Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Uno degli aspetti più strani dell’attuale regime berlusconiano consiste nel fatto che alcuni settori di opinione pubblica si ostinano a considerare la posizione di Giulio Tremonti all’interno del governo di cui fa parte, come quella di una sorta di oppositore. In quest’ultimo anno si è consolidato un gioco delle parti mediatico fra Berlusconi e Tremonti, in cui il primo rilascia dichiarazioni di un ottimismo meschino ed irritante, mentre il secondo veste i nobili panni del critico della globalizzazione, arrivando a prendersela con sette segrete come gli “Illuminati”, che avrebbero imposto al mondo la globalizzazione stessa.
Una trasmissione televisiva come Annozero, che molti considerano acriticamente come critica nei confronti del regime, si è trasformata in un vero e proprio “Tremonti show”, in cui il ministro dell’Economia si lancia in ardite analisi degli sviluppi della crisi e degli errori passati che li avrebbero determinati; errori tra cui Tremonti annovera l’eccessiva ingerenza dei privati nella gestione dell’economia. Attraverso questo illusionismo mediatico, Tremonti continua a ricevere stima da molti antiberlusconiani, ed è persino divenuto l’oggetto di speranze di cambiamento.
In realtà prendersela con gli Illuminati è molto più comodo che chiamare la cosa con il suo vero nome, cioè Fondo Monetario Internazionale. È in quella sede che sono passate quasi tutte le scelte che poi sono state riassunte nel contraddittorio slogan della globalizzazione. Ed è sempre da quella sede che partono ancora adesso gli impulsi e le istruzioni a proseguire, nonostante la strombazzata crisi economica planetaria, nella strada delle privatizzazioni.
Mentre sui media si discute di nazionalizzare le banche, di fatto Giulio Tremonti, con il suo Decreto divenuto la Legge 133/2008, è riuscito ad imporre la privatizzazione dei patrimoni immobiliari delle Università e dei beni del Demanio dello Stato, e persino la privatizzazione della gestione delle risorse idriche, che è come dire che ha privatizzato l’acqua. Sui media che fanno ascolto e opinione, finora nessuno ha contestato a Tremonti questa sua contraddizione o, per meglio dire, questo suo atteggiamento truffaldino.
Intanto incombe anche un'altra ondata di privatizzazioni, quella dei servizi della Pubblica Amministrazione, promosse dal ministro Brunetta. Nonostante l'abietta impresentabilità del personaggio, Brunetta gode all’interno dei media di una posizione di privilegio analoga a quella di Tremonti, ed anche lui è visto da alcuni settori di opinione pubblica come qualcosa di “altro” rispetto a Berlusconi, una specie di opposizione ispirata a valori di efficienza e moralizzazione.
Il cosiddetto “federalismo fiscale” si sta risolvendo in una ulteriore privatizzazione, quella della esazione fiscale appaltata ad agenzie private regionali. Manco a dirlo, la privatizzazione della esazione fiscale è promossa da una formazione politica anch’essa presentata dai media come una sorta di opposizione interna al governo Berlusconi, cioè la Lega Nord.
Insomma, Berlusconi ha all’interno del governo da lui diretto una miriade di “oppositori”, che fanno però esattamente ciò che lui vuole, cioè privatizzare.
L’onere finanziario di questi business di privatizzazione ricade interamente sulle casse dello Stato, dato che oggi gli imprenditori privati non dispongono di “soldi veri”, e se li aspettano proprio dal governo: parola della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.
Tutto questo accade mentre si parla di crisi economica e di misure anti-crisi. Il paradosso non può essere avvertito dalla popolazione semplicemente perché i media non ne parlano; e ciò è logico se si considera che i media appartengono tutti ai gruppi affaristici che sono interessanti al business delle privatizzazioni.
I gruppi affaristici italiani sono comunque in coda in questa ondata di business, promossi soprattutto dalle multinazionali e dal loro braccio politico, il FMI. C’è inoltre da considerare che il business dell’acqua non è comparabile con quello del petrolio. Non si tratta qui di importare una risorsa energetica alle proprie condizioni, ma di privare la popolazione di una risorsa che ha già. Non si tratta dunque di indurre ad un consumo, ma di creare artificialmente una condizione di povertà, per poterne poi ricattare la popolazione.
La privatizzazione dell’acqua implica perciò un vero e proprio racket, che sarebbe inattuabile senza un sovrappiù di violenza e di militarizzazione del territorio; quindi è improbabile che la facciata dello Stato di Diritto possa reggere di fronte alla gestione di business del genere.
L'OPPIO E' LA RELIGIONE DEL CAPITALE
Ma è solo un romanzo.
