Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La colonna sonora della scorsa settimana è stata l'inno della Marsigliese, suonato in tutte le salse ed in tutte le occasioni; ciò, si è detto, per "solidarietà" nei confronti del popolo francese. In realtà la riproposizione dell'inno della Rivoluzione Francese del 1789 ha finito per assumere una valenza simbolica molto più profonda, ed anche molto meno rassicurante.
La Rivoluzione Francese, almeno ai suoi inizi, aveva proposto un'idea di cittadino non come semplice soggetto di diritti e doveri, ma come vera e propria funzione della Repubblica. In tale concezione, il cittadino si poneva come controllore assiduo della legalità e della legittimità degli atti del governo e dell'amministrazione. Già nei decenni successivi questo ideale si annacquava tramite la mediazione della stampa, che trasformava la cittadinanza in "opinione pubblica", la cui presunta funzione di controllo diventava così controllabile.
Gli avvenimenti di queste ultime settimane configurano un modello di potere addirittura opposto a quello del 1789, dato che il cittadino si ritrova retrocesso al ruolo nemmeno di suddito, ma di ostaggio da parte di un potere che pretenderebbe di porsi come protettore e difensore di una popolazione che esso stesso minaccia con le sue proprie iniziative spericolate.
Che il presidente francese Hollande possa arrogarsi il diritto di parlare a nome delle vittime degli attentati di Parigi, che possa pretendere di essere lui ad adottare iniziative belliche e diplomatiche per proteggere i Francesi, appare infatti alquanto paradossale. Anche volendo ammettere l'improbabile matrice ISIS/Daesh degli attentati di Parigi, non è stato lo stesso Hollande uno dei maggiori destabilizzatori del potere legale in Siria dal 2011 in poi? Non è stata questa destabilizzazione a fornire una base territoriale all'ISIS? Non è stato lo stesso Hollande a fornire pieno riconoscimento diplomatico alle "opposizioni" in Siria, cioè indirettamente anche all'ISIS? E allora di che parla?
Se il cittadino si ritrova ridotto ad ostaggio del proprio governo, l'opinione pubblica viene avvilita al ruolo di claque di quello stesso governo. L'informazione ufficiale si fa carico di seminare l'opportuna confusione, affinché le poche notizie concrete si sfilaccino in un confusionario rumore di fondo. Tra i dati certi c'è il ruolo di finanziatori dell'ISIS svolto dalle petromonarchie del Golfo Persico, che sono i maggiori partner commerciali della Francia ed anche i suoi maggiori clienti nella vendita di armi. Gli affari sono affari, perciò le responsabilità dell'Arabia Saudita e del Qatar devono sparire dal dibattito ufficiale e, per gettare un po' di fumo, autorevoli organi d'informazione come "La Stampa" di Torino mettono sullo stesso piano le precise contestazioni rivolte a Qatar ed Arabia Saudita con le accuse generiche e non circostanziate lanciate contro Assad e contro l'Iran.
"La Stampa" è però lo stesso quotidiano che l'anno scorso documentava i rapporti finanziari tra Qatar ed ISIS. Si vede che allora non si era ancora stabilito del tutto il sistema delle veline e delle censure.
Lo scorso anno il quotidiano britannico "The Guardian" forniva le stesse informazioni, e dava conto delle dirette responsabilità non solo del Qatar, ma anche dell'Arabia Saudita e del Kuwait nella genesi e nello sviluppo del terrorismo pseudo-islamico. Il tutto veniva corredato con l'illustrazione degli intrecci d'affari che coinvolgevano il Regno Unito.
Ciò non impediva lo scorso anno al Qatar di ospitare nientemeno che un summit della NATO, con la presenza del segretario generale Stoltenberg. La NATO è una cordata di lobby degli affari ma, nel suo ruolo istituzionale, viene chiamata a santificare in nome dei principi della difesa e della sicurezza tutte quelle operazioni di vendita di armi e di traffico clandestino di petrolio che mettono a rischio le popolazioni.
I media hanno creato un mito superomistico attorno all'ISIS: un'entità arcaica, ma modernissima, espertissima in tecniche di comunicazione e nell'uso dei social network, abilissima ad autofinanziarsi con tassazioni sul territorio e traffico di petrolio. Una Spectre islamica da film di 007.
