Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nel corso dell’ultimo anno in molti si sono chiesti quale potesse essere il motivo della santificazione mediatica operata nei confronti di Guido Bertolaso, attuale boss della Protezione Civile. La risposta è arrivata dalla riunione del Consiglio dei Ministri del 17 dicembre ultimo scorso, quando il governo ha istituito una società per azioni per la gestione dei servizi della Protezione Civile, attuando quindi una vera e propria privatizzazione del settore. È da notare il fatto che negli stessi giorni in cui la privatizzazione veniva introdotta, Bertolaso intratteneva, e distraeva, l’opinione pubblica discettando con toni moralistici sull’opportunità o meno di darsi da fare per il salvataggio degli escursionisti più spericolati.
Sarà un caso, ma manco a farlo apposta, anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa, qualche giorno dopo, rilasciava ai media analoghi commenti sulla sconsideratezza degli italiani fattisi rapire in Mauritania; e questo proprio mentre il ministero della Difesa veniva sottoposto anch’esso ad una privatizzazione, col solito trucco della SPA, in base all’articolo 2 comma 23 della Legge Finanziaria. In tal modo La Russa, da ministro della Difesa, è divenuto il padrone della Difesa.
Santificazioni e moralismo a vuoto sono serviti a distrarre la pubblica opinione dal vero scopo di queste SPA, che è quello di alienare a favore di società private, anche se a capitale pubblico, gli enormi patrimoni immobiliari della Protezione Civile e della Difesa. Ciò vuol dire che i proventi delle tasse spremute ai cittadini andranno a finanziare il furto di proprietà pubbliche, quindi un furto per finanziarne un altro.
Il trucco è sempre lo stesso: visto che non si può privatizzare un ministero, allora se ne privatizza la “gestione”, quindi i soldi sono pubblici, ma i profitti sono privati. Ma tutto ciò non costituisce un artificio legale, bensì una vera e propria illegalità, e per questo motivo era importante mettere tutti davanti al fatto compiuto il più velocemente possibile, in modo da creare un blocco di interessi e complicità che renda vani i tentativi di tornare alla legalità.
“Nelle correnti corrotte di questo mondo la mano dorata del delitto può scansare dalla giustizia, e spesso si vede il ricavato stesso del crimine servire a comprare la legge.” (Amleto, atto III, scena III).
È significativo che questa frase di Shakespeare sia stata scritta tra il 1600 ed il 1602, cioè nel periodo in cui nascevano in Inghilterra le prime Compagnie Commerciali, come la Compagnia delle Indie Orientali, antenata delle attuali multinazionali, istituita formalmente il 31 dicembre del 1600. Nel teatro inglese dell'inizio del '600 - definito con tipico falso storiografico come "elisabettiano", quando invece la regina Elisabetta non ebbe assolutamente nulla a che vederci -, era frequente lanciare denunce sociali camuffandole con gli espedienti dell'arte retorica barocca. L’espressione poetica “correnti corrotte” ("corrupted currents" nell'originale di Shakespeare) sembra infatti alludere proprio ai percorsi delle navi della Compagnia delle Indie.
Le Compagnie Commerciali erano organizzazioni criminali specializzate in traffico di merci ottenute attraverso la pirateria, organizzazioni talmente redditizie da potersi permettere di comprare a posteriori la loro legalizzazione, anzi, tutta una serie di privilegi legali. Le Compagnie Commerciali non solo ottennero il privilegio di esercitare i loro commerci in regime di monopolio, ma anche quelli dell'esenzione da qualsiasi imposta, beneficiando in più di regolari sussidi statali, in modo da potersi permettere di fare concorrenza da posizioni di vantaggio anche nei confronti dei produttori locali inglesi. Insomma, nulla di diverso dal repertorio delle attuali multinazionali.
Per giustificare i privilegi delle Compagnie Commerciali, nacque nel corso del ‘700 e dell’800 anche una “scienza economica”, che chiamò tutto questo “libertà di commercio” o “libero scambio”. La sedicente “scienza” economica si incaricava perciò di sovvertire le evidenze della realtà, avvolgendole nel fumo del mito. Il cosiddetto “capitalismo” - in realtà affarismo criminale assistito dallo Stato - consiste infatti nella fusione della delinquenza comune legalizzata con la tecnica pubblicitaria, per cui, ad esempio, il rubare viene oggi presentato con lo slogan: “introdurre criteri di efficienza e meritocrazia”.
