Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Spesso l’indecisione paga. Per un anno la questione della ratifica della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità era rimasta in sospeso, nel gioco delle parti tra Salvini e la Meloni; una pantomima con la quale il segretario leghista voleva scaricare sulla leader di Fratelli d’Italia l’intera responsabilità dell’approvazione del nuovo testo riformato. Ci sono in vista le elezioni europee e quindi chi avesse tradito sul MES avrebbe pagato a vantaggio elettorale dell’altro. Nel corso dell’anno non è arrivata però nessuna vera pressione dalla mitica Europa per approvare il nuovo testo, e si è visto persino che
la Banca Centrale Europea ha continuato a limitare il famigerato spread tra BTP e Bund.
La narrativa agiografica ci propone l’immagine di una Meloni che ha tenuto la posizione in un sussulto di orgoglio sovranista; sarebbe poi la stessa Meloni che sul Patto di Stabilità si è prostrata a condizioni vessatorie. Chiunque può rendersi conto che sarebbe bastato che Mattarella la minacciasse di farla maltrattare da Bruno Vespa per ottenere la ratifica anche del MES. Un mantra condiviso persino da alcuni oppositori è che il partito della Meloni sia una banda di mentecatti e pistoleri, ma che lei sia un’altra cosa. Certe assurdità diventano credibili in base al paradosso delineato da Groucho Marx, cioè che in democrazia puoi anche andare in televisione a prendere in giro i politici, ma la cosa fondamentale è che i politici vanno in televisione a prendere in giro te. Senza la protezione del polmone elettoral-mediatico del salottino di Bruno Vespa, la Meloni finirebbe immediatamente asfissiata, rivelandosi per quello che è, cioè solo una macchinetta da battibecco.
L’ulteriore storiella della mancata approvazione del nuovo MES come dispetto alle pretese della Germania rientra nel repertorio delle recriminazioni sulla protervia teutonica; ma non regge. Persino il Dibba ci ha raccontato che il MES riformato, e quindi abilitato ad occuparsi di salvataggi bancari, avrebbe dovuto riparare il disastro del sistema bancario tedesco. La tesi però è doppiamente irrealistica; anzitutto, per come è strutturato, il MES non è in grado di salvare nessuno ma solo di inguaiarlo; inoltre la disponibilità del MES è di cinquecento miliardi, che sono nulla in confronto all’entità della
voragine del sistema bancario tedesco, del quale dovrà occuparsi per forza la BCE, che è la sola che può creare nuova moneta ad hoc. In questa prospettiva il nuovo MES sarebbe stato solo un intralcio, perciò il disastro bancario tedesco potrebbe essere stato semmai un motivo da parte della Germania per concedere alla Meloni la parte della salvatrice dell’orgoglio nazionale assumendosi per conto d’altri la responsabilità di affossarne la ratifica.
La guerra tra NATO e Russia ha fatto piombare la Germania in recessione, perciò questa non è oggi nelle condizioni di fare da sponda alla lobby della deflazione italica. Il MES era stato confezionato soprattutto in funzione dell’Italia e ad uso degli “europeisti” nostrani, cioè di coloro che vorrebbero a disposizione i “vincoli esterni” per mantenere l’Italietta perennemente in austerità. Occorre ricordare che il debito pubblico italiano è soprattutto un affare interno, una guerra civile; tra l’altro la Banca d’Italia è tornata ad essere
la principale detentrice del debito pubblico.
Va anche ricordato che il MES è completamente indipendente rispetto all’Unione Europea e, per molti aspetti, nella nuova versione l’avrebbe addirittura soppiantata.
Sul sito della Banca d’Italia c’è una specie di fervorino a favore del MES in cui si cerca di sfatare le principali preoccupazioni. Ad un certo punto si afferma che l’Unione Europea non viene sostituita dal MES ma lo “affianca”. Quando qualcuno “affianca” vuol dire che non conta più nulla. Finché il MES era un giocattolo ad uso italiano, poteva andare bene, ma ora c’è il rischio che la belva sbrani anche gli altri.