Sarebbe molto rassicurante, e fuorviante, anche ridurre la questione ISIS ad una narrazione del tipo della Creatura di Frankenstein sfuggita al controllo del suo creatore. Così come rappresenterebbe una sbrigativa semplificazione l'ipotesi che l'attentato di Parigi sia un false flag di marca "europeistica", per avere il pretesto per approntare una "difesa europea" e sforare il Patto di Stabilità con i business della "sicurezza". False flag certamente sì, ma il quadro d'insieme non è affatto chiaro. Il vero problema è che il casino suscitato con la destabilizzazione della Libia e della Siria va ben oltre la stessa ISIS.
Ben quattro Paesi sono stati coinvolti sin dall'inizio nel finanziamento dell'ISIS: Arabia Saudita, Qatar, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Nell'addestramento e nell'appoggio alla stessa ISIS sono risultati coinvolti gli USA, la Francia, il Regno Unito e la Turchia. Il reclutamento dei militanti ISIS è stato operato in un'area che va dal Vicino Oriente sino ai Balcani. Tutto ciò con il coinvolgimento di varie agenzie, sia statali che private, con il ruolo, ovviamente, anche di istituti bancari per il trasferimento di fondi. Gli intrecci affaristici che si sono creati tra Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Turchia da un parte e petromonarchie dall'altra, hanno quindi messo in campo una serie di lobby d'affari, trasversali agli stessi Stati ed agli stessi servizi segreti, ogni lobby attorno ad uno specifico business, o anche più business. L'estensione, la ramificazione ed il potere di queste lobby rappresenta oggi la vera incognita. Anche l'oscura uccisione dell'ambasciatore USA Stevens a Bengasi nel 2012 si inquadra, probabilmente, in una di queste faide affaristiche.
A questo punto non si sa neppure chi siano i veri attori del gioco, ed Hollande sta solo fingendo un attivismo che dia l'illusione di poter controllare la situazione. L'abbattimento di martedì scorso di un jet russo da parte della Turchia riconferma che non è affatto l'ISIS il centro del problema.
Di tutto ciò la gran parte dell'opinione pubblica non ha alcuna consapevolezza. Il dibattito mediatico si accende invece sulle responsabilità dell'Islam e sul problema delle banlieue, i quartieri degradati di Parigi, a riprova del fatto che l'alternativa ludica che viene offerta all'opinione pubblica non è tra razzismo ed antirazzismo, ma tra un razzismo "hard" ad uso delle destre, ed un razzismo "soft" ad uso delle "sinistre".
La debacle dei servizi segreti francesi verificatasi venerdì scorso, è stata l'occasione per riciclare il vecchio luogo comune secondo cui gli insuccessi dei servizi vengono clamorosamente alla ribalta, mentre i successi rimangono nell'ombra. In uno di quegli articoli scritti all'insegna del "ci ho famiglia", anche lo scrittore Erri De Luca nel febbraio scorso ha cercato di ridare lustro a questo luogo comune, e lo ha fatto, nientemeno, che sul sito ufficiale dei servizi segreti.
Si tratta di uno di quegli argomenti inconfutabili, e quindi, come tutto ciò che si pone come inconfutabile, appartiene al regno del nonsenso. Sarebbe come se i medici si facessero vanto del fatto che in giro ci sono ancora tante persone vive. Se si rimane invece nell'ambito della logica, quanto è avvenuto venerdì toglie attendibilità a tutto ciò che i servizi di "intelligence" francesi stanno diffondendo adesso a proposito degli attentatori, a cominciare dai famosi passaporti degli attentatori, così fortunosamente ritrovati in stile 11 settembre.
In particolare l'attribuzione dell'attentato all'ISIS ha riscosso il meditato scetticismo di molti commentatori non ufficiali. L'attentato nel quartiere sciita di Beirut, avvenuto il giorno prima di quello di Parigi, possiede, oltre che la scontata rivendicazione, soprattutto il marchio inconfondibile dell'ISIS, poiché è evidente il proposito di colpire la base sociale del principale nemico arabo del jihadismo sunnita, cioè Hezbollah.
L'interesse dell'ISIS nell'attuare un attentato in Francia, cioè contro uno dei suoi principali alleati contro Assad, era invece praticamente zero. Persino se si prendesse per buona la ridicola storiella ufficiale secondo cui Hollande non ha mai appoggiato l'ISIS, ma i ribelli "moderati" anti-Assad, rimarrebbe il fatto che l'ISIS non avrebbe alcun tornaconto a mettersi contro uno dei più inflessibili nemici del proprio nemico Assad. Infatti sinora né l'ISIS, nè le altre formazioni jihadiste come Al-Nusra, hanno mai attaccato Israele, poiché per anni è stata proprio l'aviazione israeliana ad impedire il controllo aereo da parte del regime di Assad nel sud della Siria.
