Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I media si sono soffermati un po’ troppo sulla frase di Guido Crosetto secondo cui la NATO, così com’è, non avrebbe più ragione di esistere. La dichiarazione più significativa del ministro della Difesa era invece un’altra, e cioè che, comunque, la NATO se la voleva tenere stretta. Il motivo dell’affettuoso abbraccio di Crosetto (consulente di Leonardo SpA) nei confronti della NATO è facilmente spiegabile, se si considera che nello stabilimento Leonardo di Cameri in Piemonte vengono assemblati i caccia F-35 della Lockheed Martin. Il business del caccia più costoso di tutti i tempi si è rivelato talmente lucroso per Leonardo che il governo tedesco ha deciso di non acquistare i caccia prodotti nello stabilimento di Cameri e di costruirne uno proprio per assemblare gli F-35.
Il business della “difesa” è una partita di giro nella quale la lobby delle armi occupa i governi, i quali a loro volta drenano il denaro pubblico verso la lobby delle armi. Ovviamente tutto ciò va benissimo per le cosche di affari, ma non ha niente a che vedere con la “sicurezza”; anzi, è molto più probabile che un’alleanza tra trentadue paesi diversi finisca per comportarsi come una baby gang dominata non solo dal bullo più violento del gruppo, ma anche dalla cerchia di adulatori che manipola il bullo. Il fallimento dei blocchi militari come la NATO in termini di sicurezza è il punto di partenza della nota dottrina, enunciata da Xi Jinping, della cosiddetta “sicurezza indivisibile”. Tutto il discorso è molto bello, molto confuciano: se cerco la mia sicurezza a scapito di quella degli altri, è inevitabile che ciò mi ritorni indietro come aumentata insicurezza. Il problema è che il ragionamento di Xi Jinping parte da una premessa sbagliata, e cioè che il movente degli USA, dell’Unione Europea e della NATO sia la sicurezza. In realtà il loro movente è la destabilizzazione.
L’equilibrio e l’armonia sono cose stupende, ma dalle nostre parti questa musica celeste non funziona, visto che sono lo squilibrio e la destabilizzazione a portare affari alla lobby delle armi. Tra l’altro nel Sacro Occidente “armi” e “industria” tendono a diventare sinonimi, cioè scompaiono le imprese che producono beni destinati al consumo. C’è anche qualche caso intermedio, come la multinazionale Beretta SpA, presente sia nel settore della Difesa con prodotti ad alto valore aggiunto, sia nel settore delle armi “sportive” o per la difesa personale, un mercato su cui gran parte della piccola e media impresa italiana ha poggiato la sua speranza di sopravvivenza ai processi di deindustrializzazione.
Uno degli ultimi residui del passato industriale pacioccone dell’Italietta, la Candy, è stato definitivamente sepolto, ed il suo stabilimento storico diventerà un hub per prodotti cinesi. Anche la Cina produce e vende armi, ma non produce solo armi e continua a puntare sui beni di largo consumo.
Ai bei tempi degli anni ’70 si sarebbe detto che visto che in Occidente la “struttura” si identifica ormai con la sola produzione di armi, è inevitabile che la “sovrastruttura” si adegui; cioè che il lobbying degli affari della Difesa diventi anche l’ideologia dominante e l’unica politica ammissibile. Oggi Leonardo SpA può pubblicamente rivendicare sul suo sito internet di essere l’azienda italiana a più alto valore aggiunto, ma non prende atto delle conseguenze strutturali e sovrastrutturali di un tale dato di fatto.
Gran parte delle oligarchie extra occidentali si illude ancora di poter rabbonire gli USA e l’Europa con il linguaggio degli affari. Ma il problema è che oggi per gli USA e per l’Europa il principale affare è la cosiddetta Difesa, cioè coltivare finte minacce alla propria sicurezza. La conseguenza del predominio del lobbying delle armi è non soltanto che gli slogan sionisti e neocon invadono i media e la politica, ma soprattutto il fatto che un paese strutturalmente fragile e insignificante come Israele diventa il principale narratore ufficiale in tema di presunte minacce al Sacro Occidente, e diventa inoltre un attore della politica globale, persino al di fuori dello scenario strettamente regionale. Israele ha una collaborazione militare con l’Azerbaigian ed ha attaccato l’Iran, quindi minaccia direttamente i confini russi. Ma neppure la lontana Cina sfugge alla minaccia sionista.
