Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La settimana scorsa vi è stata
una polemica a distanza tra il presidente turco Erdogan e Renzi sulla vicenda del figlio dello stesso Erdogan indagato dalla Procura di Bologna per riciclaggio. Alla battutaccia di Erdogan, secondo il quale l’Italia farebbe bene ad occuparsi di mafia invece di perseguitare suo figlio, Renzi ha risposto con la barzelletta dell’anno, cioè che in Italia vige lo “Stato di Diritto”.
Non è questione solo dell’Italia, dato che lo Stato di Diritto è una di quelle fiabe che ignorano allegramente il carattere criminogeno di molte leggi, e Renzi dovrebbe saperlo bene. Quando si parla di “diritti del lavoro” si pensa a chissà che cosa, mentre invece si tratta solo di non essere minacciati, ricattati, ingiuriati e torturati. Non esiste un modo “legalitario” di abolire, o anche solo limitare, i diritti del lavoro, come dimostra appunto il renziano “Jobs Act”. Di recente il governo ha improvvisamente scoperto ciò che già si sapeva, e cioè che i famosi “voucher” sono diventati un modo per legalizzare a posteriori rapporti di lavoro in nero, ad esempio in caso di infortuni. La stampa proclama trionfalmente che arriva
la “tracciabilità” dei voucher e l’obbligo del preavviso; si minacciano inoltre multe “salate” dai quattrocento ai duemila quattrocento euro ai trasgressori. Il “consigliere economico di Palazzo Chigi” dice che il cambiamento della normativa servirà a contrastare gli abusi evidenti ma che comunque occorrerà aumentare i controlli. Ma non ci si fa sapere quanto si stanzia per questi controlli, che rimangono quindi un vago annuncio. Quale possa essere poi l’effetto di dissuasione di multe di questa entità per aziende che abusano di questa forma di precariato, è evidente a chiunque; perciò l’istigazione a delinquere insita nell’istituzione dei voucher continua pressoché indisturbata.
Lo stesso discorso vale per l’istruzione pubblica, dato che non esistono mezzi legalitari per sabotarla. Per quanto possano essere squallidi gli insegnanti e distratti, chiacchieroni e maleducati gli studenti, alla fine qualcosa si fa. Per impedire quel “qualcosa” non esiste altro mezzo che la violenza fisica e morale nei confronti degli insegnanti. Una “legge” come la “Buona Scuola” non è importante per ciò che dice, ma per il messaggio implicito di onnipotenza e impunità che lancia ai dirigenti scolastici, incaricati di farsi allevatori e mallevadori della criminalità studentesca e del mobbing reciproco tra docenti. I media di regime hanno parlato di “preside sceriffo”, mentre in effetti si tratta di presidi demagoghi, signori feudali, boss mafiosi, che con il loro accentramento di potere delegittimano automaticamente l’intero corpo docente. Il dirigente scolastico come garante dell’impossibilità di insegnare. Lo scopo non è solo di favorire la privatizzazione dell’istruzione, ma anche la spremitura finanziaria della Scuola pubblica come cliente di consulenze e collaborazioni da parte di aziende esterne. A proposito di “tracciabilità”, presidi naif lasciano dietro di sé una scia di prove documentali delle proprie efferatezze, ma l’impunità amministrativa e giudiziaria è ugualmente assicurata. Per la serie “indipendenza della magistratura”.
E a proposito di Stato di Diritto, si è anche assistito allo spettacolo di un governo che ha applicato un provvedimento, il “bail in”, prima che entrasse legalmente in vigore. Lo stesso “bail in” costituisce anche l’esempio di come il sistema del lobbying sia congegnato in modo tale da scalzare il lobbismo più “lecito” a vantaggio di quello più apertamente criminale. Le grandi banche italiane si sono trovate spiazzate da una legge che affossa la loro raccolta di risparmio (chi sottoscriverebbe oggi una obbligazione bancaria?) e le consegna ad operazioni di “salvataggio” da parte di opere pie come JP Morgan; un “salvataggio” che si pretenderebbe di attribuire al mitico “mercato”, ma che invece il governo vorrebbe finanziare utilizzando illegalmente i fondi della Cassa Depositi e Prestiti, fondi soggetti a precisi vincoli statutari. Spacciato come soluzione “interna” alle crisi bancarie, il “bail in” in realtà le ha accelerate, accentuando i rischi di contagio per quelle che sembravano fortezze inattaccabili come Cassa Depositi e Prestiti. Nel frattempo, lo stesso “bail in” serve anche ad indirizzare i piccoli e medi risparmiatori verso l’offshore.
