Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Quando il 20 ottobre del 2019, il presidente uscente della Bolivia, vinceva con il 47.08 % dei voti contro il 36.51% del suo antagonista Carlos Mesa,
l’Organizzazione degli Stati americani (OSA), braccio armato degli USA nella regione - e
che Morales considerava come il “Ministero delle colonie” - , esprimeva preoccupazione perché alcune “irregolarità” avrebbero dimostrato che il governo aveva orchestrato dei brogli elettorali su vasta scala. In realtà, nei conteggi preliminari il rapporto era del 45,07% per Morales contro il 37,8% di Mesa, candidato della destra; un risultato che avrebbe portato, secondo la legge elettorale boliviana, al secondo turno. Ma l’avanzata di Morales nei risultati finali non ha niente di straordinario, visto l’arrivo in ritardo delle schede provenienti dall’Altiplano, e diversi studi dimostravano che non c’erano state irregolarità. Eppure l’OSA [un’organizzazione che dietro il consueto paravento della difesa dei diritti umani, svolge una costante opera di destabilizzazione in Sudamerica] continuava a denunciare brogli, e a quel punto la stampa e i media internazionali si sono impegnati a sostenere quella tesi. La copertura mediatica offerta dai mezzi di informazione di obbedienza occidentalista è stata impressionante per uniformità comunicativa, soprattutto perché l’ordine implicito di Washington è stato accettato supinamente, nonostante l’evidenza clamorosa della vittoria di Morales.
France Inter ironizza : “La rielezione dell’apprendista caudillo Morales è un miracolo (23 ottobre);
Charlie Hebdo: “E’ evidente che il governo boliviano ha scelto di truccare i risultati” (30 ottobre);
Washington Post : “Il presidente boliviano ha deciso di falsificare i risultati(…) per ottenere una vittoria al primo turno” (11 nov.);
New York Times : Morales “… aveva fatto ricorso a menzogne, manipolazioni e falsificazioni per assicurarsi la vittoria” in delle elezioni “fraudolente”. (5 dic.)
Le Monde: partendo dalla convinzione che Morales stava avendo una deriva autoritaria e che i leader autoritari controllano le elezioni, la frase “Morales ha vinto le elezioni presidenziali” diventa “Morales si è autoproclamato presidente”. (14 nov.)
• Dietro la pressione delle provocazioni e della propaganda dell’OSA, scoppiano disordini e sollevazioni nel paese. Persino la principale confederazione sindacale boliviana (Cob) abbandona il presidente.
• I generali dell’esercito, con un imprevisto voltafaccia, si allineano intimando al presidente di fare un passo indietro.
• Jeanine Añez, senatrice di secondo piano, ed esponente della destra Pro-life si autoproclama presidente, senza quorum in parlamento.
• Morales lascia il paese…….
La narrazione mediatica francese è piuttosto omogenea. Da Le Monde a Mediapart, da France Info a Le Figaro la linea è la stessa: Morales si è dimesso dopo tre settimane di contestazioni, sotto la pressione della piazza e a causa di una insurrezione popolare; il rovesciamento del presidente è stato accolto nelle strade di La Paz da scene di giubilo, canti, lacrime di gioia…”
Si profila quindi un colpo di Stato o l’ennesima “ rivoluzione colorata”. Eppure qualcosa non torna, nel racconto della crisi in Bolivia: in realtà il paese andino viveva un piccolo “miracolo economico” con una aspettativa di vita passata in un ventennio da 56 a 71 anni, la povertà assoluta più che dimezzata (dal 35% al 15 %), una disoccupazione al 4% e una crescita del PIL al 4,1% (il migliore del Sudamerica) Molto è frutto di sussidi, creazione di reti idriche, elettriche, e l’adozione di un programma di assicurazione sanitaria universale.
Nella stampa internazionale, tutti concordano sul fatto che non si è trattato di un colpo di Stato, e allora che cos’era? E se Morales era un leader estremamente popolare, come spiegare questa deriva e i presunti brogli?
