Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Dalle intercettazioni della Guardia di Finanza è risultato che il presidente della Regione Liguria gonfiava i dati sui contagi da Covid; ma in fondo lo faceva a fin di bene, per ottenere più vaccini. Magari uno crede che siamo stati due anni sotto la pseudo-emergenza psicopandemica solo perché l’hanno voluto Gates, Fauci o Bourla; oppure perché da noi la legge Lorenzin ha santificato i vaccini e asservito l’Ordine dei Medici al governo. Certo, tutto rientra nel quadro, ma l’emergenzialismo non può funzionare per trasmissione di ordini dall’alto; ci volevano quelli pronti a sporcarsi le mani stando sul campo, truccando i dati e impedendo materialmente che le polmoniti si curassero come si era fatto sino al 2019. Non è un caso che l’Italietta sia stata l’epicentro e il motore dell’emergenza Covid in tutto il Sacro Occidente; ciò è stato dovuto ad un sistema sanitario permeabile al protagonismo, soprattutto illegalitario, dei presidenti di Regione. Il bello è che dopo la strage al Pio Albergo Trivulzio, l’eventuale reato ipotizzato per Attilio Fontana e soci è stato quello di “epidemia colposa”; come se mettere insieme anziani e malati di Covid potesse essere un gesto di distrazione; un’altra inchiesta giudiziaria su Fontana si è appuntata sulla questione di un suo eventuale ritardo nell’istituire una “zona rossa”; come a dire che avrebbe potuto delinquere di più e meglio. Sarebbe quindi ingenuo ritenere che la scoperta di altri imbrogli comporti la possibilità di fare chiarezza e giustizia sugli abusi di quel periodo. A dar retta alle pantomime vittimistiche della destra, sembrerebbe che il potere politico ed il potere giudiziario siano in un conflitto perenne e inconciliabile, infatti l’attuale ministro della Giustizia del governo di destra è un magistrato; quando si dice la separazione delle carriere.
Ci si è abituati alla concezione geometrica del potere, visto come un vertice che trasmette ordini ed istruzioni alla base. In realtà il potere funziona più come una cordata, e neppure tanto allineata, dato che intervengono meccanismi competitivi ed iniziative che determinano il fatto compiuto. Secondo una certa narrativa, gli anni ’90 sarebbero stati il periodo del cosiddetto “unipolarismo”, cioè del dominio incontrastato dell’unica superpotenza rimasta, gli Stati Uniti. Entrando nei dettagli si scopre invece che le situazioni sono meno univoche, e che l’imperialismo funziona come una strada a due sensi, perciò sono spesso le velleità sub-imperialistiche dei cosiddetti vassalli a determinare le sponde tra cui si muove la potenza al vertice della gerarchia. L’aggressione della NATO alla Serbia del 1999 fu dovuta soprattutto all’iniziativa angloamericana, a cui si accodò entusiasticamente il nostro governo D’Alema. In quella circostanza il paese meno entusiasta della scelta di bombardare Belgrado fu la Germania; eppure era stata proprio la Germania ad avviare la guerra alla Serbia otto anni prima. Quando Slovenia e Croazia proclamarono la propria indipendenza dalla federazione jugoslava, fu il Vaticano a promuovere inutilmente il tentativo di un riconoscimento internazionale concertato; fu però il governo tedesco nel gennaio del 1991 a rompere gli indugi e ad attuare il riconoscimento diplomatico di Lubiana e Zagabria, e ciò senza condizionarlo minimamente ad una trattativa preliminare con Belgrado per ridefinire i confini e i diritti delle minoranze eventualmente rimaste entro i nuovi confini. Il riconoscimento unilaterale e incondizionato di una regione secessionista è oggettivamente e soggettivamente un atto di guerra contro il paese oggetto di quella secessione. Si potrà sempre supporre che, con o senza quel riconoscimento, la guerra civile nella ex Jugoslavia ci sarebbe stata ugualmente; ma sta di fatto che la guerra l’hanno avviata il riconoscimento (e i soldi) della Germania.
Poi sono arrivati i soldi dell’Arabia Saudita ed è saltata anche la Bosnia. La stessa Arabia Saudita ha violato addirittura un embargo internazionale per fornire armi ed altri “aiuti umanitari” al governo di Sarajevo. Come potenza dominante gli USA hanno approfittato più di ogni altro della destabilizzazione della Jugoslavia, e si sono costruiti persino un loro staterello fantoccio a fare da contorno al grande hub militar-criminale di Bondsteel. Ma il processo è stato avviato da paesi come la Germania e l’Arabia Saudita, che hanno agito per i propri interessi o in base alle proprie aspirazioni, più o meno realistiche. L’imperialismo USA è l’ombrello di una cordata di sub-imperialismi, le cui avventure non sono sempre gloriose. Attualmente la destabilizzazione dell’Europa dell’est sta presentando alla Germania un conto salato da pagare; d’altra parte il candidato-concorrente a soppiantare la Germania nel ruolo sub-imperiale nell’area, cioè il complesso polacco-baltico-galiziano, appare piuttosto velleitario.