Nel solito articolo sbattuto in bella evidenza sul "Corriere della Sera", Bernard-Henri Lévy, con un effetto di comicità involontaria, arriva ad intimare ai mussulmani francesi di chiarire da che parte stanno. Ma perché questa domanda non la rivolge ad Hollande ed al suo amico Sarkozy, visto che tutti e due hanno appoggiato, armato e addestrato le milizie jihadiste per far fuori Gheddafi e Assad?
Se l'attribuzione all'ISIS non regge sul piano della logica bellica, si può sempre ricorrere all'argomento inoppugnabile secondo il quale non si può cercare una razionalità nel comportamento dei fanatici. Perciò è tutto a posto, e Bernard-Henri Lévy può continuare a pubblicare fesserie.
Sulla stampa ufficiale è spuntata peraltro l'ipotesi di un attentato false flag da attribuire al cattivissimo dittatore Assad. Visto che la Francia appoggia la rivolta contro il suo regime, perché non ricambiare il favore con un mega-attentato da scaricare proprio su quei ribelli?
Ma anche in questo caso l'ipotesi rimane troppo astratta. Se è vero che Assad avrebbe avuto un generico interesse a mettere sulla graticola il suo persecutore Hollande, è anche vero che il suo concreto interesse immediato è invece quello di procedere con i piedi di piombo in campo internazionale, specialmente ora che la Russia si è decisa a dargli seriamente una mano. Putin si è spinto persino a "rivelare" pubblicamente ciò che già si sapeva, e cioé che l'Isis è un'espressione delle petromonarchie (Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti: tutti Paesi coordinati con la NATO). Tra l'altro il maggior partner d'affari delle petromonarchie, oggi è proprio la Francia di Hollande.
A che pro Assad dovrebbe rischiare di creare difficoltà ad un Putin finalmente così lanciato sul piano diplomatico? Ma anche in questo caso c'è a disposizione la pezza d'appoggio dell'argomento inoppugnabile. Vale per i dittatori la spiegazione a cui si fa sempre ricorso contro gli insegnanti: sono pazzi.
Lunedì scorso, a Rainews24, Mario Monti ha riportato in auge la tesi a lui cara, secondo cui la costruzione europea ha bisogno delle crisi, perciò ben venga anche l'attentato di Parigi se serve a costruire gli Stati Uniti d'Europa. L'auto-candidatura di Mario Monti a colpevole dell'attentato di Parigi è molto generosa, ma, anche in questo caso, un po' troppo generica. Ciò che ha funzionato nel campo della finanza, non è detto che funzioni nei business della "sicurezza" che si vanno preparando; anche considerando che, quando si tratta di controllo dei flussi migratori, i governi europei sono l'un contro l'altro armati, e perciò l'attentato di Parigi potrebbe sortire persino l'effetto opposto a quello auspicato da Monti.
Il false flag non è il "complotto". Il false flag è uno schema, peraltro storicamente consolidato e accertato. Basti considerare che anche il primo atto delle guerra d'indipendenza americana, il Boston Tea Party del 1773, fu un false flag, poiché dei coloni americani, travestiti da indiani, attaccarono un vascello inglese ancorato nel porto.
Se nel caso dell'attentato di Parigi il false flag è un dato certo, il "cui prodest" è però ancora allo stato ipotetico. Un interesse a che succeda qualcosa, non costituisce di per sé un movente. Nel caso dell'11 settembre ci sono voluti le migliaia di miliardi di dollari del "Patriot Act" - fatti stanziare a scatola chiusa ed occhi bendati al Congresso USA a favore delle aziende della lobby di Cheney e Rumsfeld -, per avere davanti agli occhi un movente preciso per l'attentato alle Torri Gemelle. Il fatto di riconoscere nel business il movente di un false flag, non è dovuto all'attaccamento ad un "materialismo storico" d'accatto, ma alla considerazione che certe operazioni sono costose e rischiose, sono dei veri e propri "investimenti", che devono avere un ritorno. Ma finché non sarà disponibile un'evidenza del genere, la formula da adottare sarà quella della risposta dei computer di Star Trek: "dati insufficienti".
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