Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Qualche rara volta nella sua storia, il sindacato cattolico CISL ha persino svolto davvero la funzione di sindacato dei lavoratori; adesso però la CISL si è completamente riconvertita al ruolo di Chiesa del culto di Sergio Marchionne buonanima. In linea col sindacato cattolico, il quotidiano cattolico “Avvenire” ha celebrato la ricorrenza dell’oscura scomparsa di Marchionne pubblicando con deferenza il testo di un suo discorso davanti agli studenti della Bocconi.
Il testo si segnala come esempio di retorica denigratoria, in cui la FIAT e l’Italia pre-Marchionne sono descritte come una manica di inetti e parassiti. Magari sarà anche vero, ma allora occorrerebbe spiegare come mai, non avendo le spalle coperte da un sistema industriale all’altezza, lo stesso Marchionne sia riuscito ad ipnotizzare Obama, che gli avrebbe concesso una fiducia esclusivamente ad personam. Un po’ troppo difficile da credere.
Se il tono di Marchionne fosse stato meno denigratorio nei confronti della propria azienda e del suo Paese di riferimento, forse ci si sarebbe anche bevuta la storia del manager FIAT andato alla conquista degli USA; ma, messa così, tutta l’operazione assume un senso inverso: non è stata la FIAT a rilevare la Chrysler, bensì la Chrysler a fagocitare la FIAT, per usarla come serbatoio di risorse per la propria ristrutturazione.
Il bello è che l’Italia del dopo-Marchionne farebbe ancora più schifo di quella del prima, almeno stando a quanto affermano i seguaci del culto del manager buonanima. Marchionne sarebbe infatti rimasto un “incompreso”: l’Italia non se lo sarebbe saputo meritare.
In un articolo altrettanto celebrativo su “Forbes”, si narra di un giornalista italiano che avrebbe confidato al collega americano che Marchionne avrebbe salvato non solo la FIAT, ma l’intera economia italiana. L’articolista americano non ci fa il nome di quel cialtrone da lui incontrato, né si dilunga sui dettagli del presunto salvataggio dell’economia italiana. Tutto ciò che riguarda Marchionne, va creduto per fede.
La religione di Marchionne presenta le stesse contraddizioni di tutte le religioni, che ci salvano, ma poi in realtà non ci salvano, perché all’inferno ci finiamo lo stesso. Le contraddizioni e le menzogne però non implicano mancanza di senso; anzi, il senso è evidente. Pirandello diceva che non si è mai così sinceri come quando si mente, poiché mentendo si rivelano le intenzioni più profonde. La denigrazione di un Paese è in funzione della sua colonizzazione con il pretesto del salvataggio; ma il salvataggio non può realizzarsi mai, altrimenti non si giustificherebbe più la persistenza della colonizzazione.
Nel campo della propaganda non si inventa nulla, gli schemi ricorrono e sono sempre quelli, e la denigrazione è uno dei principali. In un articolo sul ”Primato Nazionale” si cerca di demolire le pretese dei neoborbonici circa un Sud preunitario prospero e sviluppato.
L’articolista ci presenta invece il quadro di un Meridione preunitario sottosviluppato, analfabeta e in preda al brigantaggio. Anche in questo caso magari sarà proprio così, ma rimangono comunque domande inevase. Il sottosviluppo di un Paese giustifica la sua invasione, conquista e annessione? No, se a detta dello stesso articolista, il Sud faceva schifo allora e continua a fare schifo adesso.
Se poi l’annessione era in funzione del bene supremo dell’Unità Nazionale, che senso ha rivendicare una nazionalità di cui un pezzo significativo dimostra da sempre di non esserne per niente degno? Anche in questo caso forse il nonsenso è solo apparente; e dietro l’enfasi denigratoria fa capolino il solito colonialismo.
Il problema è che l’unità nazionale non è affatto quell’idea così pura che i nazionalisti vorrebbero accreditare; anzi, il nazionalismo ha in sé una discreta dose di ambiguità, in quanto non esclude affatto la possibilità di gerarchie interne a carattere etnico o razziale. La potenza della nazione comporta anche l’esigenza di disporre di colonie interne, territori che facciano sia da cuscinetto contro eventuali invasioni, sia da mercato interno, sia da riserva di manodopera e di risorse finanziarie. Devono essere territori la cui irredimibile abiezione garantisca per l’eternità il loro status di colonie. Che il Sud preunitario fosse ricco o povero, perciò non è poi così rilevante. È molto più facile infatti sottomettere e spremere i poveri che non i ricchi.