Observer (settimanale britannico di sinistra): “L’ex presidente è stato vittima del suo rifiuto di cedere le redini del potere (…) e il suo regno ha mostrato segni di un culto della personalità sgradevole, addirittura castrista.(17 nov.)
New York Times: “A far cadere Morales non è stata la sua ideologia o qualche tipo di interferenza estera, come ha sostenuto, ma la sua arroganza, caratteristica comune a ogni populismo (…) la pretesa di essere l’arbitro ultimo della volontà del popolo e di poter schiacciare qualsiasi istituzione voglia mettersi sul suo cammino” [11nov.)
Quando Morales annuncia dal suo esilio di volersi ricandidare alle successive elezioni presidenziali, Le Monde lo mette in guardia: “Sarebbe un altro errore. Se ha davvero a cuore l’interesse dei suoi concittadini, Morales farebbe meglio a ritirarsi, in modo tale che in Bolivia la violenza possa cessare e si possa seguire una via costituzionale. [11.nov.]
Intanto il nuovo governo boliviano decide di perseguire Morales per “terrorismo e sedizione”, un capo d’accusa perseguibile con 30 anni di reclusione e che impedisce la candidatura.
Il nuovo governo boliviano continua a ricevere riconoscimenti e, curiosamente, anche Putin si affretta a farlo. Per la maggior parte dei commentatori internazionali, la denuncia di Morales, di essere stato vittima di un golpe, appare inconsistente. Se un presidente che ha vinto con un importante scarto di voti sul suo avversario, viene poi costretto a lasciare dall’esercito, non sembrano esserci gli elementi di un colpo di Stato …
Il sociologo Hugo Suarez, intervistato, alla domanda: “Jeanine Añez è legittima?”[1] risponde “Sì, sì, sì” E l’esercito? “E’evidente che si tratta di un esercito costituzionale”
Anche l’estrema sinistra altermondialista sbanda tra chi sostiene la tesi del golpe, chi si trincera dietro un “il problema è più complesso”, e chi avversa apertamente quella tesi. La rivista altermondialista ATTAC pubblica una Lettera aperta al movimento altermondialista, redatta da Pablo Solon, ex ambasciatore boliviano all’ONU: “Il presidente Evo Morales ha dichiarato (…) che in Bolivia è in atto un colpo di Stato. Mi dispiace molto dovervi dire che quest’affermazione di Evo Morales è completamente falsa.”
Per avere un’idea, anche solo approssimativa, di cosa potrebbe significare un avvento permanente di un governo che rispetti i diritti umani delle multinazionali, basti ricordare che in meno di un anno al potere, il governo di Jeanine Añez , tra l’altro, ha
favorito apertamente gli interessi dell’agrobusiness, liberalizzando le importazioni/esportazioni di prodotti agroindustriali a partire dal 2020 // incoraggiato la deforestazione // autorizzato l’ingresso degli organismi transgenici nel paese //autorizzato l’aumento dei tassi di interesse bancari // ridotto l’aliquota fiscale per le grandi imprese // a causa della pandemia, ha offerto nuovi terreni al settore agro esportatore // ha raccolto 600 milioni di dollari da fondi pubblici per pagare i debiti della grandi aziende private // La campagna di privatizzazioni delle imprese pubbliche (compagnie telefoniche ed elettriche) ha incontrato resistenze importanti // In compenso, nel giro di pochi mesi, la spesa statale boliviana per le importazioni di armi per equipaggiare la polizia è aumentata di 18 volte rispetto al 2019.
Inversione di rotta
A giugno 2020, cambia tutto. Il 7 giugno, il NYT svela le conclusioni di un nuovo studio che demistifica i risultati del rapporto OSA. Rivedendo i calcoli statistici dell’organizzazione, i ricercatori hanno riscontrato diversi “problemi ed errori metodologici.” L’OSA “avrebbe utilizzato un metodo statistico inadatto che ha dato l’illusione di una rottura del trend dei voti” . Il New York Times è costretto ad ammettere che il rapporto OSA era “sbagliato”. In altre parole, la Bolivia ha subito un’interruzione dell’ordine costituzionale appoggiata dall’esercito: un colpo di Stato.
