Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
A proposito di campagna vaccinale, il fatto eclatante del mese di marzo è stato
il taglio delle forniture alla Unione Europea da parte della multinazionale farmaceutica anglo-svedese Astrazeneca. Stando così le cose, sarebbe stato ragionevole attendersi che al centro dell'attenzione mediatica ci fosse l’immagine di una Astrazeneca inadempiente.
Sennonché il governo tedesco, messo all'angolo dalle mancate forniture di Astrazeneca, ha fatto una mossa tipica di chi, non avendo più l'iniziativa, vuol far vedere a tutti di tenere in pugno comunque la barra del timone. Servendosi di
un rapporto sulla pericolosità del vaccino Astrazeneca emesso dalla propria agenzia istituzionale di controllo sui farmaci, la Merkel ha deciso infatti la sospensione delle vaccinazioni con dosi di Astrazeneca. Si è quindi sospesa la somministrazione di un vaccino che già di per sé non era materialmente disponibile. La “decisione” di Berlino ha trascinato anche altri Paesi europei, tra cui, ovviamente, l'Italia.
Il fatto di demandare la decisione finale sul vaccino Astrazeneca all'agenzia europea del farmaco, l'EMA, ha risolto il tutto in una farsa, dato che l’EMA non poteva smentire se stessa; e infatti il vaccino anglo-svedese è stato “riabilitato”, pur con il solito linguaggio ambiguo.
In questa situazione la setta trasversale dei vaccinisti fanatici, che oggi egemonizza i media a tutti i livelli, si è impadronita del caso, deformandolo come se si fosse trattato di una sortita e di una successiva sconfitta di fantomatici no-vax. I sì-vax per l’occasione si sono riciclati in chiave complottista, favoleggiando di cospirazioni contro Astrazeneca e versando calde lacrime sul danno reputazionale inflitto alla povera multinazionale anglo-svedese. A questo punto Astrazeneca ha potuto svestire i panni di inadempiente e fedifraga, per indossare addirittura quelli della vittima. Il merito di questa paradossale inversione dei ruoli va spartito equamente tra il governo tedesco e la setta dei vaccinisti fanatici.
La scienza medica ufficiale ci assicura che i vaccini sono un valido strumento di prevenzione delle malattie infettive; e fin qui ci si potrebbe anche credere, pur con tutte le riserve del caso. Il concetto di “scienza” infatti non è più così pacifico come ai tempi di Robert Koch, che elaborò i suoi famosi postulati a proprie spese, cosa oggi impensabile. Attualmente i finanziamenti alla ricerca sono direzionati da lobby trasversali al pubblico ed al privato, ed è ovvio che il denaro segua il denaro e che i movimenti di capitale in Borsa si indirizzino automaticamente dove c’è più business. Tra il business di una cura del Covid e il business dei vaccini non c’è gara, perché i vaccini si producono a miliardi di dosi. Tra l'altro nessuno sinora si è preoccupato di farci sapere quale sia la lievitazione dei costi dei controlli sugli standard di produzione e stoccaggio di vaccini che adesso vengono sfornati a miliardi. Ammesso che i controlli si facciano.
Comunque non ci sono elementi oggettivi di tale evidenza per cui chi non ha una specifica competenza medica possa escludere che i vaccini siano efficaci. Ci sono anche scienziati che dicono che i vaccini sono utili in certe circostanze e dannosi in altre; comunque il dibattito è aperto e qui non si fa il tifo per nessuno.
I vaccinisti fanatici ci presentano invece il vaccino come un parente stretto dello Spirito Santo che, per infusione, santificherebbe tutto ciò che tocca. Quando si tratta di vaccini, le multinazionali cesserebbero di essere multinazionali, e cioè organizzazioni di affari, per diventare eserciti della salvezza immuni da qualsiasi tentazione di approfittare della loro posizione di vantaggio per creare, ad esempio, artificiose situazioni di scarsità. La scarsità infatti è potere, è business, ed anche gerarchia tra le nazioni e i ceti sociali, discriminati tra figli e figliastri. La dottrina economica imperante, il sedicente liberismo, si fonda proprio sulla categoria di scarsità, a partire dalla scarsità delle risorse monetarie, per cui ci si racconta che “non ci sono i soldi”.