L’apologia del regno borbonico viene oggi considerata da molti come una seria minaccia all’unità nazionale e, secondo il “Primato Nazionale”, dietro questi nostalgismi ci sarebbe la manina della “finanza apolide”. Può darsi ma, a ben guardare, si potrebbe dire altrettanto della polemica antiborbonica, che ha un doppio taglio, un evidente risvolto antitaliano. È un luogo comune infatti ritenere che siano stati i borbonici a conquistare il Nord Italia, a “meridionalizzarlo”, e non viceversa. Di questo luogo comune si fece portatore Paolo Villaggio nell’occasione dell’inondazione di Genova nel 2011. Il razzismo antimeridionale implica inevitabilmente un razzismo antitaliano.
La “finanza apolide” non teme affatto il nazionalismo, poiché può facilmente manipolarne le contraddizioni ideologiche. Il colonialismo interno rende infatti vulnerabili alle suggestioni propagandistiche del colonialismo dall’esterno. La denigrazione del Sud diventa il veicolante per denigrare l’intera Italia e consegnarla al colonizzatore di turno. Come si può prendere sul serio l’Italia, visto che nell’Italia c’è il Sud?
Nel 2010 la grancassa mediatica presentò il piano Marchionne per Pomigliano d’Arco come l’unica alternativa alla camorra, come se Pomigliano non avesse mai avuto una sua storia industriale, come se lo stabilimento Alfasud avviato dal 1968 fosse stato un corpo estraneo, una specie di regalo invece che una restituzione. In quel caso i media non rimossero la memoria del Sud preunitario, bensì la memoria del ‘900. L’Alfa Romeo era nata infatti agli inizi del ‘900 per la fusione della fabbrica milanese Alfa con le aziende meccaniche dell’industriale campano Nicola Romeo, che aveva una fabbrica anche a Pomigliano. Quando non c’erano gli smartphone e certe notizie non erano controllabili in tempo reale, se citavi in pubblico questo dettaglio della storia dell’Alfa Romeo, nessuno ti credeva e passavi pure da scemo. Oggi invece te la cavi con le solite minimizzazioni.
Meno male che ci sono i magistrati, altrimenti Matteo Salvini si troverebbe ogni tanto esposto con tutte le sue contraddizioni di fronte all’opinione dei suoi nuovi elettori che sta prendendo per i fondelli. Il “Russiagate all’italiana” è stato una manna dal cielo per Salvini, che ha potuto rilanciare la sua immagine di sovranista spregiudicato che guarda alle alleanze più vantaggiose per l’Italia. Poco importa che il tutto si risolverà in una bolla di sapone e con l’ovvia scoperta che Putin della Lega se ne sbatte. La distrazione avrà comunque funzionato.
Distrazione da che? Ovviamente dal progetto di autonomia differenziata imposto dai referendum del 2017. La questione è venuta agli onori delle cronache solo a causa del conflitto tra il governatore del Veneto, Luca Zaia, ed il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha rigettato gran parte delle istanze autonomiste, a cominciare dall’accesso alla grande mangiatoia: la Scuola.
La vera e unica posta in gioco era infatti esclusivamente quella degli undici miliardi stanziati per l’istruzione pubblica, dato che non ha senso preoccuparsi per le sorti di una Scuola pubblica che già non esiste più. Oggi non si deve rispettare un insegnante in quanto funzione docente, bensì per la sua “autorevolezza”, cioè per la sua capacità di vendersi ai propri consumatori/studenti, quindi ogni insegnante è costretto a mettersi in concorrenza con i colleghi e a far loro le scarpe. Oggi gli insegnanti sono come i gladiatori dell’antica Roma, che si guadagnavano da vivere facendo fuori i loro colleghi. Come pulp fiction funziona, come Scuola no.
Oggi il PD fa lo scandalizzato per la cialtroneria con cui la maggioranza di governo sta affrontando la questione dell’autonomia differenziata, ma lo scorso anno il governo Gentiloni aveva raggiunto un’intesa con le Regioni autonomiste che aveva riscosso l’entusiasmo di Zaia e infatti era un vero e proprio calo di brache da parte del governo. Il testo dell’accordo configurava un quadro di caos istituzionale, non solo per la sequela di contenziosi che avrebbero potuto sortire tra Stato e Regioni, ma persino tra le stesse Regioni, e tra le Regioni e i Comuni.
