Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Alla caduta di Mussolini il filosofo e storico Benedetto Croce profetizzò che in un futuro non troppo lontano alcuni suoi colleghi storici si sarebbero dedicati, pur contro ogni evidenza fattuale, ad una “rivalutazione” (una “rettung” come dicono i Tedeschi) della figura del Duce. Si può altrettanto facilmente prevedere che un’analoga “rettung” verrà tentata a proposito di Matteo Renzi, eroe solitario di una “indipendenza nazionale possibile” contro le eurocrazie esterne ed i passatismi interni, un eroe caduto sul sentiero dell’onore, pugnalato alla schiena dal settimanale “The Economist”, come era già accaduto ad un altro eroe italico, il Buffone di Arcore, peraltro riciclatosi recentemente proprio in funzione anti-renziana. Non mancheranno commentatori pronti a commuoversi sulla misera sorte del povero Renzi, costretto dalla umana ingratitudine del popolo dei voucher (tanto da lui beneficato) a ritirarsi a vita privata, cioè ad accontentarsi di far carriera in qualche multinazionale (Apple? Philip Morris?) o in fondazioni annesse.
Intanto la stampa estera presenta il successo del no come una vittoria del “populismo”, un dato dimostrato inequivocabilmente dalla presenza nello stesso fronte del no di personaggi come D’Alema, Bersani e Monti. Persino la Borsa ha festeggiato la caduta di Renzi, probabilmente nella speranza che ciò significhi fine del “bail-in” e apertura al finanziamento pubblico delle banche. Ma è inevitabile che il dibattito politico sia destinato ad avvolgersi di fiabe e leggende, perciò ogni tanto occorre sforzarsi di riportare l’attenzione sui veri oggetti del contendere.
Nelle settimane precedenti il voto referendario, una notizia dalla Grecia ci avvertiva che il governo greco era stato costretto ad operare una drastica privatizzazione dei servizi locali di fornitura idrica e di gas, tutto ciò sotto il consueto ricatto della Troika che tiene in pugno il Paese con l’arma dei prestiti. Mentre costringeva il governo Tsipras a questa ulteriore sottomissione (cosa non difficile, poiché Tsipras era stato selezionato proprio per le sue doti di invertebrato), il Fondo Monetario Internazionale non faceva a meno di notare, con finta preoccupazione, che il rapporto debito-PIL della Grecia è giunto a livelli stratosferici. E non poteva essere altrimenti, visto che le misure recessive a cui lo stesso FMI costringe la Grecia hanno fatto crollare i redditi e quindi le entrate fiscali.
Anche l’Italia è sotto il ricatto del debito pubblico in euro ed è quindi costretta dal nostro compatriota Mario Draghi a fare le “riforme”, cioè le privatizzazioni. In questa vicenda della revisione costituzionale, Renzi è stato mandato allo sbaraglio con disinvolta cialtroneria dal Super-Buffone Mario Draghi, il quale aveva imposto la modifica del Titolo V della Costituzione per avocare allo Stato competenze dei Comuni e delle Regioni, ciò per consentire una più celere privatizzazione dei servizi pubblici locali, come acqua, gas, ma anche sanità.
Un fan di Renzi come Flavio Briatore aveva smaccatamente richiamato nelle sue goffe dichiarazioni di voto per il sì tale legame tra la revisione costituzionale e le privatizzazioni, dimostrando anche lui un eccesso di zelo e di entusiasmo che non ha portato bene al suo idolo.
La cialtroneria delle oligarchie trans-nazionali le ha consegnate ad una figuraccia, ma il momento della caduta del tiranno è anche quello della massima vulnerabilità dell’opinione pubblica. Per rimanere nei paragoni mussoliniani, al 25 luglio seguì l’8 settembre, cioè il cedimento del territorio ad occupanti stranieri. Anche il Buffone di Arcore nel 2011 fu impallinato dal risultato delle elezioni amministrative e del referendum sull’acqua pubblica, ma, qualche mese dopo, il colpo di mano di Napolitano fece apparire la caduta del Buffone come un successo dei “mercati”, dello “spread” e delle eurocrazie. La memoria è labile e la propaganda ufficiale può rimescolare le carte, anzi sostituire il mazzo, perciò chi oggi si aspetta Grillo e Salvini, tra qualche settimana potrebbe ritrovarsi davanti la Troika.
La questione privatizzazioni rimane quindi più aperta che mai, viste anche le contraddizioni e le ambiguità di gran parte del fronte del no in questo campo. In effetti neanche la modifica costituzionale avrebbe consentito automaticamente tali privatizzazioni, perciò sarebbe stato comunque necessario un passaggio per la legislazione ordinaria, cosa che avrebbe rivelato le vere intenzioni del governo. Un tale passaggio legislativo rimane inoltre possibilissimo a tutt’oggi, pur a revisione costituzionale bocciata dalle urne, dato che non mancano altri escamotage giuridici per attuare ugualmente le privatizzazioni.