Ghosh Amitav, l’autore del romanzo da cui abbiamo tratto alcuni passi, è nato a Calcutta nel 1956, ha studiato a Oxford ed è uno dei più acclamati scrittori indiani di lingua inglese, ma lavora anche come antropologo e giornalista. Il romanzo “Mare di Papaveri”(2008) è il primo quadro di una trilogia dedicata alla nascita dell’India moderna. Scritto con grande padronanza della tecnica narrativa, il romanzo ha come sfondo storico gli avvenimenti (siamo nel 1838) che precedono la Guerra dell’Oppio contro la Cina.
Ma al di là delle altre qualità del romanzo, quello che ci interessa è la capacità di rendere in modo esauriente aspetti importanti della ideologia e della strategia coloniale, in particolare il legame decisivo del colonialismo
anglo-americano con la droga.
[…] “In tal caso, signore” disse Burnham, “tocca a me informarla che ultimamente i funzionari di Canton hanno bloccato l’entrata dell’oppio in Cina. E’ opinione condivisa da noi uomini d’affari che non si può consentire ai mandarini di fare ciò che meglio credono. Chiudere questo commercio sarebbe rovinoso…per ditte come la mia, ma anche per lei, e a dire il vero per tutta l’India”.
“Rovinoso?” disse mitemente Neel. “Ma senza dubbio possiamo offrire alla Cina qualcosa più utile dell’oppio”.
“Vorrei che fosse vero” disse Burnham. ”Ma purtroppo non è così. Molto semplicemente, non c’è niente che loro vogliano da noi, si sono messi in testa di non aver bisogno dei nostri prodotti e delle nostre manifatture. Noi d’altra parte non possiamo rinunciare al loro tè e alla loro seta. Se non fosse per l’oppio, il salasso per la Gran Bretagna e le sue colonie sarebbe insostenibile”.
A quel punto intervenne Doughty: “Vede, il problema è che Johnny Chinaman pensa di poter tornare ai vecchi tempi, prima della sua passione per l’oppio. Ma indietro non si torna, non si può”.
“Tornare indietro?” Neel era sorpreso. “Ma la fame d’oppio risale all’antichità”.
“L’antichità?” lo schernì Doughty. “Come sarebbe a dire? Perfino quando sono andato a Canton la prima volta, da ragazzo, ne circolava pochissimo. Ha una testa dannatamente dura, Johnny-codino. Posso assicurarle che non è stato facile convincerlo ad affezionarsi all’oppio. No, signore, per dar credito a chi se lo merita, bisogna riconoscere che la richiesta di oppio sarebbe assai modesta se non fosse per la perseveranza dei mercanti americani e inglesi. …
[…]
Non avendo mai riflettuto molto sul commercio, Neel pensava che in Cina il traffico di oppio fosse legalmente approvato: gli sembrava naturale, dal momento che in Bengala tale commercio era non solo autorizzato ma anche monopolizzato dalle autorità britanniche, con il suggello della Compagnia delle Indie orientali. […] “Dunque le autorità cinesi non vedono di buon occhio la vendita dell’oppio?”
“Purtroppo è così” disse Burnham “ E’ già un po’ che storcono il naso, ma in passato non hanno mai fatto un simile tumasher: i mandarini e gli altri musi gialli hanno sempre intascato il dieci per cento, ben lieti di chiudere gli occhi. L’unica ragione per cui fanno tante storie adesso è che evidentemente vogliono guadagnarci di più”.
[…]
“Mr Burnham! Sta forse dicendo che l’impero britannico intende fare una guerra per introdurre l’oppio in Cina con la forza?”
La replica di Burnham non si fece attendere. Posando rumorosamente il bicchiere sul tavolo, disse:” Evidentemente sono stato frainteso, Raja Neel Rattan. La guerra quando verrà, non sarà per l’oppio. Sarà per un principio, per la libertà…libertà di commercio e libertà del popolo cinese. Il Libero Commercio è un diritto conferito all’Uomo da Dio, e i suoi principi valgono sia per l’oppio sia per qualunque altra merce . Tanto più che mancando l’oppio a milioni di nativi sarebbero negati i duraturi vantaggi dell’influenza inglese”.
A questo punto Zachary intervenne: “Sarebbe a dire, Mr Burnham?”
“Sarebbe a dire, Reid” rispose Burnham pazientemente, “ che la dominazione inglese in India non potrebbe sostenersi senza l’oppio, tutto qui, e non fingiamo che le cose stiano altrimenti. Lei senz’altro sa che ci sono anni in cui i profitti che la Compagnia ricava dall’oppio sono pressoché pari alle entrate complessive del suo paese, gli Stati Uniti. Crede forse che in mancanza di tale fonte di ricchezza sarebbe possibile il dominio britannico in questa terra impoverita? E se riflettiamo sui benefici che il governo britannico ha garantito all’India, non ne consegue che l’oppio è la più grande fortuna di questo paese? Non ne consegue che è nostro dovere, da Dio stesso assegnatoci, garantire ad altri analoghi benefici?”