Se la Lega avesse raggiunto i suoi obbiettivi, non si sarebbe realizzata la mitica “secessione dei ricchi”, con cui è stata venduta l’autonomia differenziata ai gonzi del Lombardo-Veneto, bensì un avventurismo istituzionale che avrebbe favorito le mire di commissariamento dell’Italia da parte di UE, BCE e FMI. In Italia il club dei tifosi dell’arrivo della Troika non si nasconde affatto, anzi monopolizza gli organi di stampa con i suoi aedi, da Eugenio Scalfari a Giuliano Ferrara; eppure per la Lega il nemico da battere è lo Stato centrale.
Il Salvini sovranista e fascista è una fake news gonfiata dai media, mentre la Lega è e rimane un partito coloniale, vincolato ai dogmi della fiaba liberista. Non a caso Zaia, nella sua polemica con Conte, non ha perso occasione per snocciolarli tutti, a partire dai luoghi comuni dell’antistatalismo liberista sullo Stato inefficiente e sprecoladrone. Non esiste in realtà alcun motivo organizzativo per cui lo Stato centrale dovrebbe essere più inefficiente dei privati o delle autonomie locali.
Lo Stato soccombe semmai nel conflitto filosofico tra l’astratto ed il concreto. Il senso dello Stato è un’astrazione, mentre il senso della lobby si esprime nell’urgenza concreta del tornaconto personale e dei ricatti incrociati. Un funzionario statale che voglia operare in modo istituzionale, si trova isolato ed esposto a livello disciplinare e giudiziario, perché in definitiva nessuno è immune dall’errore e dal conseguente rischio di farsi fare la morale dal Piercamillo Davigo di turno. Un funzionario statale che voglia sopravvivere, è costretto a stabilire relazioni private e quindi a diventare un lobbista. Nulla di strano perciò che lo Stato venga egemonizzato dalla lobby delle privatizzazioni: è accaduto persino in Unione Sovietica.
Attraverso il decentramento amministrativo, privatizzare diventa più facile e più discreto. Il messaggio sottostante all’autonomia differenziata è ben chiaro: lo Stato non è altro che una torta di spesa pubblica da spartire.
Non poteva poi mancare a corredo finale del discorso di Zaia il pistolotto sui “virtuosi” che andrebbero premiati. Alla fine gli strumenti di analisi non sono poi tanti: o segui i miti della razza, comunque declinati (dagli ariani puri ai “virtuosi”) o segui i soldi. Se si seguono i flussi di capitale, ci si accorge che esiste un divario storico e strutturale tra i tassi di interesse bancario praticati rispettivamente al Nord e al Sud. Al Sud i tassi di interesse imposti alle imprese sono sempre più alti, quindi vi è una minore possibilità di accesso al credito. Di conseguenza il risparmio meridionale non viene utilizzato in loco ma convogliato verso i “virtuosi”, quindi sono le aree più povere che finanziano quelle più ricche. Questo si chiama colonialismo interno ed è alla base di quella cosa che ci si ostina a chiamare capitalismo o economia di mercato, ma che è chiaramente assistenzialismo per ricchi.
La fiaba liberista ci narra anche che l’emigrazione sarebbe un effetto dei divari di sviluppo tra le varie aree del mondo, per cui i “viziosi” sarebbero costretti a spostarsi nelle aree virtuose per trovare lavoro. In realtà, se si seguono i flussi di capitale, ancora una volta queste scemenze vengono smontate. Da anni vi sono evidenze scientifiche che dimostrano il legame tra lo sviluppo della microfinanza e l’emigrazione. Non si emigra perché si è poveri, ma perché si è talmente indebitati da doverlo fare per sperare di riuscire a far fronte ai debiti. L’ultimo studio in cui si demoliscono le mitologie dell’economia neoclassica (cioè liberista) riguardo all’emigrazione e si analizza invece il ruolo della microfinanza, viene dal Dipartimento di Sociologia della State University del South Dakota.
Un flusso di capitale opportunamente graduato per diventare sottofinanziamento, può ingenerare tutta una serie di effetti “positivi”, come la nascita di piccole imprese che si fanno una mortale concorrenza al ribasso per procurarsi subappalti dalle grandi multinazionali, ma anche ingenerare una dipendenza assoluta delle masse dal debito, costringendole a cercarsi uno sbocco nella migrazione. La mobilità dei capitali consente quindi sia di delocalizzare a piacimento le produzioni, sia di delocalizzare a piacimento i lavoratori. Per distrarre i suoi elettori dagli effetti della mobilità dei capitali, Salvini li deve gasare con i suoi psicodrammi con le navi delle ONG.
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