Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mentre i media erano impegnati a seguire la farsa dei ludi informatici del Movimento 5 Stelle sulla questione del rinvio a giudizio di Salvini, il vero siluro al governo proveniva dall’establishment “maroniano” della stessa Lega, con la richiesta di “autonomia rafforzata” da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Il siluro era partito molto prima che questo governo si formasse, nel 2017, con il referendum in Lombardia, il cui vero bersaglio era la svolta “sovranista” impressa alla Lega da Salvini.
Qualcuno aveva previsto che la superficiale riverniciatura ideologica della Lega non avrebbe retto agli autentici “richiami della foresta” dell’establishment leghista, che non sono affatto gli ardori antigermanici, bensì quelli antimeridionali. La polemica, ancora una volta, si è andata appuntando sugli aspetti marginali o mitologici della “autonomia rafforzata”; ad esempio, la presunta “penalizzazione del Sud” che ne deriverebbe, come se la fiaba dei “trasferimenti” di risorse dal Nord al Sud fosse fondata. In realtà il Meridione è storicamente un finanziatore del Nord, sia in termini fiscali, sia in termini di risparmio, che veniva reindirizzato dalle banche soprattutto in investimenti al Nord.
La vera questione è che la cosiddetta “autonomia rafforzata” non può essere inserita in nessun quadro legislativo coerente, quindi pone le condizioni per una pura e semplice confusione istituzionale, un caso Catalogna all’italiana. Un caso magari completamente privo in sé di esiti davvero rischiosi, ma che i media nazionali ed internazionali si incaricherebbero di gonfiare a dismisura, nei termini di una vera e propria emergenza.
I capitali già stavano scappando dall’Italia usando il pretesto del timore dell’uscita dall’euro. Ora vi potrà essere un nuovo falso motivo di allarme per spaventare i ceti medi risparmiatori e indurli ad investire all’estero o ad aprire addirittura conti all’estero.
Si è già assistito ad assurde campagne mediatiche con le quali si è cercato di convincere la “ggente” che erano le dichiarazioni di Di Maio e Salvini a far salire lo spread. Mentre la politica viene colpevolizzata e criminalizzata per il suo innocuo zelo teatrale, è la mobilità dei capitali che si incarica di destabilizzare davvero i Paesi.
Per solidità industriale e produttiva, l’Italia non è paragonabile al Venezuela, però talune analogie nello schema allarmismo interno-fuga di capitali sono riscontrabili.
Il chavismo è stato presentato - ed è tuttora presentato - come una sfida ideologica al capitalismo (una sfida miseramente fallita) e ciò dovrebbe spiegare la fuga di capitali da quel Paese, incrementata già dal primo arrivo di Chavez. In realtà il Venezuela è sempre rimasto pienamente integrato nel sistema capitalistico internazionale, è sempre stato un membro del FMI e del WTO e non ha posto alcun limite alla circolazione dei capitali, semmai si è svenato per mantenere un insostenibile cambio col dollaro per cercare di invogliare i capitali a rimanere. Il fatto che il chavismo si sia elettoralmente “venduto” come un socialismo non significa assolutamente che lo sia o che lo sia mai stato. Non è detto che questa “vendita” elettorale del chavismo sia stata fatta in malafede, poiché, nell’attuale contesto di esaltazione sedicente “liberista” (in effetti deflazionista), persino un po’ di nazionalizzazioni ed un po’ di welfare possono essere travisati come socialismo.
Nell’epoca della libera circolazione dei capitali, la politica è esautorata da tutte le scelte che contano e le rimane solo lo spazio della propaganda e del talk-show, ma anche quello spazio minimo viene fatto oggetto di strumentalizzazioni emergenziali in funzione della fuga dei capitali. Maduro è stato presentato alternativamente, o simultaneamente, dai media come un dittatore, un “petrol-cesarista”, un corrotto, un utopista irresponsabile, un mafioso; ma nessun grado di malgoverno può spiegare da solo l’entità del disastro venezuelano.