Non ci sono prove certe dell'esistenza di cospirazioni, e neppure della loro inesistenza. Quel che è certo è che i complotti sono del tutto superflui, poiché ogni potere procede per schemi ripetitivi, sempre gli stessi: emergenze e scarsità. L'emergenza giustifica ogni abuso di potere, mentre la scarsità giustifica ogni discriminazione.
Ci si sarebbe aspettato che l’emergenza giustificasse anche più spesa; al contrario alle emergenze si risponde sempre con la lesina, infatti non ci sono stati investimenti né nella Sanità, né nei trasporti. La Didattica a Distanza è stata una grande occasione per risparmiare sulla manutenzione degli edifici scolastici, sulle supplenze e sugli straordinari al personale non docente. Per non parlare poi dei famosi “ristori” o “sostegni” ai settori in difficoltà, che si sono rivelati una presa in giro.
Sembrava che al mantra del “non ci sono i soldi” potesse affacciarsi un’eccezione, ed infatti in questi mesi i media ci hanno intrattenuto sulla presunta pioggia di miliardi del Recovery Fund. Persino dal “Financial Times” arriva però una smentita: il mitico Recovery Fund è poca cosa sul piano finanziario. Già negli annunci si parla di fatto di meno di un terzo della cifra che gli USA immettono nella propria economia; si tratta inoltre in gran parte di prestiti e, per quanto riguarda invece i famosi 80 miliardi di sussidi che spetterebbero all'Italia, facendo i calcoli tra il dare e l'avere, ne rimarrebbero solo 25. Per di più, il tutto è condizionato da tempi biblici nell’erogazione di fondi che rimangono, peraltro, ancora del tutto ipotetici. Lo schema si ripete: avarizia e scarsità. Al di là degli annunci, l'austerità continua, e forse anche peggio di prima.
Un ulteriore esempio di come si possa discutere di nulla ci proviene ancora una volta dalla Germania, dove c’è la solita Corte Costituzionale tedesca sempre pronta a infilare un po’ di Pathos nel vuoto pneumatico.
La Corte ha infatti bloccato l'iter di ratifica del Recovery Fund, permettendo così ai media di annunciare che i fantomatici fondi rischiano di slittare. Ma se non ci sono proprio, come possono slittare? Ancora una volta la realtà viene soppiantata dallo psicodramma.
Grazie a Gigi di Lembo nella primavera del 2010 a Livorno si svolse un interessante convegno di studi, “Elementi libertari nel Risorgimento livornese e toscano”, che aggregò interventi di vari compagni ma anche del mondo accademico. Un anno dopo Gigi ci lasciava. Un anno dopo ancora furono presentati gli atti di quel Convegno, con una pubblicazione a lui dedicata, che si apriva proprio con un ricordo di Gigi, e del suo legame con Livorno.
A distanza di dieci anni le compagne e i compagni della Federazione Anarchica Livornese vogliono riproporre la prefazione agli atti del Convegno, salutando in questo modo Gigi, ancora così vicino ai nostri cuori e alle nostre lotte.
Federazione Anarchica Livornese - marzo 2021
Era il maggio del 2008 quando Gigi cominciò a ragionare con i compagni livornesi del Circolo Culturale Malatesta di un’idea a cui, da qualche tempo, cercava di dare forma: una ricerca sulla presenza libertaria nel Risorgimento toscano e livornese. Qualcosa di insolito per lui, studioso dei processi storici e politici del Novecento; ma senza dubbio anche qualcosa che lo teneva saldamente collegato a quella lotta umana di carattere anarchico e libertario che ha sempre segnato la sua ricerca storica, politica e personale. Lo sollecitavano indubbiamente le ricerche di storici nonché amici affettuosi come Fabio Bertini, vigoroso risorgimentalista, abilissimo nell’organizzare la collaborazione di tanti ricercatori attorno a nuclei d’interesse originali e preziosi; e poi c’era il contatto continuo e fraterno con gli studi di Natale Musarra, la disponibilità inesauribile di Giorgio Sacchetti.