A livello micro o macro, lo schema del potere è lo stesso, e non è mai “unipolare”; perciò l’imperialismo funziona un po’ come il mobbing sui luoghi di lavoro, che spesso non è avviato dal dirigente, che invece trova il terreno già “arato” grazie all’opera delle mafie composte da colleghi delle vittime. Oggi vediamo Macron che si arrabatta cercando di trasformare la guerra in Ucraina in una propria occasione di protagonismo. Fu sempre la Francia, con il presidente Sarkozy, ad iniziare le operazioni militari contro la Libia nel 2011. Nell’aggressione della NATO alla Libia un ruolo ancora più determinante venne svolto da un altro paese, il Qatar, che finanziò i gruppi anti-Gheddafi e creò la narrazione mediatica atta a giustificare l’aggressione tramite l’emittente Al Jazeera.
Si è spesso rimproverato Gorbaciov di non aver fatto formalizzare per iscritto gli impegni statunitensi a non espandere la NATO verso est. Queste recriminazioni però non hanno senso, poiché nel 1972, col Comunicato Congiunto di Shanghai, gli USA si impegnarono per iscritto a riconoscere una sola Cina, di cui Taiwan era considerata una parte. Oggi Washington se ne infischia di quella dichiarazione solenne, e considera Taiwan un paese indipendente accusando Pechino di volerlo annettere illegalmente. D’altra parte è difficile credere che una Nancy Pelosi o un Antony Blinken sappiano effettivamente relazionarsi nel contesto asiatico o solo ci capiscano qualcosa. In questi decenni infatti un ruolo decisivo nel radicalizzare la questione di Taiwan l’ha svolto il Giappone, che più volte ha dichiarato di considerare l’indipendenza taiwanese come un proprio problema di sicurezza nazionale. Nonostante le innumerevoli occasioni in cui Tokyo ha soffiato sul fuoco, in molti dubitano che Tokyo sia disposta a muovere un dito se scoppiasse il conflitto con la Cina. Il problema infatti non è quello; semmai il fatto che il Giappone ha usato Taiwan come pretesto per attuare il proprio riarmo. Grazie al suo potenziale finanziario e tecnologico, il Giappone è già ridiventato una potenza marittima e in poco tempo potrà essere persino una potenza nucleare.
Quasi tutti gli osservatori hanno notato come non sia casuale che la visita di Xi Jinping a Belgrado sia avvenuta in coincidenza con l’anniversario del bombardamento della NATO sulla capitale serba. In quella circostanza fu colpita anche l’ambasciata cinese, con alcune vittime tra gli addetti. Come si dice in gergo diplomatico, “la visita ha rafforzato la cooperazione economica tra i due paesi”, ma va considerata anche la cooperazione militare, che nel 2022 era già culminata nella fornitura a Belgrado di un sistema antimissile cinese. I sistemi difensivi degli altri sono percepiti giustamente da noi come una minaccia, dato che modificano i rapporti di forza; senza contare che volersi sottrarre alla pedagogia dei bombardamenti denota un po’ di arroganza da parte dei serbi.
Il bombardamento della NATO del 1999 è considerato un evento di svolta nell’evoluzione dell’alleanza euroamericana in chiave esplicitamente aggressiva. In realtà la NATO aveva cominciato a bombardare i serbi già quattro anni prima, nel 1995. In quel caso si trattava dei serbi di Bosnia, considerati dai media occidentali come i soli, o principali, responsabili dell’esasperazione della guerra civile nell’ex Jugoslavia, e addirittura di un genocidio nei confronti dei mussulmani bosniaci. Grazie all’aiuto della NATO un’alleanza di croati e mussulmani riuscì a riconquistare la gran parte della Bosnia. In un articolo di quattro anni fa il quotidiano online “Il Post” rievocava quell’evento cercando di delinearne una serie di possibili cause.
In quella ricostruzione mancavano però dettagli macroscopici ed un attore decisivo, cioè i soldi e chi li forniva. Per fortuna proprio le fonti saudite sono prodighe di dettagli sul flusso di finanziamenti che la principale petromonarchia del Golfo ha indirizzato verso la Bosnia sin dalla sua dichiarazione d’indipendenza nel 1992, ma anche prima di quella data. Sul quotidiano saudita “Arab News” si trovano particolari sulla quantità e continuità dei finanziamenti ed anche sulla destinazione dei fondi, tra cui enti e attività “culturali”. Le terapie dell’Alzheimer impallidiscono al confronto: pare infatti che il denaro saudita abbia risvegliato la memoria etnica e religiosa di molti bosniaci, circa il 51%, facendogli improvvisamente ricordare le radici islamiche e inducendoli quindi a votare a favore dell’indipendenza nel referendum del 1992. Il denaro non è solo potere d’acquisto, è suggestione, fascinazione. La ripartizione delle tipologie di potere operata da Max Weber si è rivelata un po’ evanescente, in particolare è risultato chimerico il potere legale-razionale dello Stato, dato che tutti i regimi vivono a cavallo tra legalità ed illegalità, ed inoltre sono soggetti alle spinte estemporanee delle lobby d’affari. Il potere carismatico invece ha dimostrato di possederlo il denaro, che ipnotizza e trascina le folle senza aver bisogno neppure di pagarle. Il feticismo del denaro ha condizionato persino le oligarchie occidentali, dato che c’è voluta una guerra per scoprire di essersi deindustrializzati al punto di non essere più capaci di produrre munizioni.