In realtà il Venezuela è stato schiacciato nella tenaglia delle spinte della lobby sovranazionale della deflazione da una parte e della lobby americana del petrolio di scisto dall’altra. La lobby della deflazione vuole impedire che i proventi della vendita del petrolio vengano reinvestiti nei Paesi produttori e impone che vengano riassorbiti invece nel circuito della finanza internazionale. La lobby americana del petrolio di scisto ha dovuto convincere il governo americano che il petrolio si andava esaurendo per indurlo ad investire fior di fondi pubblici nel costosissimo fracking, quando invece c’era l’economico e inesauribile petrolio del Venezuela a due passi. Per scongiurare il proprio tracollo e vendere il proprio costoso prodotto, le corporation del petrolio di scisto devono mettere sine die fuori mercato il petrolio venezuelano; di qui l’esigenza dello scoppio di una guerra civile in Venezuela.
Stavolta però Putin non ha aspettato quattro anni, come con la Siria, per intervenire; anzi, non ha aspettato nemmeno quattro minuti. Il motivo di questa inusitata rapidità è che in questa occasione i due poteri che contano in Russia, Gazprom e l’esercito, si sono trovati per una volta d’accordo. Neppure Gazprom infatti può permettersi di sopportare che sia la lobby dello scisto a gestire i prezzi del petrolio per i prossimi anni.
Putin si è preoccupato anche di evitare che a Maduro capiti una sorte analoga a quella di Gheddafi, ucciso da un commando francese, un’operazione poi mistificata con un falso video-linciaggio per simulare un’esecuzione da parte del proprio stesso popolo. Niente di nuovo sotto il sole: secoli fa analoghe eliminazioni di leader popolari come Cola di Rienzo, Étienne Marcel e Masaniello furono eseguite e poi mistificate nelle cronache ufficiali allo stesso modo. In Venezuela sarebbero stati inviati a protezione di Maduro
quattrocento contractor russi, in modo che i commando americani trovino ad aspettarli assassini del loro stesso livello professionale.
Nel 1991 una lobby affaristica insediata nel KGB, desiderosa esclusivamente di arricchirsi col petrolio, era riuscita a riciclarsi come Gazprom, liquidando l’Unione Sovietica, sgombrando il campo dal guscio ormai vuoto del partito comunista e riuscendo anche a ridimensionare il potere delle forze armate. Venticinque anni fa ci è stato raccontato che la fine del conflitto ideologico e l’avvio della libera circolazione delle merci e dei capitali avrebbero assicurato al mondo pace e benessere. Oggi si deve invece constatare che i conflitti commerciali hanno aumentato di molto il rischio di una guerra mondiale, ad un livello che non si era mai raggiunto all’epoca della conflittualità ideologica.
Quella che le Amministrazioni Comunali di tutte le grandi città chiamano “riqualificazione urbana” è una politica di espulsione degli abitanti dei quartieri popolari dal centro città verso le periferie marginali.
Se i cittadini resistono alla marginalizzazione, organizzandosi autonomamente, spesso favorendo la nascita di centri sociali per l’organizzazione dei servizi minimi alla popolazione, allora entrano in azione le forze repressive dello Stato: polizia, magistratura, fascisti, giornali, radio, televisioni, supportati dalla lobby immobiliarista.
I quartieri popolari che cadono negli obiettivi dei palazzinari e delle società immobiliariste vengono descritti dai mass media come aree degradate invase da orde di migranti senza permesso di soggiorno, i giovani sono tutti dediti allo spaccio di droga e ad attività malavitose, i centri sociali diventano covi sovversivi: urge ripristinare il disordine borghese dei padroni e l'illegalità degli affaristi.
E’ quello che è successo nel quartiere Aurora di Torino con l’attacco al Centro Sociale “L’Asilo”, è quello che può succedere in tutte le città nel mirino della speculazione edilizia.