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"Politically correct" è l'etichetta sarcastica che la destra americana riserva a coloro che evitano gli eccessi del razzismo verbale. "Politicamente corretto" è diventata la locuzione spregiativa preferita ovunque dalla destra. In un periodo in cui non c'è più differenza pratica tra destra e "sinistra", la destra rivendica almeno la sguaiataggine come proprio tratto distintivo."

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 23/07/2009 @ 01:18:59, in Commentario 2009, linkato 1837 volte)
In Iran l’ayatollah Rafsanjani è uscito finalmente, e definitivamente, allo scoperto, rivelandosi come il vero capo del tentativo di rivoluzione colorata seguito ai risultati elettorali sfavorevoli al suo protetto, Mousavi, anche lui esponente del clero sciita. Crolla dunque l’edificio mediatico costruito nelle scorse settimane, tendente a spacciare il tentato golpe dell’ala clepto-clericale del regime iraniano, come una spontanea rivolta dei giovani e delle donne contro l’oppressione del clero.
L’organo ufficiale della CIA in Italia, il quotidiano “Il Foglio”, ha cercato di correre ai ripari scrivendo che i giovani in lotta a Teheran meritavano qualcosa di meglio di Rafsanjani; ma, se così fosse, quei giovani non avrebbero dovuto iscriversi alle sue università. Rafsanjani, oltre ad essere l’uomo più ricco dell’Iran, possiede infatti numerose università private, da cui provenivano gli studenti che sono scesi in piazza per protestare contro i presunti - ormai molto presunti - brogli. Romano Prodi ha invece affermato che oggi, per l’Iran, Rafsanjani rappresenta la speranza. Certamente la speranza di privatizzare e di aprire l’Iran alle multinazionali anglo-americane.
Il programma di Rafsanjani non ha nulla a che vedere con le libertà civili di cui i media hanno favoleggiato, ma riguarda la privatizzazione del petrolio e del gas, il cambio delle alleanze in funzione filo-USA, ed antirussa ed anticinese. Neppure l’abbandono del programma nucleare, tanto criminalizzato dai media occidentali, rientra negli intendimenti di Rafsanjani; e non c’è da stupirsene, dato che il nucleare era stato imposto proprio dal clepto-clero sciita, che vi aveva visto un’occasione per la spartizione di laute tangenti (le stesse nobili motivazioni che hanno imposto nei giorni scorsi la decisione del Parlamento italiano di ritornare al nucleare).
Chi scorga nell’attuale tentativo di golpe da parte di Rafsanjani la mano degli USA, non può essere che un dietrologo; una definizione che si applica di solito a coloro che hanno una memoria dei fatti che arrivi ad almeno un anno indietro. Il quotidiano “La Repubblica”, ad esempio, rappresenta oggi uno dei principali sostenitori della “rivoluzione” in Iran; ma è lo stesso quotidiano che appena un anno fa, nel giugno del 2008, rivelava per primo del coinvolgimento del SISMI in un tentativo di golpe in Iran.
Le rivelazioni del giornalista di “La Repubblica”, Giuseppe D’Avanzo, avevano fatto sì che la Procura di Roma aprisse un fascicolo sulla vicenda, affidandolo al magistrato Ionta. Sono notizie di appena un anno fa, riportate con grande evidenza da tutti i quotidiani, ovviamente “la Repubblica” primo tra tutti. Chi era la fonte delle notizie riportate da D’Avanzo? Forse Webster Tarpley, lo scrittore americano che ci aveva avvisato con un anno e mezzo di anticipo di questo tentativo di “rivoluzione colorata” in Iran?
No, la fonte di D’Avanzo era il Congresso degli Stati Uniti, che, attraverso una sua commissione d’inchiesta, aveva scoperto attività illegali dei servizi segreti USA in Iran nel 2001, attività in cui risultava coinvolto anche il SISMI.