La rivista “Modern Diplomacy” ci fa sapere che Israele, una volta eliminato l’Iran, ha in programma di colpire anche il programma nucleare del Pakistan, un paese direttamente confinante con la Cina e storico cliente di Pechino. Visto che Israele avrebbe qualche difficoltà logistica a bombardare Islamabad, allora la base operativa per l’attacco al Pakistan dovrebbe essere l’India. Il presidente indiano Modi è avvisato: l’epoca delle cicliche e rituali scaramucce di confine tra India e Pakistan per testare i rispettivi sistemi d’arma, è finita. Ora i sionisti e i neocon pretendono che Modi cominci a fare sul serio, sebbene nell’ultima scaramuccia i sistemi d’arma indiani non abbiano fornito una grande prova.
Qualcuno potrà osservare, del tutto a ragione, che la rivista “Modern Diplomacy” è un covo di mentecatti; non per niente ha come vate e ispiratore Zbigniew Brzezinski. Il problema è che i mentecatti funzionano benissimo per lo scopo di vendere armi. In un articolo di due anni fa “Modern Diplomacy” diceva che il grande “stratega” polacco-americano ci aveva messo in guardia contro i russi, i quali sono talmente ottusi, paranoici e retrogradi da rifiutare di sottomettersi al paese vincitore della guerra fredda. Insomma, non è che si siano valutati male i rapporti di forza, semmai sono i russi, i cinesi, gli iraniani, i pakistani ad essere fatti male; l’importante è che le guerre, ed i relativi affari, continuino.
La dichiarazione del cancelliere tedesco a proposito di Israele che farebbe il lavoro sporco per noi, ha suscitato alternativamente approvazione o indignazione; in entrambi i casi per lo stesso motivo, cioè il fatto che Merz abbia affermato la necessità della violenza più estrema. Una violenza che viene poi voyeuristicamente affidata ad uno specialista del settore di cui ammirare le gesta. Insomma, Israele come porno-divo della violenza “hard”. Un esempio di questa pornografia della violenza è la famigerata poesia “Oh Israele”, scritta nel 2006 da Paolo Guzzanti per celebrare l’invasione israeliana del Libano.
Il mantra del “lavoro sporco” risulta narrativamente efficace, poiché unisce pretesti utilitaristici e suggestioni morbose; infatti lo slogan non è un’invenzione di Merz, e da molti anni ci si fa ricorso per magnificare la funzione terroristica di Israele nell’area medio-orientale. Nel 2019 ci si raccontava che le “pressioni” di Israele avrebbero ammorbidito l’Iran e lo avrebbero indotto a sedersi al tavolo negoziale con Trump. Sennonché oggi scopriamo che il tavolo negoziale viene fatto saltare da Israele e sarebbe poi Trump a dover fare il lavoro sporco per conto di Israele; che quindi spetterà sempre di più ai militari americani rischiare la pelle per parare il posteriore di Netanyahu. La ritorsione meramente simbolica attuata dall’Iran con il bombardamento della base USA in Qatar, ha offerto a Trump una via d’uscita e la possibilità di parlare di cessate il fuoco. Ma per Israele cessate il fuoco significa che il fuoco lo cessino gli altri, non Israele. L’Iran non ha accettato nessun accordo ma si è limitato a dichiarare che, se non attaccato, non attaccherà; infatti non esiste un processo decisionale con il quale misurarsi e trattare, poiché Netanyahu è un dispositivo automatico, mentre Trump è una banderuola. Nulla esclude quindi che tra un po’ il lavoro sporco possa toccare anche ai militari europei. C’è già il precedente delle missioni navali europee e americane nel Mar Rosso contro gli Houthi, che pure avevano come unico bersaglio le navi dirette a porti israeliani.