Ma era anche Livorno stessa a chiamarlo verso il periodo risorgimentale. Gigi, fiorentino, si era trasferito a Livorno da qualche anno, spinto dalla grande passione per il mare; ogni giorno scovava qualche aspetto di questa città caotica e contraddittoria, spingendosi anche nelle pieghe del passato. È lì che ha scoperto un Risorgimento particolare, popolano e refrattario, più sovversivo che patriottico. E gli è piaciuto.
Dopo di che seguirono contatti, incontri, dibattiti. Gigi, di solito schivo, si dedicò con passione alla costruzione di quello che poi divenne il convegno di studi sugli elementi libertari nel Risorgimento livornese e toscano, convegno che si svolse a Livorno nel marzo del 2010.
L’incontro, attraverso i vari interventi e contributi, ha fatto emergere una realtà politica e sociale interessantissima e poco conosciuta: la diffusione di circoli libertari a Prato, nella zona apuana e a Livorno; i contatti dei libertari toscani con Mazzini, Guerrazzi, Rattazzi, con i garibaldini di Rosolino Pilo; e, ancora la partecipazione ai tanti eventi insurrezionali, dagli assalti alle guarnigioni, agli attentati, alle rivolte contro il carovita. E poi i fogli di agitazione, i giornali, i luoghi di ritrovo, la presenza attiva di donne, i primi nuclei sindacali, i locali da ballo. Mille rivoli di aggregazione popolare e dal basso di un Risorgimento così diverso da quello aristocratico consegnatoci dalla storiografia più consueta.
E ancora, tra una moltitudine in lotta, l’apparizione balenante di figure gigantesche : il messaggio inequivocabilmente libertario di Pisacane; la visita di Bakunin a Livorno e i suoi incontri e scontri con Mazzini e Guerrazzi. Una società viva e pulsante, in cui nessuno è marginale. Un mondo reso piccolo dalla comunanza e larghissimo dalle prospettive. E poi la delusione e la voglia di ricominciare di uomini e donne che lottavano per un mondo migliore ed ebbero in cambio un nuovo monarca, erede e progenitore di una genìa feroce, massacratore lui stesso.
Gigi intendeva occuparsi anche di questo.
Dopo il successo del convegno di cui vengono qui pubblicati gli atti, Gigi stava lavorando alla definizione di un nuovo percorso di ricerca. Lo interessavano la situazione postunitaria, la delusione rivoluzionaria, l’emergenza della questione sociale, la ricollocazione postrisorgimentale dei settori politici più radicali, la nascita dell’Internazionale. Tutte questioni di enorme interesse, a cui accennava col consueto minimalismo, canticchiando la strofetta di una canzone dell’epoca:
“… la patria libera è un’illusione, se ancora il basto ci fan portar”
Non ha avuto il tempo di sviluppare questa idea perché se ne è andato, una mattina di marzo, col fazzoletto nero al collo e il vecchio berretto da lupo di mare.
Gli sarebbe piaciuto che il convegno di Livorno trovasse divulgazione, come sta avvenendo con la pubblicazione degli atti. Per questo siamo grati a tutti coloro che hanno reso possibile questo lavoro.
[……]
A Gigi era piaciuto gettare un fascio di luce sulla moltitudine rivoluzionaria, sulla lotta umana risorgimentale, così come gli piaceva, e a noi con lui, considerare tutto questo nel suo senso profondo di continuità.
Perché la storia è fatta di rivolte, rivoluzioni, insurrezioni, del diritto dei popoli contro il preteso diritto dei governanti. Ma è fatta così anche l’attualità, la nostra quotidianità. Perché chi lotta tutti i giorni contro le sopraffazioni dei governanti di turno viene spesso emarginato, represso, criminalizzato. Perché la storia, questa storia, non si interrompe neanche per un giorno, come neanche per un giorno si interrompe la volontà di rivolta.
Sulle mura della piazza San Marco di Livorno campeggia un’iscrizione, ricordo delle giornate risorgimentali del 1849: “Mal si reggono con la violenza popoli insofferenti di giogo straniero”. Parole che individuano con chiarezza la violenza del potere; parole che, oggi come ieri, sono un grido contro la repressione, un’affermazione di riscatto e di libertà.
Di Patrizia Nesti
GIGI
Gigi Di Lembo ci racconta l’anarchia
2^ parte
Borghi in Francia tra i fuoriusciti (Estate 1923 - Autunno 1926) di Luigi di Lembo