[…]
“Non la turba, Mr Burnham, appellarsi a Dio in favore dell’oppio?”
“Neanche un po’” ribatté Burnham, stropicciandosi la barba. “Un mio concittadino l’ha messa in modo molto semplice: “Gesù Cristo è il Libero Commercio e il Libero Commercio è Gesù Cristo”. Se Dio vuole che l’oppio venga usato come strumento per aprire la Cina ai suoi insegnamenti, sia fatta la sua volontà. Quanto a me , confesso che non vedo perché un gentiluomo inglese dovrebbe farsi complice del tiranno manciù privando il popolo cinese di tale miracolosa sostanza”.
“Intende dire l’oppio?”
“Proprio così” disse Burnham sarcastico. “Lasci che le chieda una cosa, signore: le piacerebbe tornare ai tempi in cui agli uomini si strappavano i denti e si ricucivano le membra senza un calmante per alleviare il dolore?”
“E perché mai?” disse Reid rabbrividendo. “Certo che no”.
“L’immaginavo” disse Burnham “In tal caso dovrebbe aver chiaro in mente che la medicina o la chirurgia moderna sarebbero assolutamente impraticabili senza prodotti chimici come morfina, codeina e narcotina, che sono peraltro alcuni dei miracolosi derivati dell’oppio. Senza lo sciroppo per le coliche i nostri bambini non dormirebbero. E come farebbero le nostre signore, compresa la nostra amata regina, senza il laudano? Si potrebbe addirittura sostenere che dobbiamo all’oppio quest’epoca di progresso e operosità: senza oppio le strade di Londra sarebbero invase da moltitudini tossicolose, insonni e incontinenti. E considerando tutto ciò, non è giustificato chiedersi se il tiranno manciù abbia il diritto di privare i suoi sudditi inermi dei vantaggi del progresso? Crede forse che a Dio piaccia vederci cospirare con quel tiranno che priva tanta gente di questo dono meraviglioso?”
“Tuttavia, Mr Burnham” insistette Neel, “mi risulta che in Cina il vizio sia molto diffuso, che ci sia molta dipendenza. Non mi dirà che simili afflizioni sono gradite a Dio”.
Burnham fu punto sul vivo. “I malanni di cui lei parla, signore, confermano semplicemente la natura peccaminosa dell’Uomo. Se mai dovesse capitarle di camminare tra le catapecchie di Londra, Raja Neel Rattan, vedrebbe con i suoi occhi che nelle mescite di gin della capitale dell’Impero c’è tanto vizio e dipendenza quanto nelle topaie di Canton. Dovremmo dunque radere al suolo tutte le taverne della città? Bandire il vino dalle nostre tavole e il whisky dai nostri salotti? Privare i nostri marinai e soldati della loro dose giornaliera di grog? E una volta sancite tali misure, crede che il vizio sarebbe cancellato e che la dipendenza cesserebbe? E che ogni membro del Parlamento dovrebbe sentirsi responsabile di eventuali fallimenti? La risposta è no . No. Perché l’antidoto al vizio non sta nei divieti sanciti da parlamenti e imperatori, bensì nella coscienza del singolo, nella consapevolezza individuale delle proprie responsabilità e nel timore di Dio. E’ questa, mi creda, la più preziosa lezione che possiamo offrire alla Cina come nazione cristiana, e non dubito che tale messaggio sarebbe ben accolto dal popolo di quello sfortunato paese, se il despota crudele che li tiene in pugno non impedisse loro di ascoltarlo. Solo alla tirannia va il biasimo per la degenerazione della Cina, signore. I mercanti come me non sono che fedeli servitori del Libero Commercio, che è immutabile, come lo sono i comandamenti di Dio”. Burnham fece una pausa per ingoiare una frittella intera. “E mi permetta di aggiungere che non si confà al raja di Raskhali moraleggiare sulla questione dell’oppio”.
“E perché no?” disse Neel, preparandosi a rintuzzare l’affronto che certo ne sarebbe seguito. “La prego di spiegarsi, Mr Burnham”.
“Perché no?” Burnham sollevò il sopracciglio. “ Be’, per l’ottima ragione che ogni cosa che lei possiede è pagata dall’oppio… questo battello, le sue case, questo cibo. Crede forse che con le rendite delle sue tenute e dei suoi contadini semiaffamati potrebbe permettersi cose simili? Nossignore, tutto questo lei lo deve all’oppio”.
“Ma non farei una guerra per questo, signore” disse Neel, con tono tagliente quanto quello di Burnham. “ E non credo che la farà neppure l’Impero. Non penserà che io non conosca il ruolo del Parlamento nel vostro paese”.
“Il Parlamento?” Burnham scoppiò a ridere. “Il Parlamento saprà della guerra solo a guerra finita. Stia pur certo, signore, che se simili questioni fossero lasciate al Parlamento, non ci sarebbe nessun Impero”.
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