Come specialista della violenza Israele non è questo granché, visto che la spunta solo con gli inermi, altrimenti deve ricorrere all’aiuto degli altri. L’aggressione all’Iran non aveva nessun senso strategico, poiché Israele è un piccolo paese che basa la sua esistenza su una quindicina di infrastrutture, perciò non può sfidare una potenza dotata di un arsenale missilistico. Ci sono però altre specializzazioni nelle quali invece Israele non è male. Nel settembre del 2023 Israele è riuscito a rifilare alla Germania una patacca prodotta su licenza della Boeing, cioè il sistema antimissile Arrow 3, al modico prezzo di quattro miliardi.
Non si può neppure essere certi che Israele produca effettivamente qualcosa e non sia solo un brand. Il mito fasullo dell’efficienza militare israeliana è stato usato per sbolognare la merce di un’azienda nota per non riuscire a tenere in volo neppure gli aerei di linea. Oggi il fiasco del sistema Arrow 3 è sotto gli occhi di tutti, ma i ripetuti fallimenti dei test del sistema erano stati riportati persino dalla stampa israeliana.
Non c’è nulla di segreto, infatti è proprio la stampa israeliana a tenerci al corrente su come i miliardari russi aggirino fisco e sanzioni grazie ad un flusso di finanziamenti verso fondazioni non profit israeliane addette al “money laundering”. Israele ha potuto sfruttare in vari modi il privilegio di poter non aderire alle sanzioni occidentali contro la Russia. Israele è un’entità coloniale usata come sponda esterna da lobby delle armi e del riciclaggio; e ciò spiega come mai un paesotto dipendente in tutto e per tutto dal sostegno euro-americano, sembri assumere un ruolo egemone.
Una delle espressioni più fuorvianti in assoluto è quella di “interessi economici”, che, secondo alcuni, sarebbero anche all’origine delle guerre. In realtà perseguire l’interesse economico di un paese richiederebbe una lucida comparazione dei costi e dei ricavi, ed anche dei vantaggi e svantaggi dei vari gruppi sociali; quindi roba su cui bisogna riflettere e ponzare. Al contrario, un giro di denaro non implica sforzi mentali, è uno schema comportamentale, una corrente che trascina la cordata. La presenza di parte del regime russo in questa cordata potrebbe dar conto della surreale posizione tenuta dalla Russia dopo l’aggressione israeliana all’Iran. Particolarmente imbarazzante è risultata l’ambigua proposta di Putin di mediare nel conflitto, venendo incontro alle “preoccupazioni di sicurezza di Israele”. Dal capo di Stato della Russia ci si aspetterebbe che si preoccupasse degli interessi di sicurezza della Russia; tanto più che per l’AIPAC e per i neocon, “sicurezza d’Israele” significa balcanizzazione e caos tribale dall’Africa all’Asia, in modo che tutti i paesi siano bombardabili e saccheggiabili. L’Iran è praticamente al confine russo, visto che è separato solo dal lago detto Mar Caspio. L’Iran rappresenta inoltre il contrappeso regionale al peso degli Stati turcofoni che potrebbero saldarsi con le popolazioni turche interne alla Federazione Russa. Per la Russia l’Iran può essere il più odioso dei vicini, ma comunque non può permettersi una sua dissoluzione. Lo stesso concetto di alleanza quindi non ha alcun senso strategico; si tratta semmai di capire quali paesi ti facciano da ammortizzatore verso spinte destabilizzanti. Il modello da non seguire è la NATO, che costringe ad allearsi con paesi che possono solo metterti nei guai.
Risulta perciò ancora più patetico il fatto che Putin si sia messo a raccontare delle sue generose offerte di collaborazione militare che sarebbero state rifiutate dall’ingrato Iran; sembrava l’imitazione di Karamazov padre che, per fregare il figlio Dmitrij, lo accusa davanti a tutti di irriconoscenza.
Può apparire strano che degli Stati non siano in grado di perseguire i propri interessi strategici. Non è affatto strano se si considera che lo Stato è un soggetto chimerico, una mera astrazione giuridica, mentre nella realtà esistono i regimi, che sono un intreccio contraddittorio di oligarchie e dei loro giri d’affari, alcuni dei quali sono spesso incompatibili con la sopravvivenza di quella artificiosa e fragile costruzione chiamata nazione.
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