Il servizio segreto militare italiano, per la verità, ha cambiato nome, ma la stampa ha continuato spesso a riferirsi alla sigla SISMI. Una volta tanto, ciò non può essere attribuito alla solita superficialità dei giornalisti; perché, ormai, non si può essere più sicuri di quale sigla indichi al momento il servizio segreto militare, dato che l’acronimo che attualmente lo identifica (AISE , Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna), non è neppure quello che era stato prospettato all’atto della riforma - l’ennesima riforma dei servizi di sicurezza, seguita all’ennesimo scandalo, il rapimento di Abu Omar -, attuata dal Parlamento nel 2007.
AISE è peraltro la sigla che da anni identifica l’Associazione Italiana della Stampa Estera. Che questa organizzazione giornalistica sia piena di agenti segreti, non c’è mai stato dubbio, ma non era certo il caso di spiattellarcelo così spudoratamente.
La Procura di Roma ha regolarmente insabbiato l’inchiesta sulle attività golpistiche del SISMI in Iran, e così si è regolato anche il Parlamento italiano, eppure l’onorevole Rutelli un anno fa ci aveva raccontato con giubilo come l’AISE, non appena interpellata, avesse immediatamente inoltrato una relazione a riguardo, di cui oggi non c’è più traccia. Possiamo quindi soltanto fantasticare su ciò che i vertici del servizio segreto militare italiano abbiano scritto nella loro relazione.
Hanno negato tutto? Oppure, come nel caso di Abu Omar, hanno scaricato ancora una volta tutta la colpa sulla CIA, che li avrebbe costretti mentre loro invece non volevano? Quest’ultima è una possibilità, dato che notoriamente gli agenti del servizio segreto militare italiano prendono soldi dall’ENI, che non è affatto interessato ad un cambio di regime in Iran. Non è infatti un caso che, in perfetta coincidenza con la “rivoluzione colorata” in Iran, l’ENI sia stato bloccato in una inchiesta giudiziaria per tangenti al governo della Nigeria. La Nigeria è massacrata e depredata da decenni dalle multinazionali, e l’ENI ha fatto la sua parte. Quando si ipotizza che l’ENI abbia distribuito tangenti al governo nigeriano, si va a colpo sicuro, dato che per questo ente il distribuire tangenti è come respirare, e se non le distribuisce va in apnea. Solo che - se l’ENI è ancora l’Eni - c’è da essere certi che ha distribuito tangenti non solo al governo della Nigeria, ma anche all’opposizione e persino alla guerriglia.
Per l’ENI la situazione giudiziaria si prospetta davvero insidiosa. Non per nulla l’inchiesta risulta affidata alla Procura di Milano, che nel 1993 già incastrò l’allora presidente dell’ENI, Gabriele Cagliari, che poi fu suicidato in carcere, con l’avallo della stessa Procura, che si accontentò, come prova, di una lettera/saggio attribuita al presunto “suicida”; una missiva torrenziale che, per sviluppo e densità di concetti, avrebbe fatto impallidire anche le ultime lettere di Jacopo Ortis (segno che fra che gli agenti segreti vi sono parecchi letterati frustrati).
L’attuale inchiesta sul SISMI è invece affidata alla fidata procura di Roma, da sempre specializzata negli insabbiamenti. Che fine abbia fatto l’inchiesta giudiziaria romana sul SISMI, non ci è stato infatti dato di sapere; ma ciò vale anche per le inchieste parlamentari italiane e statunitensi, forse perché non è più opportuno far trapelare di queste notizie, che potrebbero demoralizzare i tanti che stanno trepidando per le sorti della lotta per la “libertà” e per i “diritti umani” in Iran.
Eppure ci sarebbe un modo per zittire immediatamente i dietrologi: sottolineare che le attività golpistiche in Iran contestate al SISMI ed ai servizi segreti USA, risalgono al lontanissimo 2001. Da quella data così distante nel tempo, è evidente a tutti che i servizi segreti “occidentali” si sono pienamente redenti da queste cattive abitudini (c’è stata la riforma!); e che, comunque, oggi la presenza di un uomo integerrimo come Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti garantisce a tutti che gli Stati Uniti non c’entrano nulla con Rafsanjani.