In un paese povero l’arrivo di una massa di soldi ha ovviamente un effetto destabilizzante, fa saltare i rapporti di forza, le aspettative e gli equilibri sociali; perciò non è strano che i serbi possano essersi sentiti a loro volta in pericolo. Se si fosse voluto discutere seriamente di una pacificazione in Bosnia, al tavolo delle trattative non avrebbe dovuto mancare l’Arabia Saudita. Alla NATO però non interessava la cessazione delle ostilità e dei massacri, ma solo l’espansione verso est a scapito di un alleato naturale della Russia come è la Serbia. Anche in Cecenia, in Libia ed in Siria, l’arrivo del denaro delle petromonarchie ha coinciso con la radicalizzazione islamica. Arabia Saudita e Qatar sono soggetti imperialistici autonomi, i cui interessi però convergono con quelli della NATO e di Israele, dato che hanno in comune gli stessi bersagli.
Oggi c’è internet e quindi la possibilità di trovare informazioni accedendo direttamente alle fonti; forse però anche nel 1995 potevamo almeno capire che la narrazione mainstream mentiva quando scaricava le colpe esclusivamente sulla parte serba. Oggi come allora il nostro faro nella nebbia, la nostra bussola e la nostra guida spirituale è Adriano Sofri il campione della pubblicità pro NATO da almeno trent’anni, . Da lui abbiamo appreso quale sia il classico “argumentum ad fondellum”, quello che ci garantisce che ci stanno raccontando tutte balle. Si tratta del mantra “antisemitismo e affini”, che Sofri riusciva a tirare fuori persino a proposito dei mussulmani di Bosnia, paragonati agli ebrei. Insomma ci sono i cattivi, gli “haters”, che improvvisamente se la prendono con qualche innocente, perciò vanno rieducati a colpi di bombe. Spiegare qualsiasi conflitto con l’odio etnico esime dalla individuazione delle condizioni materiali della guerra, cioè quei fattori che hanno consentito ad un odio latente di esprimersi. Tra esseri umani l’odio non è una variabile, è una costante, c’è persino all’interno delle famiglie. Occorre individuare il fatto nuovo, la variabile che ha fatto saltare gli equilibri. Magari quella variabile è stata l’amore della NATO.
I sauditi sono una dinastia adelfica, nella quale la successione al trono avviene tra fratelli; ciò comporta l’abitudine all’intrigo ed alla congiura, perciò se un’impresa va storta non se ne fa un dramma, rientra nel bilancio familiare. Abbiamo visto come i sauditi siano stati pronti a riabbracciare cordialmente Assad, preso atto sportivamente che non erano riusciti ad eliminarlo. L’intervento russo in Siria nel 2015 ha cambiato i rapporti di forza in tutta la regione mediorientale. Sebbene da parte russa non ci fosse alcuna intenzione di indebolire Israele, oggettivamente lo si è fatto, poiché si è conferito un crisma di inamovibilità al regime alauita degli Assad ed al suo asse con l’Iran. Ciò spiega l’attuale nevrastenia del gruppo dirigente israeliano. Nel corso degli anni ’80 l’imperialismo russo era sprofondato a causa dei suoi costi insostenibili, ma ora si trova ad essere rilanciato proprio grazie all’amore della NATO e delle petromonarchie, che gli hanno offerto involontariamente nuove occasioni di protagonismo.
Persino le sanzioni si sono rivelate un affare per la Russia. In un articolo del maggio 2022, pubblicato sul “New York Times”, Paul Krugman, premio Nobel statunitense per l’economia, era categorico già dal titolo, che evocava il presunto strangolamento economico di Putin. Bisogna ricordare che a quel tempo l’Europa non si era ancora sganciata del tutto (così dice) dalle forniture energetiche della Russia, che i provvedimenti contro gli "oligarchi" erano appena cominciati, e che i famosi “pacchetti” di sanzioni erano ancora all’inizio. Nell’articolo Krugman spiega in modo diffuso l’apparente paradosso: "Le esportazioni russe hanno retto e il paese sembra avviato verso un surplus commerciale da record. Quindi Putin sta vincendo la guerra economica? No, la sta perdendo." E così conclude: "Ma il surplus commerciale della Russia è un segno di debolezza non di forza. Le sue esportazioni stanno reggendo bene, nonostante il suo status di paese paria, ma la sua economia è paralizzata da una riduzione delle importazioni. E questo significa che Putin sta perdendo sia la guerra economica sia quella militare." A questo punto è chiaro perché Proudhon si domandasse come due economisti riescano a non ridere quando s’incontrano.
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