Un bel regalo per le banche svizzere.
Renzi ha potuto vincere facilmente la sua battaglia contro Bersani, un politico indottrinato dal Fondo Monetario Internazionale ma ancora troppo legato al territorio ed agli interessi delle piccole-medie aziende e delle municipalizzate del Centro-Nord. Per un’oligarchia il radicamento si rivela uno svantaggio; più è invece sradicata e irresponsabile, più un’oligarchia può farsi agevolmente complice del lobbying sovranazionale. Dopo la caduta del Muro di Berlino si è visto il gruppo dirigente dell’ex PCI staccarsi dalla sua tradizionale base sociale e levitare come una bolla che è andata a cavalcare l’euro, cioè gli interessi deflazionistici della grande finanza. Dopo l’euro sono arrivate partnership lobbistiche anche più inconfessabili, come dimostra il “bail in”. Ai governi basta poi spacciare il loro lobbismo come attivismo ed atteggiarsi a vittime e incompresi di fronte alle critiche. Meno male che ci sono quelli come Erdogan ad addossarsi l’etichetta mediatica del volto criminale del potere.
La Convenzione del Partito Democratico (quello a denominazione di origine controllata, non le imitazioni nostrane) si è conclusa con la scontata consacrazione della candidatura di Hillary Clinton, e, soprattutto, con il previsto
calo di brache da parte di Bernie Sanders, il candidato danneggiato dalle frodi della dirigenza del partito a favore della Clinton. Sanders ha lanciato un appello all’unità del partito attorno alla candidatura Clinton ed ha giustificato la propria sottomissione con la necessità di fronteggiare il pericolo rappresentato dal candidato repubblicano, il “bullo” Donald Trump. D’altra parte, visti gli intrighi perpetrati nei confronti di Sanders, la stessa candidatura di Trump si espone al sospetto di costituire soltanto un’ulteriore mistificazione a favore della Clinton, contrapponendole l’unico candidato disponibile sulla piazza che sia più impresentabile di lei. Il risultato è che non solo si premia la Clinton per aver barato, ma addirittura la si santifica come se fosse la nuova Giovanna d’Arco chiamata a salvare il mondo dalla minaccia Trump.
Ai sostenitori di Sanders rimane anche un altro dubbio, forse più inquietante: visto che Sanders ha rivelato alla fine di non essere un vero candidato anti-establishment, che bisogno c’era di farlo fuori con dei trucchi? Ne potrebbe venir fuori una sorta di paradosso: a volte imbrogliare è necessario perché non si capisca che imbrogliare non era davvero necessario, cioè che un candidato vale l’altro, perché tanto non è mica il presidente a comandare.
Con la sua consueta protervia, la Clinton ha cercato di rovesciare la vicenda delle frodi a proprio favore, accusando Putin di essersi inserito con le sue spie nel sistema informatico del Partito Democratico. Ammesso che fosse vero - e probabilmente non lo è -, la filosofia della Clinton consiste evidentemente nel considerare colpevole non chi commette le frodi, ma chi aiuta a scoprirle. Quando qualcuno ha accusato la CIA di aver confezionato in funzione anti-Putin i “Panama Papers”, cioè il dossier sui conti nelle società offshore, nessuno dei media occidentali ha ritenuto di considerare le accuse contro la CIA più rilevanti di quelle contro Putin, come invece sta accadendo adesso per le presunte intromissioni russe nel sistema del Partito Democratico. Tra l’altro nei “Panama Papers” Putin non è mai nominato, perciò i media sono arrivati a lui per proprietà transitiva, dato che vi erano i nomi di magnati russi. Cosa ti può fare l’amore per la verità. Per screditare Putin forse sarebbe stato più attendibile ricordare più spesso che egli ha ricevuto la cittadinanza di quella entità extra-territoriale che è la City londinese, cioè la suprema lavanderia del capitale.