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Di comidad (del 16/07/2009 @ 01:31:20, in Commentario 2009, linkato 1726 volte)
La scelta di svolgere il G-8 nel terremotato capoluogo abruzzese, è stata del tutto in carattere con la psicopatologia personale di Silvio Berlusconi, con la sua morbosa invidia per ogni occasione di protagonismo altrui. Non vi è nulla di strano che egli, da buon ricco che ruba ai poveri, abbia voluto rubare la scena anche a coloro che si trovavano al centro dell’attenzione a causa di una immane sciagura che li aveva colpiti, e che sono stati trasformati in comparse sullo sfondo per un presunto trionfo mediatico del Presidente del Consiglio.
D’altra parte questa ignobile rappresentazione è risultata del tutto compatibile, anzi omogenea, con gli schemi della guerra psicologica, di cui il G-8 non è altro che un momento. I vertici di capi di Stato e di Governo non ricoprono in sé alcuna vera funzione decisionale, dato che le decisioni non soltanto sono già state prese da tempo e altrove (Federal Reserve, Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea), ma sono anche, e sempre, le stesse identiche decisioni, che riguardano il trasferimento di risorse pubbliche a gruppi affaristici privati.
La stampa estera aveva criticato Berlusconi per non aver allestito una vera agenda dei lavori del G-8, ma, anche in questo caso, il Presidente del Consiglio italiano non aveva fatto altro che aderire in pieno alla funzione puramente mediatica della scadenza, perciò la sua trascuratezza verso il lato “serio” del vertice, deve essere ritenuta in carattere con le esigenze spettacolari della guerra psicologica.
Nello spettacolo del G-8 la presenza di terremotati a fare da sfondo all’esibizione di Berlusconi, ha conferito un palcoscenico utile anche alle esibizioni pseudo-buonistiche degli altri capi di Stato e di Governo. Il capitalismo non è altro che il rubare ai poveri per dare ai ricchi, e lo scopo della guerra psicologica è quello di far passare il vampiro per un donatore di sangue; perciò il circondarsi di folle di bisognosi da accarezzare, può risultare utile ad alimentare la mistificazione.
Non a caso, il nuovo idolo delle folle, Barack Obama, ha concluso il G-8 con il proclama di un programma di aiuti finanziari ai “Paesi poveri”, cosa che gli ha meritato il plauso di papa Ratzinger, che a causa dell’attuale disperato bisogno di soldi da parte del Vaticano, ha trasformato quella che una volta era una indipendente e arrogante cosca finanziaria - la Chiesa Cattolica - in uno zerbino delle multinazionali.
“Aiuti ai Paesi poveri” costituisce l’etichetta mediatica per una serie di elargizioni di denaro pubblico a imprese multinazionali, ufficialmente perché possano andare a “investire” questo denaro pubblico nei suddetti Paesi poveri. In realtà, non solo le multinazionali trattengono per sé la gran parte degli “aiuti”, ma il loro cosiddetto ”investimento” nei Paesi poveri consiste nell’appropriazione tout-court di risorse agricole, minerarie e idriche locali, per costituirvi una serie di monopoli privati. La traduzione dal linguaggio ufficiale della espressione “Aiuti ai Paesi poveri”, è quindi: aggressione colonialistica e rapina ai danni dei Paesi poveri.
Una delle leggi fondamentali del capitalismo, è che l’impresa privata si fondi sul denaro pubblico, e che sia direttamente lo Stato a finanziare le privatizzazioni, ovviamente con i proventi delle tasse. Oggi il contribuente “occidentale” è perciò chiamato altruisticamente a pagare perché le risorse dei “Paesi poveri” - o, per meglio dire, dei Paesi colpiti dalla miseria creata dalle multinazionali - possano essere ulteriormente privatizzate a vantaggio delle stesse multinazionali.
