dell’umanità. La signora insignita del Nobel, Maria Corina Machado, peraltro è entusiasta di Trump e ne appoggia gli obbiettivi e i metodi, quindi le stanno bene le sanzioni, i tentativi di colpo di Stato e di decapitazione del regime; e persino l’attività di calunniatore e assassino nei confronti di persone che navigano su piccole imbarcazioni a grande distanza dalle coste del Venezuela.
Era prevedibile e scontato anche il plauso di Roberto Saviano per il riconoscimento assegnato ad una delle principali esponenti della cosiddetta “opposizione” (un altro eufemismo che sta per golpismo) al regime di Maduro, il quale sarebbe corruzione mascherata da socialismo. Magari un giorno Saviano ci rivelerà quale sia a questo mondo il regime non corrotto. Più realisticamente occorrerebbe dire che ci sono regimi della cui corruzione è lecito e conveniente parlare, e regimi della cui corruzione non è il caso di parlare troppo se non vuoi guai, visto che sono quelli che comandano dalle nostre parti.
Il problema infatti è che Maria Corina Machado non ce l’ha con la “corruzione”, bensì col socialismo in quanto tale, ritenuto responsabile della povertà, perché renderebbe i poveri sempre più dipendenti dall’assistenzialismo. L’ulteriore scoperta dell’acqua calda è che la signora Machado, nonostante abbia un look più fine e non dica parolacce in pubblico, è comunque un clone di Javier Milei; anche la Machado è un ennesimo campione di un presunto “liberismo” che dovrebbe liberare la società dalle catene della burocrazia statale e dagli sprechi. L’icona di riferimento, manco a dirlo, è la solita Margaret Thatcher. Visto che i media hanno conferito alla Thatcher il titolo di “lady di ferro”, per la Machado si è confezionato l’appellativo di “signora d’acciaio”. Tutto secondo il copione inaugurato alla fine degli anni ’70 e mai modificato.
Uno dei leit motiv dei conservatori britannici e americani è appunto che la povertà sia colpa del socialismo; il che può essere anche vero, ma tutto sta a capire di quale socialismo si tratta, se di quello per poveri o di quello per ricchi. Il sedicente “liberismo” è una categoria meramente narrativa e mitologica, una specie di autocelebrazione dei ricchi, che pretenderebbero di emergere da una darwiniana sopravvivenza del più forte. La stessa nozione di capitalismo è poco significativa, poiché si riduce al principio giuridico secondo il quale si stabilisce il potere in un’impresa in base alle quote di capitale investito; il che non ci dice praticamente nulla su come l’economia effettivamente funziona. Ciò che ha fatto la Thatcher, cioè trasferire il carico fiscale dalle imposte dirette sulle imprese alle imposte indirette sui consumi, si chiama tecnicamente assistenzialismo per ricchi. Se si aumentano le accise sui carburanti alla fine sono i poveri che pagano, cioè quelli che non hanno modo di scaricare gli aumenti su altri. Questo spostamento del carico fiscale dai ricchi ai poveri risulta appunto dai documenti di bilancio reperibili sul sito della Fondazione Thatcher. Ancora adesso ci sono in giro facce di bronzo che dicono che la Thatcher avrebbe diminuito le tasse. Il programma della Thatcher si è risolto invece nel togliere ambiguità interclassista al termine “contribuente”, che ora si identifica col contribuente povero.
Milei ha fatto lo stesso, infatti il suo governo si è presentato con una raffica di aumenti delle accise sui carburanti. Tanto per cambiare, anche quest’anno in Argentina c’è stato un ulteriore aumento delle accise e inoltre Milei stabilisce già la data per un altro aumento. Quale sarebbe il risultato di tutta questa spremitura del contribuente argentino a favore delle imprese ? Il risultato è che oggi a salvare il governo Milei dai debiti con banche e fondi d’investimento e dal crollo della moneta, arrivano i miliardi che Trump ha prelevato dal contribuente americano. Se Trump riuscirà a rovesciare il regime di Maduro, con tutta probabilità il contribuente americano sarà costretto a ripagare i debiti di un altro paese fallito. Per spostare il carico fiscale dai profitti delle imprese ai consumi, Trump ha fatto ricorso al trucco dei dazi (che sono appunto tasse sui consumi), così può raccontare al suo elettorato che lo fa per riportare l’industria negli USA. Per le multinazionali del credito e la loro super-lobby (il Fondo Monetario Internazionale) va benissimo così, dato che hanno trovato nel contribuente povero la gallina dalle uova d’oro. Alla fine risulta verissimo che l’assistenzialismo rende sempre più dipendenti dall’elemosina; soltanto che si deve precisare che si sta parlando dell’unico assistenzialismo che fa sistema, cioè quello per ricchi; e che sono i poveri a versare l’elemosina ai ricchi.
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