Nel testo di riforma del MES c’erano delle novità davvero sconcertanti. In particolare all’articolo tre si parla di trasformare il MES in una sorta di agenzia di rating. Dal 2014 nessuno si serviva più delle prestazioni del MES, perciò nella versione riformata questo sarebbe stato dotato dei mezzi per prendere informazioni sui potenziali “clienti” e costringerli a rivolgersi, volenti o nolenti, ai suoi sportelli. Basterebbe una serie di rating negativi per trasformare chiunque in un docile accattone. Gli “europeisti” nostrani oggi si sentono “orfani” del MES e se la prendono con la Meloni, ma probabilmente stavolta è stata proprio l’Europa a mollarli.
In
un’intervista rilasciata nel 2019 da Luca Ricolfi venivano illustrati alcuni di questi aspetti inquietanti della riforma del MES, ed anche dettagli presenti già nel vecchio statuto del 2012, come lo scudo penale totale per i suoi dirigenti. C’era però nell’intervista anche un’osservazione abbastanza strana, secondo cui il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in quanto avvocato e ignaro di economia, avrebbe accettato supinamente le rassicurazioni del suo ministro dell’Economia nel governo gialloverde, Giovanni Tria. In realtà quello di “economia” è un concetto esoterico; infatti quando Giancarlo Giorgetti ci dice che il Superbonus affossa i conti pubblici, si dimostra incapace di esprimersi con un soggetto, un predicato ed un complemento, e magari con qualche esempio pratico; bisogna invece entrare in vibrazione con le sue visioni sciamaniche di centrali nucleari che emanano radiazioni. Al contrario, il MES è una cosa precisa, un racket che spia, estorce, ricatta, il tutto sotto un ombrello di impunità; quindi per un avvocato è roba rassicurante, pane quotidiano. Oggi che gli fa comodo, Conte può persino votare contro il MES senza considerare il suo gesto un sacrilegio, come invece capiterebbe alla Schlein.
Nell’ultimo trentennio la cosiddetta “aziendalizzazione” della pubblica amministrazione ha ricondotto ogni gestione del potere allo standard della delinquenza comune, perciò le porte girevoli tra pubblico e privato, ed anche tra legale ed illegale, sono un dato scontato, di cui non si è accorta solo la sinistra politicorretta ancora ipnotizzata dalla fiaba di un inesistente “liberismo”. Va anche detto però che solo la cleptocrazia europea ha avuto lo stomaco e l’improntitudine di mettere nero su bianco certe pretese di privilegio e di impunità. Sta proprio in questa spudorata tendenza della cleptocrazia europea a delinearsi uno status divino il motivo per cui, nonostante le continue debacle sociali, industriali e politiche, l’europeismo continua ad esercitare un’attrazione irresistibile sulle oligarchie. Con questo appeal criminale non c’è da stupirsi che ci siano sempre nuovi paesi in sala d’attesa per entrare nell’UE.
Secondo una certa narrativa, che si ripropone incurante del suo totale irrealismo, il governo dei sedicenti sovranisti si sarebbe arreso alla nuova formulazione del Patto di Stabilità imposto da Germania e Francia, come se questi due paesi fossero oggi nella condizione di farsi prendere sul serio da qualcuno. L’Italietta non ha mai avuto bisogno di farsi insegnare l’austerità dagli altri, e la deflazione (la “lesina”) è storicamente un valore del nostro establishment; per cui i “vincoli europei” hanno sempre svolto la funzione di un alibi e di un paravento per l’avarizia nostrana. Del resto
certi precedenti storici rappresentano un unicum italico. Nel 1976 Guido Carli, appena concluso il suo mandato di governatore della Banca d’Italia, andò a presiedere Confindustria; quindi il capo della lobby dei creditori diventava il dirigente di un’associazione di debitori; come a ribadire che la finanza è più importante dell’industria e, se necessario, va sacrificata alla stabilità della moneta ed alla tutela del valore dei crediti. Dal 1976 infatti si è avviata la deindustrializzazione dell’Italia; partendo, come sempre, da Sud. Molte imprese, invece di reinvestire nella produzione i sussidi ricevuti dal governo, li hanno usati per comprare titoli del Tesoro. Inoltre siamo l’unico paese dove due ex banchieri centrali (Einaudi e Ciampi), cioè due capi dell’ente assistenziale per i creditori, sono diventati presidenti della Repubblica; e, se quello sprovveduto di Mario Draghi non si fosse lasciato turlupinare da Mattarella, oggi ne avremmo addirittura un terzo.