Non ci sono, per la verità solo le multinazionali, dato che oggi anche le Organizzazioni Non Governative pretendono la loro parte. Ufficialmente le ONG sono organizzazioni no-profit, e quindi fanno figurare i loro profitti come rimborsi spese, o spese amministrative, in tal modo la mistificazione “solidaristica” può risultare impeccabile.
In Afghanistan persino ONG italiane si sono distinte in saccheggi e ruberie sui fondi destinati alle opere pubbliche, un dato che è passato - anche se poi immediatamente dimenticato - per i media ufficiali della Gran Bretagna. Le domande sul che cosa ci stiano a fare i soldati italiani in Afghanistan, sul perché ammazzino poveri civili, e si facciano a loro volta ammazzare (l’ultimo appena qualche giorno fa), risultano quindi oziose.
Berlusconi è un personaggio imposto dalla guerra psicologica statunitense nei confronti della colonia italiana, perciò, come prodotto della Psycho-war, egli non poteva non risultare omogeneo alla bisogna del G-8. Persino le magagne in cui Berlusconi è coinvolto, e di cui la stampa estera largamente si occupa, finiscono per avvilire e infantilizzare soprattutto l’immagine della colonia di cui è stato messo a capo.
Se davvero Berlusconi verrà fatto fuori, non sarà quindi per le sue losche vicende personali, e neppure per la sua favoleggiata e inesistente intesa personale con Putin, ma soltanto perché l’attuale Presidente del Consiglio non possiede la tempra per affrontare privatizzazioni che comporterebbero gravi rischi di scontro all’interno delle istituzioni italiane. Il piano delle multinazionali di privatizzare ENI, Enel, INPS, e i servizi del Pubblico Impiego, determinerebbe notevoli resistenze da parte di forze che dispongono a loro volta di risorse finanziarie e di potere di corruzione. Probabilmente, neppure un burocrate viziato come Draghi risulterebbe all’altezza di un tale incarico da parte delle multinazionali, perciò il candidato più credibile per affrontare le mega-privatizzazioni, rimane ancora il fascista e neo-sionista Gianfranco Fini.
Coloro che già rimpiangono preventivamente Berlusconi, possono consolarsi pensando che comunque questi potrebbe in futuro essere ancora una volta riciclato, non appena il lavoro difficile - cioè le mega-privatizzazioni - sia stato effettuato. Quando si è trattato di entrare nell’Euro, Berlusconi ha lasciato il campo per quattro anni a Prodi, e ha dovuto concedergliene altri due allorché è stato necessario sistemare il bilancio dello Stato. Ma, una volta che il difficile sia stato fatto, uno come Berlusconi risulterebbe insostituibile nella sua missione di demoralizzare il popolo italiano, dato che il personaggio costituisce per il colonialismo USA una perfetta arma di Psycho-war.
C’è comunque da registrare come un successo della guerra psicologica, il fatto che la questione delle privatizzazioni - che costituisce oggi il perno di ogni scenario affaristico -, non solo non sia al centro dell’attenzione dei media (il che è ovvio), ma neppure dei gruppi di opposizione sociale, cosa invece molto più preoccupante. Nella recente vicenda della fallita “rivoluzione colorata” in Iran, anche il fatto che la privatizzazione del petrolio e del gas costituisse l’obiettivo dichiarato di Mousavi, è rimasto fuori dell’interesse dei tanti che in Occidente hanno solidarizzato con i presunti rivoltosi.
La guerra psicologica è riuscita quindi a trasformare la “libertà” in uno slogan reazionario, un fatto che sarebbe stato incredibile anche solo trenta anni fa, quando ancora la tradizione di un secolo e mezzo di movimento operaio rendeva chiaro che la prima schiavitù è quella della miseria.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


27/04/2024 @ 12:16:47
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