Strano poi che negli USA ci si sia scandalizzati tanto per le società offshore, dato che
un “rispettabile” Stato americano come il Delaware è per l’appunto un paradiso fiscale che ha adattato la propria legislazione in funzione delle società offshore. Paradisi fiscali non sono soltanto sperdute isole dei Caraibi o loschi emirati arabi, ma Paesi di serie A. Viene quasi il sospetto che tra le intenzioni recondite della pubblicazione dei “Panama Papers” vi fosse quello di screditare un paradiso fiscale ormai sgamato come Panama per accreditare nuove lavanderie del capitale più titolate e protette come il Delaware.
Lavare/riciclare il denaro costituisce attualmente una delle attività principali, poiché nella mobilità i capitali si ripuliscono e si rigenerano. Non si tratta solo di coprire il denaro di provenienza illecita, ma anche di provenienza lecita. Ad esempio, la Banca Centrale Europea sta concedendo alle banche europee
prestiti considerevoli a tassi di interesse zero, con l’unica condizione che i fondi vengano impiegati per aprire credito alle imprese locali.
Per aggirare questo vincolo ed esportare il denaro appena ricevuto, le banche non devono fare altro che prestare quel denaro a società con sede in Italia ma che a loro volta siano azioniste di società offshore, dato che nessuna legislazione lo vieta. In tal modo si perde ogni traccia della fonte originaria dei soldi. L’offshore non serve solo a ripulire il denaro del narcotraffico e ad eludere il fisco, ma anche a celare una delle massime vergogne del capitalismo, cioè che il capitale ha la sua origine nella spremitura del contribuente, cioè nei finanziamenti che gli Stati elargiscono alle imprese ed alle banche magari col pretesto di “salvarle”. Dopo le centinaia di miliardi elargiti direttamente dagli Stati, o tramite quella finzione che è il MES o Fondo “Salva-Stati” (in realtà salva-banche), le banche sono ancora in crisi. Le banche italiane sono più nel mirino di altre, ma la tempesta finanziaria sembra non salvare nessuno.
In nome della mobilità dei capitali si sta assistendo ad un suicidio politico degli Stati. Sino a qualche decennio fa l’esportazione dei capitali era un reato penale, mentre oggi gli Stati, attraverso i fondi europei, finanziano apertamente l’esportazione dei capitali. In altri termini, il lavoratore paga le tasse per finanziare la delocalizzazione dell’impresa di cui è dipendente, cioè finanzia il proprio licenziamento. Come è potuto accadere? Il problema è che lo Stato non esiste: in parte è una superstizione, in parte è un’astrazione giuridica, ma soprattutto è uno pseudonimo delle lobby finanziarie.
L’altro problema è che le imprese e le banche stesse sembrano oggi patire l’eccesso di mobilità dei capitali, tanto che stanno cedendo l’iniziativa a quelle
nuove creature mostruose (sviluppatesi proprio in funzione del lavaggio dei capitali) che sono gli “hedge fund”, risultati al centro della speculazione che oggi colpisce i titoli bancari. Dato che in inglese “hedge” significa siepe, verrebbe da dire: “il buio oltre la siepe”.
La scelta di abolire qualsiasi ostacolo alla circolazione dei capitali è stata spacciata come un incentivo allo sviluppo, mentre al contrario si è risolta in una cronica depressione dell’economia reale a vantaggio di una speculazione finanziaria sempre più distruttiva e caotica. Per rimettere ordine nella finanza occorrerebbe rilanciare l’economia reale, un risultato che si può raggiungere soltanto limitando la mobilità dei capitali e consentendo investimenti pubblici. In altre parole, sarebbe necessario lasciare che il denaro pubblico rimanga tale, senza essere “lavato”. Ma da quest’orecchio l’oligarchia statunitense non ci sente, poiché una ripresa dell’economia mondiale comporterebbe un ulteriore sviluppo dei cosiddetti “BRICS”, ed in particolare della Russia. Gli Stati Uniti oggi rappresentano solo un quinto dell’economia mondiale e non intendono scendere al di sotto di questa soglia di garanzia per la loro posizione dominante. Secondo settori dell’oligarchia finanziaria statunitense il caos finanziario dovrebbe quindi trovare il suo sbocco “naturale” in una guerra contro la Russia. Non sorprende perciò che si punti sulla Clinton, non perché sarà lei a decidere, ma perché con il suo look nevrastenico potrà abituare l’opinione pubblica all’idea di una guerra mondiale.