La lobby della deflazione, ovvero la cleptocrazia finanziaria, ha però concesso una deroga alla cleptocrazia militare. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha infatti annunciato trionfalmente che nel testo della nuova versione del Patto sarebbe previsto di
scorporare dai vincoli di bilancio gli investimenti militari; quindi gli affari di Leonardo ex Finmeccanica sono salvi. Da bravo lobbista di Leonardo, Crosetto non esita a spacciare gli investimenti militari come un fattore di sviluppo; quando invece è il contrario, dato che sono le cose utili, non le armi, a determinare moltiplicatore economico. Tanto più che sono inutili anche come armi, dato che, ad esempio,
il caccia F-35, nella cui produzione è coinvolta Leonardo Finmeccanica, è troppo costoso anche solo per mantenerlo funzionante, perciò non servirebbe a niente in caso di guerra vera.
L’inaffidabilità del caccia F-35 è proporzionale ai suoi costi esorbitanti, ed ha messo in evidenza anche aspetti grotteschi. Il corpo dei Marines nello scorso anno ha segnalato ben tre incidenti in cui è stato coinvolto il caccia. In un incidente del settembre scorso ci sono voluti giorni per rintracciare il relitto del velivolo, quindi sono saltati persino i sistemi di tracciamento a distanza. Ciò a riprova del fatto che, ad onta della sempre più vittimistica narrativa ufficiale, il Sacro Occidente non si sente davvero minacciato da nessuno. I furori allarmistici nei confronti della pletora dei nuovi Hitler costantemente in agguato, sono soltanto in funzione del saccheggio del denaro pubblico da parte della cleptocrazia militare.
La retorica economicista viene invocata da Crosetto anche per giustificare
l’avventura della nostra Marina militare nel Mar Rosso, per dare la caccia agli Houti dello Yemen che colpiscono le navi che portano merci in Israele. Con il pretesto di prevenire una crisi energetica e l’aumento delle bollette, si giustifica un allargamento del conflitto, dimenticando che la logica economica, ed anche la decenza, imporrebbero anzitutto di bloccare il genocidio a Gaza, dal quale potrebbe sortire una guerra regionale; ed allora davvero si avrebbe una crisi energetica globale.
Senza contare l’altro assurdo economico, cioè il fatto di andare ad esporre navi militari che costano miliardi al rischio di essere danneggiate da droni che costano poche migliaia di euro ciascuno. Per difendersi da questi droni “low cost”, la Marina italiana dovrebbe usare
i missili “Aster”, di produzione francese, che costano circa due milioni di euro l’uno, quindi cento volte più di un drone degli Houti. Questa riedizione dell’ottocentesca “politica delle cannoniere”, sembra ignorare che oggi non si ha più a che fare con primitivi armati di lance e scudi. Se Crosetto è fortunato, magari gli affondano la fregata, così può stanziare i soldi per costruirne un’altra più bella e più superba (ed anche più costosa) che pria.
D’altra parte la retorica economicista ed aziendalista è diventata un veicolante e uno spot pubblicitario, con i quali la cleptocrazia militare cerca di conquistare le giovani menti ed assuefarle all’inevitabilità della guerra. Grazie all’alternanza Scuola-lavoro
il militarismo è entrato a pieno titolo nell’istruzione, dato che l’Esercito, la Marina, la NATO in fondo sono “aziende”. Facendo stage, ovvero lavorando gratis per la lobby militare, i giovani si “formano”, cioè si abituano a confondere l’economia con la cleptocrazia. Anche le Università private professano l’affinità elettiva tra militarismo e cleptocrazia organizzando
stage alla NATO, la quale non si preoccupa affatto di mostrare il suo risvolto affaristico, anzi, lo ostenta.
Ringraziamo Mario C. “Passatempo"