Ma Le Monde insiste: il NYT non fa che “rilanciare il dibattito sui presunti brogli”. Libération giudica l’analisi dei nuovi studi troppo complessa, mentre aveva condiviso le conclusioni del rapporto OSA senza troppe difficoltà.
Le Figaro, Libération e Le Monde utilizzano lo stesso tipo di argomentazione : “Non si è trattato di un colpo di Stato, ma di un vuoto costituzionale”.
Le informazioni e le notizie di queste note sono tratte da un articolo di Le Monde diplomatique , ottobre 2020. L’articolo prende in esame la stampa francese e anglosassone, ma non sarebbe difficile trovare gli stessi orientamenti nei media degli altri paesi. Il titolo dell’articolo è “Bolivia, cronaca di un fiasco mediatico – la sconfitta di Evo Morales, una “fake news” su grande scala”. In realtà, oltre al fiasco mediatico, è molto probabile che si sia trattato di un fiasco politico militare per gli Stati Uniti e l’OSA.
Il 18 ottobre 2020, le elezioni con voto elettronico cancellano il colpo di Stato di novembre. Janine Añez, che si era autoproclamata Presidentessa provvisoria con il tacito consenso delle Forze Armate, ha messo da parte le sospette ma inevitabili lentezze della verifica ufficiale e manuale, riconoscendo pubblicamente la vittoria con il 53% dei suffragi, del candidato del Movimento per il Socialismo (MAS), Luis Arce, ex ministro dell’Economia del presidente costretto all’esilio, Evo Morales, vincitore simbolico della consultazione e destinato quanto prima a tornare un protagonista della politica nel paese andino.
E’ evidente che qualcosa non ha funzionato nella strategia dei golpisti. Non ha senso cacciare Morales dalla finestra per poi farlo rientrare dalla porta. Quel che è certo è che il blocco popolare formato dal MAS e da Morales si è rivelato molto più solido di quanto si credesse. Così come è chiaro che gli equilibri interni alle Forze Armate, non hanno consentito che si spingesse la situazione verso la guerra civile. Ma è evidente che qualcosa si è inceppato anche nella logica dei grandi interessi minerari della Bolivia, così come all’esterno, a Washington, tra l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e il Dipartimento di Stato.
Brogli in USA
Se, nelle recenti elezioni americane, le accuse di brogli rivolte dal cialtrone Trump ai democratici sono state ritenute inconsistenti per la scarsa credibilità del personaggio, non bisogna dimenticare che in USA i brogli elettorali sono la regola. Il sistema elettorale, particolarmente farraginoso, dei grandi elettori e, più recentemente, il voto postale, rendono i brogli facilmente praticabili. Sia i democratici che i repubblicani hanno una lunga e consolidata tradizione di brogli elettorali. I casi più famosi e riconosciuti furono quelli di Lyndon Johnson e di Bush jr., ma anche le primarie che diedero il vantaggio a Hillary Clinton su Sanders rivelarono dei brogli clamorosi.
In realtà, la sostanziale inamovibilità del sistema gerarchico è confermata anche dagli schemi ricorrenti con cui vengono presentati e “creati” gli eventi elettorali.