A questo punto non c’è più bisogno neanche di complotti, basta il conformismo, per il quale chi voglia far carriera nel mondo della comunicazione sa istintivamente ciò che deve raccontare al popolo. In una recente intervista rilasciata a "Repubblica Radio-TV", Roberto Saviano ha avuto la faccia tosta di affermare che, per salvare la Campania dal potere delle organizzazioni criminali, è necessario un intervento della “parte sana dell’imprenditoria”, cioè la Confindustria. Come a dire che per combattere delle organizzazioni criminali occorre affidarsi ad un’altra organizzazione criminale, quella stessa organizzazione criminale - Confindustria, appunto - che ha ottenuto la legalizzazione e santificazione dell’asservimento più avvilente del lavoro attraverso la Legge 30; asservimento ribattezzato dai pubblicitari dell’affarismo criminale come “flessibilità”. Ed è la stessa Confindustria che pretende e ottiene quotidianamente dal governo “soldi veri” per finanziare appalti e privatizzazioni.
Il filo di continuità di queste carriere giornalistiche che cominciano in testate come " Il manifesto", proseguono a "La Repubblica", e finiscono alla Mondadori, sta appunto in questa mitizzazione del cosiddetto capitalismo, celebrato dapprima sotto le parvenze di una finta critica, e poi glorificato spudoratamente come salvezza del mondo.
È difficile stabilire cosa stia effettivamente avvenendo in Iran in queste ore, ma risulta invece molto facile accorgersi di quale sia il “target” a cui oggi è indirizzata la propaganda dei media del sedicente Occidente. Questo target, da influenzare e fagocitare, è costituito chiaramente dalla opinione pubblica di sinistra.
In questi ultimi anni il nome “Iran” è stato associato dalla propaganda dello pseudo-Occidente al nucleare, quindi ad un’immagine negativa per l’opinione progressista. Parlare continuamente del pericolo del “nucleare iraniano” è servito a far perdere di vista il vero oggetto del contendere, cioè il gas iraniano.
L’Iran, da solo, detiene circa la metà delle risorse mondiali di metano, quindi più della Russia e dell’Algeria messe assieme. Proprio pensando al business del gas iraniano, la multinazionale British Petroleum ha cambiato il suo nome - pur conservando lo stesso acronimo, BP - in Beyond Petroleum, cioè “oltre il petrolio”, dato che l’energia economica e relativamente pulita del metano costituisce la maggiore risorsa industriale e commerciale del presente e del prossimo futuro.
La privatizzazione del gas iraniano rappresenterebbe quindi uno dei maggiori business di tutti i tempi, e si tratta di un business che non affascina soltanto le multinazionali del sedicente Occidente, ma anche gran parte della oligarchia clericale iraniana, quella stessa ala clepto-clericale capitanata dagli ayatollah Mousavi e Rafsanjani, che ha imposto al governo iraniano l’affare del nucleare, con il suo annesso giro gigantesco di appalti e tangenti. Mousavi e Rafsanjani sono anche i referenti in Iran della BP, nonostante che questa multinazionale sia stata responsabile di ottanta anni di tirannia in Iran, ed abbia anche condotto, insieme con la CIA e i servizi segreti britannici, il colpo di Stato del 1953 contro il primo ministro conservatore Mossadeq, colpevole soltanto di voler porre dei limiti alla rapina del petrolio iraniano. Va sottolineato che, anche nella vicenda di Mossadeq, gran parte del clero sciita, composto già allora di numerosi affaristi e latifondisti, si rese complice del colpo di Stato. La figura dell'ayatollah Khomeini, guida della rivoluzione anticolonialista in Iran nel 1979, ha costituito in questo senso una rilevante eccezione rispetto ad una tradizione storica che ha visto invece il clero sciita troppo spesso in una posizione collaborazionistica nei confronti del colonialismo.