L’aspetto giuridico non è neppure prioritario, se si considera che la strada maestra delle privatizzazioni è l’aggiotaggio sociale, cioè la svalutazione di un bene prodotto con denaro pubblico attraverso il suo boicottaggio ed il suo avvilimento mediatico. L’aggiotaggio è un reato, e infatti non è possibile privatizzare senza ricorrere a mezzi illegali e fraudolenti. Nel migliore dei casi i beni pubblici svalutati con questi mezzi illeciti vengono svenduti, ma più spesso è ancora una volta la spesa pubblica a doversi fare carico delle privatizzazioni, o con sgravi fiscali o direttamente con finanziamenti. Le privatizzazioni sono un crimine che viene legalizzato a posteriori, ma come ci ricorda Briatore, occorre che l’opinione pubblica si abitui alla coppia semantica “gestione pubblica-spreco” e che quindi il crimine venga recepito come un risanamento o addirittura un salvataggio. Ed occorre anche ricordarsi che le lobby delle privatizzazioni - vere e proprie associazioni a delinquere - non sono soltanto esterne alle amministrazioni pubbliche, ma operano anche dentro di esse in funzione dirigenziale.
La morte di Fidel Castro ha dato il via ad una pioggia di commenti, più istruttivi su chi li ha formulati che sull’oggetto dei commenti stessi. La maggiore preoccupazione è stata infatti quella di incasellare il personaggio nella categoria dei “buoni” o dei “cattivi”, ciò in linea con l’attuale civiltà (o inciviltà) del “rating”, cioè della valutazione a tutti costi che soppianta ogni tentativo di comprensione. Dopo la riforma Renzi della Scuola anche gli studenti non vanno più a scuola per imparare qualcosa, bensì per “valutare” gli insegnanti.
I commenti hanno finito per lo più per mettere in ombra gli aspetti istruttivi dell’esperienza castrista, ed invece ce ne sono alcuni da mettere in evidenza, a cominciare dalla stessa avventura insurrezionale del 1959. I luoghi comuni che si sono consolidati tra gli anni ‘60 e ‘70 a proposito della guerriglia hanno fatto credere che il fattore-tempo giocasse a favore della guerriglia stessa, una tesi che l’esperienza non ha mai confermato. L’azione di Fidel Castro ha dimostrato infatti che le insurrezioni hanno possibilità di successo in una limitata finestra temporale. Quando Castro ha spinto per un colpo di mano decisivo contro il regime di Batista, ciò poteva apparire prematuro, mentre in effetti preveniva sia la possibilità per il nemico di rafforzarsi, sia lo spegnimento del movimento insurrezionale a causa delle consuete defezioni, divisioni e infiltrazioni, oltre che per il probabile deterioramento dei rapporti con una popolazione sottoposta alle angherie supplementari di una situazione bellica.
Si potrebbe dire che in un certo senso lo stratega Castro ha agito e pensato più da quell’allenatore di baseball che era, quindi consapevole che il tempo a disposizione per vincere non è illimitato, che da marxista (ammesso che marxista lo sia mai stato).
L’altro aspetto interessante dell’esperienza castrista ha riguardato la fase dell’isolamento economico dopo la caduta del blocco sovietico. Dato per spacciato dall’opinione dominante, il regime castrista ha conosciuto la sua maggiore stagione di popolarità proprio dopo la fine del mito del socialismo cubano, quando il senso del castrismo si indirizzava al semplice obiettivo della resistenza all’imperialismo USA, senza più pretendere di rendersi degno di tale opposizione offrendo in cambio la prospettiva di un paradiso in Terra.
L’esperienza cubana degli anni ‘90 ha demistificato molti miti sull’economia, dimostrando che non solo si poteva sopravvivere alle sanzioni, ma che si poteva addirittura allestire un welfare a copertura totale contenendone i costi al minimo. Dato che oggi in Europa la tesi dominante riguarda proprio l’insostenibilità dei costi del welfare, si può facilmente dedurne che l’enfatizzazione e la lievitazione dei costi del welfare sia tutt’altro che una legge economica ineluttabile, bensì l’effetto delle pressioni delle lobby delle privatizzazioni, molte delle quali agiscono sotto l’etichetta di quella superstizione chiamata “Stato”; lobby che spingono per passare da un welfare pubblico ad un “welfare aziendale”. Che il “welfare aziendale” costi realmente meno sarebbe tutto da dimostrare, dato che già ora si regge grazie alle enormi agevolazioni fiscali. Quando cesserà di essere “alternativo”, si può essere certi che anche il “welfare aziendale” verrà sussidiato apertamente con denaro pubblico.
Con la malattia e l’imbalsamazione in vita del leader massimo, anche a Cuba si è insediata da un po’ di tempo una agguerrita quanto subdola lobby delle privatizzazioni. Dopo le prime privatizzazioni “soft” che hanno riguardato taxi e piccolo commercio, la lobby è riuscita persino ad ottenere che la gestione dell’aeroporto dell’Avana venisse concessa ad una multinazionale francese. L’evento dà la misura dell’irresponsabilità e dello sradicamento territoriale di queste bolle oligarchiche che si avvantaggiano del business delle privatizzazioni. Fin troppo noto è infatti il rapporto organico che vige tra multinazionali e servizi segreti, una relazione consolidata dal costume delle porte girevoli che consentono agli ex (?) agenti segreti di aprirsi carriere nelle multinazionali. La Francia fa parte della NATO, perciò tanto valeva levarsi il pensiero affidando le chiavi della porta dell’Avana direttamente alla CIA.
Il punto è che lo stesso socialismo va demistificato, in quanto è la fisima di “costruirlo” a portare fuori strada. La gestione privata non si regge senza il costante supporto del denaro pubblico, perciò ogni privatizzazione è a carico del contribuente, che la paga prima, durante e dopo. Le privatizzazioni sono un welfare pubblico a favore dei ricchi. Non si tratta quindi di “costruire il socialismo” ma semplicemente di smettere di privatizzare.
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