Ecco cosa scrive la rivista statunitense Politico, in un articolo sugli “Ultimi pericolosi giorni di Donald Trump”:
Mentre le sue probabilità di vincere le presidenziali negli Stati Uniti si riducono, il candidato repubblicano accusa i democratici di preparare brogli e avvelena il clima politico. Nessuno sa come gestire la situazione che potrebbe crearsi dopo le elezioni presidenziali dell’8 novembre negli SU. Donald Trump sembra destinato a perdere e sembra intenzionato a non ammettere la sconfitta, e questo potrebbe scatenare una crisi di fiducia senza precedenti dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Ora sia i repubblicani sia i democratici temono che dopo il voto le ferite causate dalla campagna elettorale possano diventare più profonde e durature. (…) temono che le sue parole [di Trump] possano far presa sui suoi sostenitori più fanatici, e che questo porti a comportamenti violenti contro i musulmani, i latinoamericani e altre minoranze che Trump ha attaccato in campagna elettorale.(…)
“Ci sarà una rivolta, sì. Siamo tutti stanchi del sistema” dicono i sostenitori di Trump nel New Jersey … dando per scontato che le elezioni saranno truccate. Il rifiuto di Trump di ammettere la sconfitta “rientra perfettamente nella sua strategia di sfruttare lo storico calo di fiducia degli elettori verso le istituzioni.
L’aspetto interessante di questo articolo, è la data. L’articolo è stato scritto nell’ottobre 2016, e riproduce non soltanto gli schemi e le linee comunicative di quanto abbiamo letto in occasione delle elezioni americane del 2020, ma persino le stesse frasi, gli stessi allarmi, le stesse espressioni di stupore, le stesse parole. Già i Padri Fondatori degli Stati Uniti, si erano premurati di creare un sistema elettorale che proteggesse l’oligarchia dominante da qualsiasi eventuale messa in discussione tramite elezioni. A questo si sono aggiunti nel tempo una serie di schermi burocratici ed escludenti tali da rendere il sistema praticamente inattaccabile per via elettorale. Parlare con sorpresa o indignazione di brogli in questo contesto è quasi surreale.
Quando una situazione è grave, bisogna vedere come aggravarla. Questa regola aurea sembra aver ispirato
le dichiarazioni del filosofo Massimo Cacciari, secondo il quale non è giusto che a pagare per l’emergenza Covid sia solo una metà della popolazione, perciò a contribuire ai costi dovrebbero essere chiamati anche i lavoratori statali.
Queste dichiarazioni implicano una certa disinformazione, poiché
i lavoratori statali in Italia non sono la metà della popolazione lavorativa, bensì soltanto il 14%, molto al di sotto della media europea. Non si comprende poi per quale motivo sottrarre risorse a quei pochi che sono ancora in grado di spendere e di sostenere la domanda di beni. Ma c’è anche di più: lavoratori statali e lavoratori autonomi non sono caste separate, poiché le due condizioni si intrecciano nelle stesse famiglie. Molti lavoratori autonomi, oggi in drammatica difficoltà a causa dei lockdown, trovano sollievo nel fatto che il loro coniuge è un dipendente statale che può continuare a contribuire al bilancio familiare. Diffondere odio di categoria, oppure odio generazionale, in un momento del genere significa quindi diffondere odio anche all’interno delle famiglie, che rappresentano ancora in Italia il maggiore ammortizzatore sociale.
Di fronte alla tragedia in corso, il filosofo non riesce ad opporre altro che un moralismo punitivo che prende a bersaglio i deboli, in base alla dolorosa considerazione che dovremo pagare per i prossimi decenni l’emergenza di questi mesi. Sarebbe stato magari interessante cogliere il nonsenso di questa situazione: ti salvo dal Covid ma ti condanno a morire di fame e di stenti, oppure per i proiettili della polizia allorché sarai costretto alla rivolta.
La destabilizzazione da emergenza Covid non si limita ai Paesi del Sacro Occidente. Il blocco del turismo e il calo drastico della domanda di materie prime privano molti Paesi dell’America Latina e dell’Africa di risorse essenziali in valuta estera. Siamo quindi di fronte ad una pauperizzazione globale che comporterà aumento della mortalità per fame, per malattie da denutrizione e per mancata assistenza sanitaria. La domanda ovvia a questo punto è se anche una malattia dieci volte più micidiale del Covid potesse mai giustificare un blocco delle attività economiche, alle cui conseguenze, per stessa ammissione dei governi, non si sarebbe in grado di porre rimedio che in tempi lunghissimi; sempre che nel frattempo non intervengano altre emergenze.