Chiunque sarebbe in grado di verificare, attraverso una rapida inchiesta personale, quante persone siano a conoscenza della questione del gas iraniano: pochissimi, anche comprendendovi i “fruitori” di Internet, che pure è considerato il “canale” alternativo per eccellenza. Ancor meno sanno che l’ayatollah Rafsanjani, l’uomo più ricco dell’Iran, possiede numerose università private, le stesse università da cui provengono quegli studenti che nei mesi scorsi sono stati visti manifestare per le vie di Teheran. Ancor meno ricordano che sono solo di pochi mesi fa le notizie di inchieste giudiziarie sul coinvolgimento della CIA, ed anche dell’italiano SISMI, in una serie di sanguinosi attentati in Iran; un dato che il presidente USA Barack Obama non ha smentito, anche se ne ha attribuito la responsabilità esclusivamente all’amministrazione Bush. Tutte notizie che sono circolate anche su Internet, ma che sullo stesso Internet risultano attualmente marginalizzate a favore di altre.
I media “occidentali” oggi ci “informano” invece sulla circostanza che il principale strumento di comunicazione della “opposizione” iraniana sarebbe proprio Internet, uno strumento che il regime iraniano cercherebbe invece di limitare e soffocare. Anche in Italia c’è un governo nuclearizzato che criminalizza Internet, perciò per la sinistra italiana può risultare inevitabile e automatico il meccanismo di identificazione con la presunta "ribellione" in Iran; senza accorgersi che la solita coreografia di "rivoluzione colorata" copre probabilmente un tentativo di colpo di Stato da parte di settori dell'oligarchia clericale e, ovviamente, delle multinazionali.
Grande strumento commerciale e di intrattenimento, Internet è diventato anche un importante canale della comunicazione di opposizione, ma questo canale alternativo si è rivelato di agevole intossicazione, come proprio il caso iraniano ha dimostrato, allorché è stato lanciato su YouTube del materiale audiovisivo a forte contenuto emotivo, tale da spiazzare ogni riflessione critica sulla effettiva composizione dell'opposizione iraniana. In tal modo è stato messo in ombra per settimane il fatto che i leader dell'opposizione iraniana appartengono proprio alla componente più affaristica e corrotta del clero sciita, mentre il più "laico" di tutti risulta alla fine essere proprio il mostro mediatico Ahmadinejad. Il mito di YouTube ne è uscito perciò parecchio ridimensionato, e si è cominciato a chiedersi quale tipo di controllo subisca, ed eserciti, questo canale "alternativo", troppo funzionale a lanciare ed accreditare dei falsi.
Il materiale audiovisivo circolato su Internet durante la precedente rivolta in Iran quindi appariva chiaramente confezionato in funzione della manipolazione dell'opinione pubblica "occidentale", educata da sempre a valutare gli avvenimenti sulla base di valori astratti o ad inseguire concetti mitologici e fumosi come il "mercato", ed a non domandarsi quali operazioni affaristiche siano in gioco.
Un esempio di questa perdita di contatto con la realtà, lo fornì Fausto Bertinotti in occasione del suo discorso di insediamento alla presidenza della Camera, quando affermò che nella lotta politica non si dovevano più individuare dei nemici, ma solo avversari. Bertinotti non valutava che il rapporto di inimicizia comporta comunque il riconoscere all’altro una qualche dignità; e infatti l’affarismo non riconosce mai di avere dei nemici, anzi, la sua propaganda non fa altro che presentarci dei mostri da esecrare. Chiunque si opponga all’affarismo viene triturato in questo processo propagandistico di “despecizzazione”, che lo estromette dalla comunità umana. Chi si oppone alle privatizzazioni, non è individuato semplicemente come un nemico dei privatizzatori, ma come un nemico dell’umanità tout-court, cioè un mostro.
L’attuale mostruosità del regime iraniano deriva quindi dal fatto che esso risulta un ostacolo - soggettivo o oggettivo - alla privatizzazione del gas. Ciò non assolverebbe il regime iraniano dai suoi eventuali crimini, ma porrebbe la questione in termini più concreti, e farebbe anche meglio capire a quali violazioni di diritti umani oggi alluda il governo statunitense quando denuncia ciò che avviene in Iran, e cioè i diritti umani delle multinazionali: il diritto di privatizzare, il diritto di far pagare le privatizzazioni ai contribuenti, ecc.
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