Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Dopo una lunga malattia, all'età di 75 anni, è morto (20/11/2025) il compagno Peppe Tassone. Giovanissimo si era trasferito a Parigi per sottrarsi al servizio militare. Lì era entrato in contatto con i compagni spagnoli della C.N.T. in esilio e con quelli dell’O.R.A. (Organisation Révolutionnaire Anarchiste), nella storica sede di rue des Vignoles 33.
Con questi compagni aveva condiviso l’entusiasmo libertario che aveva fatto seguito alle rivolte del 1968.
Tornato a Napoli nei primi anni ‘70, era stato tra i fondatori e tra i principali animatori del gruppo comunista-anarchico Kronštadt. Il nome del gruppo fu scelto su sua proposta, come richiamo ad un episodio storico di critica delle degenerazioni dispotiche e burocratiche del bolscevismo, ma da radici e motivazioni classiste, senza cedimenti alle mistificazioni del liberalismo. Peppe contribuì infatti ad imprimere al gruppo un orientamento decisamente classista, ma fu anche capace di tenere insieme le spinte più movimentiste con quelle anarco-sindacaliste. Insieme con altri, Peppe cercò anche di recepire le istanze operaiste e organizzative del piattaformismo anarchico rimanendo nella tradizione malatestiana. Nel giro di pochi anni, il gruppo Kronštadt, che aderiva alla F.A.I., divenne un punto di riferimento per l’anarchismo napoletano, sia per la consistenza numerica, sia per il rilievo politico. Per questi motivi la collaborazione con il Kronštadt era cercata anche da gruppi della sinistra rivoluzionaria di estrazione ideologica radicalmente diversa.
La sua militanza in Francia permise ai compagni del gruppo di confrontarsi con esperienze anarchiche di più ampio respiro, ma anche con realtà operaie locali con cui Peppe aveva stretto rapporti di fiducia (Mecfond, Olivetti, Enel). Peppe non trovava alcuna difficoltà a farsi ascoltare da tutti; anzi, i suoi interventi erano sempre richiesti e seguiti con attenzione, tanto che era lo stesso Peppe a stroncare con fulminanti cenni di ironia e autoironia ogni rischio di creare sudditanza psicologica. Il suo caustico umorismo era infatti diventato leggendario. Lo stesso umorismo con cui ha affrontato coraggiosamente la malattia e la sofferenza.
Alla Biblioteca Nazionale di Napoli, esiste un
fondo Giuseppe Tassone che conserva alcuni documenti relativi a quegli anni.
Su You Tube c’è una sua intervista rilasciata ad Enrico Voccia.
A lui va il nostro ricordo affettuoso.
COMIDAD
I governi e i media europei fanno sfacciatamente il tifo per
l’intervento militare statunitense in Venezuela; non a caso un po’ alla volta tutti i paesi europei stanno scoprendo di avere qualche cittadino ingiustamente detenuto dal regime di Maduro. Forse però l’attesa sarà delusa. Quello che dice Trump ovviamente lascia il tempo che trova, visto che può cambiare idea di lì a cinque minuti; quindi va presa con le molle la sua dichiarazione circa la possibilità di aprire un dialogo col regime venezuelano.
L’apertura diplomatica potrebbe preludere ad un attacco proditorio, com'è avvenuto contro l’Iran; oppure potrebbe trattarsi di un tentativo di prendere le distanze dal segretario di Stato Marco Rubio, che è il vero regista di questo attacco al Venezuela, ed è inoltre un “neocon” (come a dire: un jihadista del liberalismo), perciò molto inviso alla base popolare di Trump.
Il segretario di Stato è stato ribattezzato Narco Rubio, a causa di suo cognato, Orlando Cicilia, noto trafficante di droga; perciò le accuse di narcotraffico lanciate adesso a Maduro sembrano la storia del bue che dice cornuto all’asino.
Ci sono però altri aspetti che stanno ad indicare un’offensiva di pubbliche relazioni da parte di Trump, nel tentativo di recuperare credito nei confronti dell’opinione pubblica che prima lo sosteneva, e adesso lo sostiene sempre meno. Tra le ultime dichiarazioni di Trump ce n’è infatti anche una che sembrerebbe indicare
un cambiamento di posizione sulla pubblicazione dei fascicoli del caso Epstein, finora tenuti riservati, poiché pare coinvolgano non soltanto vari personaggi di spicco, ma anche i servizi segreti israeliani. Ovviamente si tratta di ipotesi, ma è proprio il fatto di tenere i documenti ancora celati che accresce i sospetti.
Un altro tassello di questa operazione di pubbliche relazioni da parte di Trump è l’aver difeso il giornalista Tucker Carlson, accusato di aver intervistato un attivista di destra, Nick Fuentes, indicato dai media come antisemita. Fuentes è un ex sostenitore di Trump, ed ha ritirato il suo appoggio motivando la scelta con l’atteggiamento ancillare che l’amministrazione Trump tiene nei confronti di Israele. In questi giorni l’amministrazione Trump sta anche sostenendo Israele nei nuovi tentativi di aggressione al Libano. Insomma, un “Israel first”, invece che “America first”. come aveva promesso Trump.
L’attuale presidente aveva anche promesso di abbandonare le avventure militari all’estero e di concentrarsi sulla salute economica interna; cosa che ovviamente non ha fatto. Per Trump difendere, anche se indirettamente, un personaggio come Fuentes ha una doppia valenza in termini di pubbliche relazioni; sia perchè Fuentes riscuote gradimento nel potenziale elettorato di Trump; sia perché conviene che la nicchia comunicativa di critica dell’imperialismo venga occupata dalla destra nazionalista e ostile all’internazionalismo liberale, o globalismo che dir si voglia. In realtà dai tempi dei Gracchi sappiamo che l’imperialismo è una fase (“fase” non solo in senso temporale) della lotta di classe dei ricchi contro i poveri, cioè soprattutto uno strumento che le oligarchie possono usare per concentrare la ricchezza nelle proprie mani. Ciò che Eisenhower chiamava “complesso militare-industriale” (alcuni dicono però che la dizione originale fosse “complesso militare-industriale-congressuale”, successivamente censurata) può trovare una definizione meno eufemistica nell’espressione “cleptocrazia imperialista”.
Negli USA uno dei principali collettori di denaro pubblico verso le corporation è appunto la spesa militare, che Trump ha ancora aumentato, portandola ad oltre mille miliardi l’anno. Che si tratti di un militarismo a base cleptocratica è dimostrato dal fatto che oggi gli USA si trovano in ritardo in molti settori (ad esempio, la missilistica ipersonica) rispetto a potenze che spendono meno in armamenti.
Lo stesso “Israel first” in definitiva si rivela un “money first”, una partita di giro per cui i parlamentari americani votano leggi per finanziare Israele con denaro pubblico; poi una gran parte di quei soldi torna ai parlamentari americani in forma di “contributi elettorali” da parte dell’AIPAC e di altre ONG legate a Israele; e questa è solo la parte “legale” e ufficiale della ruberia, perciò figuriamoci cosa avviene dietro le quinte, quando i congressmen e i senatori americani si recano in Israele nei viaggi organizzati e spesati dall’AIPAC. Altro che vitalizi; negli USA la politica è un mezzo efficace e sicuro per diventare ricchi.
Per trovare i soldi a Trump non bastava tassare i poveri attraverso quelle tasse sui consumi che sono i dazi; ci voleva anche il taglio di quel po’ di assistenza ai più indigenti che ancora rimaneva, perciò persino i buoni pasto già stanziati vengono aboliti. L’imperialismo più che una guerra tra nazioni, è una guerra di classe.