Il mantra del “fidarsi degli scienziati” non sembra avere molto senso, dato che le implicazioni del Covid, come si può vedere, non sono esclusivamente virologiche. YouTube censura i video che non si attengano alla linea dell’OMS sul Covid. Ma quale sarebbe
la linea dell’OMS? La stessa stampa mainstream non ha potuto fare a meno di notare che è cambiata innumerevoli volte. Asintomatici prima contagiosi, poi non contagiosi, poi di nuovo contagiosi; lockdown sì, lockdown no, lockdown ni, forse, chissà; mascherina no, mascherina sì, mascherina uber alles. L’ultima trovata sarebbe che si potrebbero evitare i lockdown se il 95% dell’umanità portasse la mascherina. Ma il 95% dell’umanità è in grado di pagare le mascherine ed ha a disposizione i mezzi per igienizzarle? Ovviamente no, allora perché dire assurdità del genere?
La narrazione della fiaba dell’emergenza Covid prevedeva un lieto fine con la scoperta del vaccino. Sembrava che i vaccini fossero finalmente arrivati, ma le multinazionali farmaceutiche che li producono sono le prime a non crederci. Mentre annunciava la scoperta del vaccino, l’amministratore delegato di Pfizer vendeva le proprie azioni. Si può comprendere che Pfizer non creda in se stessa, visto ciò che ha combinato con
la sperimentazione dei suoi farmaci sui bambini nigeriani; un fattaccio che ha comportato strascichi giudiziari ed ispirato persino un film di denuncia: “The Constant Gardener”.
Ma dopo Pfitzer anche le multinazionali farmaceutiche Moderna e Astrazeneca hanno venduto proprie azioni subito dopo aver lanciato l’annuncio della scoperta del vaccino, come ad ammettere che si trattava solo di effimere speculazioni di Borsa e che non si ha alcuna fiducia in movimenti di capitali che assicurino un incremento stabile del valore delle proprie azioni.
Un paradosso che, ancora una volta, è stato stigmatizzato persino dalla stampa mainstream.
La gestione in chiave emergenzialistica dell’epidemia di Covid ha origini politiche. Il governo cinese se ne è servito per sedare le rivolte di Hong Kong; mentre gli “austriacanti” della Regione Lombardia vi hanno colto l’occasione per incrementare le loro
spinte autonomiste o, per meglio dire autocoloniali, facendo da sponda al neo-imperialismo tedesco in Europa.
Ma ora al conflitto imperialistico si è intrecciato il business speculativo. Il vaccino anti-Covid sembrava essere il business del secolo, ma si è sgonfiato prima di cominciare. Il fatto è che in questi mesi il titolo di Borsa di Amazon si è piazzato stabilmente oltre il valore di tremila dollari: una performance forse senza precedenti storici, certamente dovuta ai lockdown. Se si considera che il titolo Pfizer vale cento volte di meno, si comprende che la speculazione di Borsa è canalizzata verso
il business digitale. Anche altre multinazionali del digitale esibiscono performance simili: Google infatti ha registrato un aumento del valore delle sue azioni del 34% dall’inizio dell’anno.
Chi detiene azioni di Amazon o di altre multinazionali del digitale non vuole saperne di fine dell’emergenza e del ritorno ad un commercio tradizionale. Oggi la movimentazione dei capitali di Borsa è regolata nella gran parte da algoritmi, perciò c’è una spinta automatica alla perpetuazione dell’emergenza. Ormai il denaro ha una tale velocità di circolazione che surclassa la velocità del pensiero. Diventa quindi altrettanto automatico che il lobbying si muova nella direzione di tenere vivo l’allarme e che gli addetti alle pubbliche relazioni si attivino con le loro tecniche pubblicitarie per intossicare ancora di più i media. Si parla già di una “terza ondata” del contagio e forse ne sono in preparazione una quarta e una quinta.
Ringraziamo Cassandre per la collaborazione.